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Da Mosè a Justin Bieber | Spettacolo e religione

Aggiornamento: 18 lug 2018


Di Dio ce n’è solo uno oppure, come suggerisce l’immagine in basso (omaggio al grande Ronnie James Dio), ce ne può essere più di uno? C’è continuità tra le prime forme di venerazione collettiva e le forme odierne? Perché centinaia di migliaia di persone si trovano ai concerti di Vasco Rossi? Da dove viene lo spettacolo? In questo breve articolo desidero offrire qualche spunto per impostare una sorta di riflessione genealogica in grado di rispondere a queste domande.


Possiamo affermare che oggi lo spettacolo – inteso come musica, cinema, moda, televisione, ma anche sport – ha certamente ereditato alcune funzioni sociali che un tempo erano appannaggio di altre forme culturali, in particolar modo della religione. Le star della musica sono le divinità odierne, le case di produzione cinematografiche chiese a caccia di fedeli, Hollywood il monte Olimpo, i presentatori televisivi sacerdoti odoranti di incenso. Sono cambiate le forme, in parte le modalità, ma la sostanza rimane quella.


Qual è questa sostanza? Quali sono le funzioni generali che ci portano a individuare nello spettacolo un’evoluzione della religione? Insomma quali bisogni umani soddisfa lo spettacolo? In primo luogo desidero sottolineare la funzione di collante sociale. I concerti, i film al cinema e le serie televisive ci offrono occasioni di incontro, opportunità per stare assieme facendo le stesse cose, pretesti per fare conversazione e magari per fare nuove conoscenze. Essi producono inoltre stati d’animo ed emozioni che vengono condivise dai partecipanti, e questo alimenta senza dubbio un senso di coesione e di appartenenza. Credo che per gli animali che noi umani siamo, questo bisogno di socializzazione non sia affatto da sottovalutare. Una seconda funzione è quella “catartica”. La partita allo stadio rappresenta, per alcuni più, per altri meno, un momento di sfogo emotivo; la commedia di Checco Zalone ci fa ridere di qualcosa; la canzone strappalacrime ci aiuta a sciogliere qualcosa che ci si era annodato nello stomaco. La terza funzione, che si riallaccia alle prime due, è la produzione di nuovi modelli sociali. Lo spettacolo crea (e distrugge) figure da imitare. Se optate per il mainstream avrete Cristiano Ronaldo, Irina Sheyk, Justin Timberlake e Shakira. Ma anche hypster, queer, metallari e sfigati non vengono lasciati a bocca asciutta. Ce n’è per tutti i gusti. Guardateli. Adorateli. Fate come loro. Siate come loro. Si noterà facilmente il parallelismo con il mondo religioso.


Individuare queste tre funzioni specifiche dello spettacolo ci permette di collocarci in un interessante prospettiva. Più che l’oggetto dello spettacolo queste funzioni coinvolgono le persone che sono soggette allo spettacolo, ossia il pubblico. Il ribaltamento di prospettiva è fondamentale, e vale tanto per i rituali religiosi quanto per le forme odierne di spettacolarizzazione. Chi volesse studiare il fenomeno sociale in esame non deve tanto concentrare l’attenzione sul palco, o sull’altare, oppure sulla rockstar, o sul sacerdote. Non è importante ciò che accade sul palco ma ciò che accade nella platea, ciò che accade nel pubblico. Se cerchiamo dei “miracoli” nei rituali religiosi, paradossalmente, non dobbiamo mai guardare all’altare, ma alla schiera di fedeli. Le tre funzioni precedentemente elencate – collante sociale, catarsi, affermazione di modelli per la moltitudine – sono rivolte a questo secondo polo, alla massa.


Vorrei sgombrare il campo da un equivoco. Mi riferisco alla dimensione di progettualità organizzata che oggi sembra caratterizzare intrinsecamente lo spettacolo. Oggi, com’è noto, ci sono persone che organizzano lo spettacolo, che lo pensano intenzionalmente per fini economici, e che guadagnano da esso. A grandi linee il processo è noto: innanzitutto si cerca una brava giovanotta o un bravo giovanotto, lo si confeziona in modo da renderlo un prodotto che possa piacere alle masse e che possa far fruttare un capitale, e infine lo si gestisce scientemente e con cura producendo film, concerti e quant’altro. Certamente non si può negare questa dimensione, che potremmo definire razionale, organizzata e, perché no, capitalistica. Tuttavia, sulla scia di Durkheim e Girard, io credo che questi aspetti razionali e coscienziali siano secondari e sovrastrutturali. La vera sostanza sono le funzioni sociali che sono state generate e si sono alimentate (e continuano ad alimentarsi) in maniera meccanica, senza che ci sia stato bisogno di qualcuno che comprendesse le dinamiche e le mettesse in atto intenzionalmente e coscientemente. Per studiare seriamente e in maniera proficua questi fenomeni bisogna a mio parere cogliere questo dato. Il manager che ha l’intenzione imprenditoriale di far soldi e che si adopera per costruire uno spettacolo, di qualsiasi genere esso sia, rappresenta un elemento sovrastrutturale, un elemento di contorno. Innanzitutto ci sono dei bisogni sociali di masse umane. È questo il vero sostrato, il vero punto di partenza.


Quanto detto fino ad ora riguarda i forti aspetti di continuità che sussistono tra religioso e spettacolo. Ci sono anche delle differenze, ovviamente. Innanzitutto le divinità del religioso non esistevano in carne ed ossa. I fedeli adoravano spiriti, enti celestiali che si collocavano in un’altra dimensione. Oggi le divinità dello spettacolo sono invece persone normali, anche se ammantate di un qualcosa di trascendente, di qualcosa che attinge da una dimensione “altra”. Questo cambiamento comporta una serie di conseguenze sociali e culturali (ad esempio un aumento della velocità con cui le nuove divinità vengono riciclate) che sarebbe interessante discutere in un altro articolo. C’è un secondo elemento importante. Il religioso dapprima aveva uno stretto legame con un elemento fondamentale delle società umane: il controllo della violenza e dell’aggressività endemica. Il sacro, lo ha dimostrato Girard, è una violenza sublimata, posta in una dimensione “altra”, che cerca di controllare una violenza terrena e molto concreta. Il controllo della violenza oggi spetta allo spettacolo solo in un senso molto indebolito. Oggi sono principalmente i tribunali ed altri organi istituzionali che si occupano di governare la violenza umana. Vogliamo far notare tuttavia che lo spettacolo, con le sue tre funzioni sociali che abbiamo indicato, agisce indirettamente anche sull’aggressività e sulle tendenze di disgregazione. Creare un senso di comunità, offrire momenti catartici di sfogo, omologare comportamenti e sensibilità di un alto numero di persone, ha ripercussioni sulla stabilità del tessuto sociale e può servire per prevenire fenomeni incontrollati di violenza.


Abbiamo dunque visto che forse Mosè e Justin Bieber, per quanto possa sembrare strano, hanno qualcosa in comune. Si consideri del resto che nel frattempo sono un poco cambiati i canoni estetici e di virilità. Una domanda finale. C’è qualcuno che dall’interno di questi fenomeni sociali è riuscito a denunciare e a mostrare la reale natura e la profonda essenza di questi stessi fenomeni sociali? Per quanto riguarda il religioso, a parere di Girard, è stato Gesù Cristo a svelare le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ossia le reali funzioni del religioso e del sacro. Per quanto riguarda lo spettacolo? Nel mio prossimo articolo voglio parlarvi di un uomo che, negli ultimi anni, è riuscito a rivelare, dall’interno dello spettacolo, la vera natura dello spettacolo.


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