di Lorenzo Cerani
Nel “grande ospizio occidentale” (per citare E. Limonov) ora attraversato da una crisi profonda, scosso da guerre alle frontiere orientali d’Europa dove si cerca (in nome di interessi squisitamente americani) di balcanizzare la Russia(1) giù fino ai conflitti mediorientali, assistiamo sempre più spesso al riaffacciarsi violento e magmatico del fenomeno della radicalizzazione politica da una parte all’altra dello scacchiere internazionale. Lo abbiamo visto recentemente in atto nello scontro che oppose il battaglione Azov neonazista contro l’ormai defunto Wagner group (pure inzaccherato di estetiche ed elementi nazi), è evidenziabile nell’attuale lotta impari tra le politiche terroristiche di stato israeliane contro gli atti terroristici di gruppuscoli di disperati a difesa di una popolazione imprigionata nella sua stessa terra. Ovunque brucia il medesimo carburante di identitarismo settario, dappertutto diventa visibile la scia di sangue interminabile di cieco risentimento, ovunque la pulsione incoercibile per il conflitto in spregio alle ragioni dell’altro esige i suoi tributi sanguinari al prezzo di stuoli di cadaveri ammonticchiati lungo campi di battaglia teatri di violenze immani.
Proprio per offrire un contributo a lumeggiare le motivazioni profonde di tale crisi di portata storica, sulla falsariga di R. Girard e del suo tentativo di sintesi disciplinare al servizio di un’antropologia filosofica compatta gravitante attorno al mimetismo umano il professor N. Lawtoo fondatore del progetto interdisciplinare Homo Mimeticus per l’European Research Council nel 2019 ha dedicato una monografia alla topic dei rigurgiti fascisti cercando di enuclearne gli elementi determinanti. Scopo della sua ricerca consisteva nello scandagliare le modalità di conquista del potere dei movimenti totalitari di destra nel Novecento incrociando la teoria mimetica con il contributo della psicologia delle folle, nel valorizzare il pensiero batailliano allo scopo di gettare un cono di luce sulle cause del fascismo e da ultimo sfruttare le intuizioni di P. Lacou-Labarthe alla decifrazione dell’immaginario fascista.
L’autore, fin dalle prime pagine del suo studio, comincia col ricordarci che il fascismo sia plurimo, ibridabile a seconda delle circostanze storiche particolari, sulla scorta di U. Eco rispondente ad una propensione umana che si ripresenta di epoca in epoca, rinforzabile a partire dai meccanismi mimetici connaturati all’agire dell’uomo che con lo strapotere dei nuovi media producono una ipermimesi in grado di risucchiare l’individuo in paradisi artificiali creati ad arte da leader autoritari dove si annulla la differenza tra realtà e finzione(2). Impossibile non collegare le parole di Lawtoo con le lucide disamine dei francofortesi, che già nel ’47 diagnosticavano nel “comportamento mimetico” la chiave di volta dei fenomeni totalitari costruendo una proiezione di massa di “idiosincrasia razionalizzata”(3) come pure le descrizioni agghiaccianti sul prelievo di “surplus comportamentale” dell’industria tech a detrimento del controllo sulla propria vita e delle stesse istituzioni democratiche(4). Si potrebbe sempre ricordare il contributo offerto dallo studioso anarco-comunista F. Berardi e la sua denuncia della patologia identitaria che cova nello psichismo come foia distruttiva che si sovralimenta a partire da nemici immaginari tanto più tangibili quanto più sfuggenti e facilmente rimpiazzabili di cui parlava in un’intervista(5) unitamente alla critica all’identità quale anticamera degli estremismi, delle “identità armate” e delle “pazzie dell’identità” (che tornando in argomento sono costruite artificialmente da politici furbi) offerta dall’antropologo F. Remotti(6).
Seguono pagine dedicate ad una studiata ripresa della psychologie des foules di G. Tarde e G. Le Bon a partire da uno scritto dell’allievo girardiano R. Dupuy sul fenomeno del panico sociale che frantuma l’individualità fagocitando il soggetto nella massa indistinta, muovendo dall’idea che solo l’intreccio tra l’impostazione mimetica girardiana e gli studi sociologici dei due sui grandi gruppi sociali possano scoprire la peculiare “pato-logica” fascista annidata nei fenomeni di imitazione contagiosa(7). Di Tarde si riprende l’intuizione (poi popolarizzata da Le Bon) di estendere i meccanismi mimetici dal gruppo amorfo della massa all’intero consorzio umano, dell’autore de “La psicologia delle folle” del 1895 vengono sottolineate le efficaci descrizioni del comportamento spersonalizzato e robotico dell’uomo-massa asservito ai leader carismatici(8). Successivamente Lawtoo passa ad approfondire Freud e la sua impostazione oggettuale del desiderio e qui vengono ricordate le critiche girardiane in materia(9) come sono anche ricordati gli studi sui neuroni specchio che fanno tornare d’attualità le tesi della psicologia delle folle smontando la dicotomia freudiana desiderio/identificazione, per poi approdare alla messa a fuoco del potere mimetico dei media con la ricognizione dello show trumpiano “The Apprentice”(10).
In queste pagine il Nostro adopera disinvoltamente i contributi sociologici del Tarde come anche le ricerche sui mass media di J. Baudrillard che seppero mostrare la dissoluzione della realtà operata dai “persuasori occulti” e gli studi batailliani sull’importanza dei riti sacrificali per raffrontare simbolicamente la perdita che oramai sono sublimati negli show televisivi. Sempre sull’utilizzo del potere mediatico del presidente D. Trump per convogliare il risentimento dell’elettorato verso sempre nuovi scapegoat cercando così di perseguire spregiudicatamente i propri desiderata politici è da segnalarsi un altro saggio di impostazione girardiana ad opera del sociologo S. Tomelleri dove ci si sofferma sul suo background narcisista e sul contesto socioeconomico neoliberista come ambiente ideale per la messa in atto di queste strategie mimetiche(11).
In un secondo tempo N. Lawtoo si focalizza sulla genealogia imitativa del vivere comunitario, riattualizzando le tesi di J.-L. Nancy, M. Blanchot e G. Bataille: di Nancy (e Blanchot) l’autore rielabora il tema della communitas inoperosa autenticamente sovrana, una condivisione (partage) fondata sull’esperienza limite della morte tra persone che connette disgiungendo contraddittoriamente, facendoli essere singoli e plurali insieme rinnegando tentazioni organicistiche; di Bataille viene valorizzata l’idea di una “comunicazione sovrana”, vale a dire l’ampia gamma di manifestazioni sacrali cosiddette “irrazionali” del sacrificio, della trasgressione e del dispendio in opposizione all’atmosfera sociale profana, che realizzano forme di compenetrazione tra i soggetti, lo scavo genealogico delle radici rimosse e “maledette” fusionali ek-statiche della comunità che oscilla eternamente tra la communauté e la foule, tra comunità condivisa e comunità fantasma (quella dettata dai leader autocratici)(12). E’ proprio questa pars demonica a fungere da volano ai radicalismi politici più violenti per Bataille, assopendone il raziocinio per identificazione, galvanizzando gli animi delle folle ipnotizzate dalla loro retorica, spingendoli verso nemici costruiti, ingigantendo il culto del leader che si nutre d’imitazione reciproca tra capo e seguaci, sfruttando le armi delle forze irrazionali per dividere il demos inebetito producendo dapprima una polarizzazione sociale e poi un’omologazione in masse monocefale, una nuova “comunità di direzione” al servizio della chiamata alle armi(13).
Per Lawtoo, infatti, la conoscenza della lectio batailliana sull’eziologia dei radicalismi di destra violenti può assicurarci il controllo o almeno la parziale domesticazione del mimetismo connaturato all’umano, come sostenuto da Girard in relazione alla necessità di una presa di consapevolezza della mimesis, presente tanto nei lapidatori dell’adultera e quanto nei seguaci di Cristo che sul suo esempio le dimostrano compassione(14). Si potrebbe aggiungere qui come sostenuto da un altro specialista di Girard che, per quanto Bataille sia antitetico alla teoria mimetica rimanendo favorevole al sacrificio quale manifestazione dionisiaca gloriosamente affermativa, entrambi gli autori convergono nel rivendicare contro illusioni metafisiche razionalistiche la potenza anti-dialettica e tragica del negativo(15). Per entrambi, si potrebbe aggiungere, è della massima importanza riflettere su quello che Girard in un’intervista rilasciata a L. Linneuil e G. de Tanoüarn definì il “cainismo dell’uomo” prendendo a prestito un’espressione dell’esoterista e poeta Nerval in riferimento al fondale oscuro e sanguinario dell’essere umano(16). Tutto questo malgrado le diversità inaggirabili degli studiosi che, come sintetizza G. Fornari, adottano metodologie d’indagine irriducibili, il primo immergendosi esperienzialmente nei fenomeni che indaga sperimentando le lacerazioni del negativo senza sintesi redentiva per infirmare i sistemi dialettici, il secondo in senso scientistico-teologico costruendo un paradigma onnicomprensivo incentrato sull’homo mimeticus(17).
Prima di congedarsi dal lettore, Lawtoo nell’ultimo capitolo del suo saggio riavvolge il filo del discorso tornando al punto di partenza, le ombre minacciose del fascismo mimetico che si addensano sulle democrazie occidentali avanzate, intersecando la tematica con un approfondimento in materia di mitologia, in quanto il potere condizionante del mito consiste nella rottura del principio di realtà e nella fabbricazione di “fantasmi dell’ego”, proiezioni allucinate di sé e degli altri(18). Entra qui in campo la teoria lacou-labarthiana del “mito nazi”, che l’autore ritiene fecondamente incrociabile con le speculazioni mimetiche girardiane, l’una seguendo l’angolatura della vittima espiatoria, l’altra cercando di penetrare le ragioni del mitologo nazifascista(19). Per P. Lacou-Labarthe, ricorda Lawtoo prendendo in esame il saggio nefasto rosenberghiano “Il mito del XX secolo” il mito si struttura come un modello imitabile che si impernia su una “tipografia”, vale a dire il modellamento attraverso figure imponenti di individui, nazioni, ecc. I leader fascisti, assecondando questa esegesi, mirano a ingegnerizzare una macchina sacrificale allo scopo di sfruttare il bisogno spasmodico di identificazione e di sicurezza in identità tetragone che sfuggano al trauma della perdita, allo smacco della disillusione, apollinei nel ricercare forme di coesione che resistano al tempo e dionisiaci nella capitalizzazione delle pulsioni irrazionali(20). Un autore che si potrebbe evocare per rinforzare le osservazioni dell’autore potrebbe essere il mitologo F. Jesi, che assimilava il mito non tanto ad un sapere aurorale attingibile per iniziazione o scavi nei meandri della storia più lontana quanto ad un noumeno inavvicinabile, uno pseudobiblium che ha prodotto testi veri di cui trattano macchine mitologiche costituite da materiali e prodotti culturali che vi rinviano autofondandos(21). Per l’autore proprio partendo da questa presa d’atto, dall’attraversamento della menzogna romantica del mito nazi promossa dalle piattaforme social che ne veicolano il messaggio distruttivo prono agli interessi dei caudilli del presente possiamo pensare ad un’alternativa mimetica, bottom-up, sarà infine possibile emanciparsi e disalienarsi dagli effetti della cattiva reciprocità mimetica disattivando il fantasma comunitario fascista(22).
Tracciato nelle sue linee fondamentali il percorso teorico di Lawtoo nella sua disamina del radicalismo di destra (evitando di soffermarsi sulla conversazione conclusiva con W. Connelly), urge fare qualche osservazione. Da una parte il bisogno di identificazione, il tratto di mimesis potenzialmente dannoso e la capacità attrattiva del mito politico possono diventare la base per politiche di violenza di massa e sterminio non necessariamente appartenenti allo spettro politico conservatore, come sostenuto criticamente dalla Arendt nei riguardi di alcuni aspetti filosofici marxisti, colpevoli di accettare hegelianamente che la potenza del negativo possa essere riassorbita in uno scopo più ampio giustificando eccidi(23). Per continuare lungo questa scia potremmo aggiungere che era E. Voegelin a fare riferimento al neognosticismo rivoluzionario(25) proprio dei movimenti politici radicali, sulla loro rappresentazione del mondo nuovo immanentizzante l’eschaton al prezzo del sacrificio più sanguinario. In questo senso ci si potrebbe interrogare sulla presenza di macchine mitologiche legittimanti autoritarismi di qualunque colore politico, domandandosi cosa distingua nettamente il culto del capo di un tycoon alla Trump da un segretario di partito che avochi a sé il potere di controllare una popolazione da cima a fondo profondendosi in violenze crescenti. Anche senza voler simmetrizzare (come tende a fare lo storico revisionista E. Nolte molto criticato da Hobsbawm, Mosse e Losurdo) la violenza del mito nazi alle detenzioni di massa nei socialismi reali, è chiaro che forse il tema della violenza politica far right dovrebbe farci riflettere per autocritica sulle vicinanze di metodo e applicazione con il suo “fratello nemico”, il radicalismo di sinistra nelle proprie derive. Forse in questo senso l’analisi del fascismo per evitare di essere sovratemporale potrebbe rivolgersi indistintamente alla categoria di “radicalismo politico” inglobandovi anche le manifestazioni più deleterie e mitologiche del credo politico distorto dalla ricerca di nemici, ecc.
Un altro punto su cui disquisire potrebbe essere il concetto peculiare di mito lungo la linea Girard- Nancy-Lacou-Labarthe: se per questi autori esso è un paravento che ottunde i sensi impedendoci di mettere a fuoco le nequizie del presente, un fenomeno per quanto umano troppo umano da tenere a freno con lo strumentario analitico della critica, forse esistono linee di pensiero divergenti che ne fanno una forma di affabulazione dai potenti effetti metafisici, cosmologici, esistenziali e sociali (J. Campbell), una terapeutica alternativa a partire dalle immagini sepolte nell’inconscio collettivo (J. Hillman), un rimando alla galassia degli archetipi arcaici che si riattualizzano nell’esperienza donandole senso (M. Eliade), ecc. Forse la rappresentazione preliminare del mito degli autori sposati nelle loro analisi da Lawtoo presta il fianco all’accusa di riduzionismo negativizzante per il mito, trattato come qualcosa di irrinunciabile ma da cui guardarsi, al modo della bonifica freudiana dello Zuiderzee.
Un altro nervo scoperto dell’analisi di Lawtoo potrebbe essere costituito dal quesito che nasce spontaneo sul che farsene dei miti una volta archiviati nelle loro forme più degeneri. Davvero non è possibile una mitopoiesi al servizio della costruzione di esseri umani più autoconsapevoli piuttosto che schiavi dei loro leader ipnotici? Non si correrebbe il rischio così di fare una critica, come scrisse K. Hübner in un saggio(25), degli pseudomiti politici più che dei miti nella loro valenza autentica?
Ancora: se è vero che la folla si dimostra così facilmente adescabile da figure carismatiche per i fenomeni di condivisione già menzionati, è pensabile una politica che sappia cavalcare questi fenomeni di contagio sfruttandoli al servizio di obiettivi politici meritevoli? Potrebbe esistere una forza fusionale mimetica in grado di rovesciarsi nel suo opposto accrescendo l’automiglioramento umano invece di portare spirali di violenza sociale (l’autore sfiora il tema citando la Cavarero e la Butler ma è parco di indicazioni in tal senso)?
Indipendentemente da tutto questo, però, il saggio di Lawtoo rappresenta uno sprone per la ricerca nell’ambito del tracciato girardiano indispensabile per chi voglia confrontarsi con tematiche quali il problema della violenza politica, la crisi della democrazia e il collasso delle sue istituzioni, l’ascesa di carrierismi politici cripto-autoritari ecc., non resta che farsi consumare dalla lettura.
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(1) Cfr. il breve articolo che avevamo dedicato ad una possibile lettura girardiana del conflitto russo-ucraino su questo blog “La sacralizzazione della violenza bellica. Sul conflitto russo-ucraino”. Volevamo aggiungere che nel suddetto articolo quando si è finito per parlare di una reazione difensiva della federazione russa all’assalto occidentale nei loro spazi commerciali, politici, ecc. citando anche l’interpretazione del mistico e pensatore esoterista del perennialismo R. Guenon in materia di relazioni Oriente/Occidente (con la precisazione che per la prospettiva guenoniana nel saggio citato l’autentico sapere orientale è ravvisabile nelle tradizioni più antiche delle terre cinesi e indiani più che russe) non si voleva feticizzare l’identità storico-culturale russa né tantomeno imprigionare staticamente i cittadini russi in rappresentazioni monocromatiche del loro patrimonio culturale adatte alla strumentalizzazione politica (che è romantica in senso girardiano per definizione, venerando identità che sono sempre divenienti). Citavamo le osservazioni guenoniane perché rappresentavano uno sprone per il discorso critico dell’occidentalismo che stavamo svolgendo.
(2) Cfr. N. Lawtoo, (Neo)fascismo: contagio, comunità, mito (2019), Mimesis, Milano-Udine, 2020 pp. 19-36.
(3) Cfr. M. Horkheimer e T. W. Adorno Dialettica dell’illuminismo (1947), Einaudi, Torino, 2010 il cap. “Elementi di antisemitismo. Limiti dell’illuminismo” par. V.
(4) Cfr. S. Zuboff, Il capitalismo della sorveglianza (2019), Luiss University Press, Milano, 2023 il cap. “Il surplus comportamentale” pp. 73-106. Per surplus comportamentale la Zuboff allude alla biopolitica dei media che prelevano dati e informazioni personali adoperati per prevedere il modus agendi del consumatore stringendolo nella morsa di una sorveglianza sempre più intrusiva mentre i suoi comportamenti mappati vengono capitalizzati in un vero e proprio mercato comportamentale, incrementando il business sulla pelle delle persone.
(6) Cfr. F. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari, 1996.
(7) Cfr. N. Lawtoo, op. cit., pp. 45-50.
(8) Ibidem, pp. 51-56.
(9) Cfr. R. Girard, La violenza e il sacro (1972), Adelphi, Milano, 2020 il cap. “Freud e il complesso di Edipo” pp. 235-265; Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), Idem, Adelphi, Milano, 2020 il cap. “Mitologia psicoanalitica” pp. 427-471.
(10) Cfr. N. Lawtoo, op. cit., pp. 56-75.
(11) Cfr. S. Tomelleri, Il capro espiatorio. L’uso strategico della violenza, UTET, Torino, 2023, pp. 47-73.
(12) Cfr. N. Lawtoo, op. cit., pp. 77-120.
(13) Ibidem.
(14) Cfr. R. Girard, Pierre Janet: automatismo e libertà (1995), in P. Antonello e G. Fornari (a cura di), “Mimesi e pensiero. Saggi su filosofia e letteratura”, Transeuropa, Massa, 2019 pp. 59-64.
(15) Cfr. C. Tarditi, Desiderio, sacrificio, perdono. L’antropologia filosofica di René Girard, libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2017 il cap. “La potenza del negativo” pp. 103-129.
(16) Cfr. R. Girard, La violenza al cuore dell’uomo, in (a cura di) R. De Benedetti, “Oltre il sacrificio. Conversazioni con René Girard”, Medusa, Milano, 2017 pp. 81-109.
(17) Cfr. G. Fornari, Quale filosofia nel terzo millennio? Girard, Bataille e una nuova definizione di razionalità filosofica, in G. Fornari e G. Mormino (a cura di), “René Girard e la filosofia”, Mimesis, Milano-Udine, 2012 pp. 107-132.
(18) Cfr. N. Lawtoo, op. cit., pp. 121-126.
(19) Ib., p. 125.
(20) Ib., pp. 128-143.
(21) Cfr. F. Jesi, Mito (1973), Mondadori, Milano, 1980 cap. “Epilogo. La macchina mitologica: ideologia e mito” pp. 105-109.
(22) Cfr. N. Lawtoo, op. cit., pp. 143-150.
(23) Cfr. H. Arendt, Sulla violenza (1970), Guanda, Milano, 1996.
(24) Cfr. E. Voegelin, Il mito del mondo nuovo. Saggi sui movimenti rivoluzionari del nostro tempo (1959), Rusconi, Milano, 1970.
(25) Cfr. K. Hübner, La verità del mito (1985), Feltrinelli, Milano, 1990.
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