di Massimo Cislaghi
Passeremo anzitutto brevemente in rassegna alcuni punti critici che accomunano le odierne società industriali.
Anzitutto viviamo in una sorta di surplus culturale composto da diverse interpretazioni della realtà, di modi variabili di intendere ciò che ci circonda, in ogni ambito dell’esistenza, ognuna delle quali si presenta con una propria legittimità.
Solitamente ingaggiano una competizione delegittimante per chi detiene la verità, a tutto svantaggio di un possibile arricchimento, con il risultato di appiattire ogni proposta.
In secondo luogo la logica razionale e performativa, tipica dell'ambito del mercato, che si è lentamente, ma progressivamente dilatata a tutte le sfere esistenziali, relazioni affettive incluse, improntandole ai criteri di leggerezza, varietà, fugacità, emozione (Bauman, 2008). Rispecchiando l’atteggiamento insaziabile e sempre più esigente del consumatore nei riguardi dei prodotti di cui voracemente si appropria (sostituendoli poco dopo), la persona investe le relazioni di pretese crescenti, eccessive, ed irrealistiche, che vengono di conseguenza deluse sistematicamente.
Le esagerate aspettative nei riguardi dell’altro, rendono difficile incontrarlo per quello che è. Sovente ci si limita alla proiezione dei propri desideri, non facendo altro che tornare di continuo su di sé. Le relazioni assumono così un carattere cronicamente precario e instabile, proprio come i prodotti del mercato, per definizione caduchi. In questo quadro prevalgono l’ansia e la delusione, che accrescono il disconoscimento e la paura verso qualcuno che si conosce sempre di meno.
Terzo, la voracità della finanza globale, delle multinazionali, e dei conglomerati industriali determinano una perdita di potere e di centralità degli stati-nazione, perché capaci di movimentare ingenti quantità di capitali e considerevoli attività produttive, cui sono legati migliaia di posti di lavoro. Nelle loro mani si concentra un enorme potere di pressione, ed una capacità di influenza politica di carattere transnazionale senza eguali.
Gli stati-nazione palesemente delegittimati hanno finito per piegarsi alla prospettiva neo liberale. In tal senso destra e sinistra non fanno altro che ripercorrere le medesime logiche mercatistiche. La forza del neoliberalismo traina, da corpo, e sostiene la globalizzazione finanziaria e delle comunicazioni, così come l’incontrollabile innovazione tecnologica e scientifica, che costringe politici e cittadini impreparati a fare i conti con gli effetti inattesi e deflagranti del suo operato.
In quarto luogo i media digitali figli della globalizzazione della comunicazione hanno plasmato un nuovo rapporto tra cittadini e politica. I primi sono stati privati del ruolo mediatore dei partiti e in generale dei corpi intermedi, detronizzati a tutto vantaggio del desiderio di protagonismo di spregiudicati leader politici, desiderosi di accaparrarsi il maggior numero di preferenze con proclami, azzardi argomentativi e provocazioni di ogni sorta. L’azione di questi leader poggia su di un terreno oggi particolarmente favorevole, in cui il tipico individuo è preoccupato, impaurito, solo, instabile, iper-flessibile, spaesato, incapace di decodificare il reale e di esprimere una progettualità degna di questo nome.
Infine, la costruzione dell’identità individuale, ma in senso più ampio anche quella collettiva, ha bisogno di poggiare sulla tradizione, su ciò che crea una comunità, e fonda un senso di appartenenza, e di continuità. Senza passato il presente diviene superficiale, un insieme di momenti slegati e poveri di senso. In mancanza del passato vengono meno le coordinate di fondo per interpretare il presente, per muoversi con consapevolezza ed agire in modo compiuto. Anche il futuro diviene una sorta di prospettiva vuota, indeterminata e dalle tinte minacciose. Il senso di vuoto finisce così per divenire una dimensione permanente.
Il liminoide
Se quelli evidenziati in precedenza sono alcuni dei tratti culturali dominanti, vi sono anche delle subculture che condividono un orientamento non solo alternativo alla realtà, quanto piuttosto antagonista. Tra queste incontriamo gli spazi liminoidi di cui parla Victor Turner. I fenomeni liminoidi: "… sono considerati innanzitutto come offerte ludiche messe in vendita sul libero mercato". "I fenomeni liminoidi si sviluppano separatamente dai processi economici e politici che occupano la posizione centrale, ai margini nelle interfaces e negli interstizi delle istituzioni centrali e di servizi: hanno un carattere pluralistico, frammentario e sperimentale" (Turner, 2005). Questi spaziano dalla cinematografia allo sport, al teatro, al ballo, e la loro peculiare caratteristica è racchiudere, per quanto siano collocati negli interstizi e nelle pieghe del sociale, una posizione critica nei riguardi di una parte, quando non dell'intera cultura. Sono nicchie che contengono il germe di un potenziale cambiamento culturale: “Considero il liminoide come una fonte autonoma e dotata di una potenzialità critica; … un campo indipendente di attività creativa, e non soltanto un riflesso deformato, una maschera o una copertura per l’attività strutturale nei centri e nelle linee fondamentali del lavoro sociale produttivo” (Turner, 1986, p. 68).
Le subculture liminoidi sono però profondamente dissimili al loro interno, sia riguardo il grado di reale innovazione di cui sono portatrici, sia a proposito del modo di agire sulla cultura più ampia. Non tutti hanno lo stesso ruolo e la medesima capacità di inanellare un movimento di contaminazione.
Alcuni tendono ad incidere in modo preponderante sul versante cognitivo, fornendo gli strumenti per analizzare in modo più profondo ed articolato le alternative culturali esistenti, e potenzialmente possibili, e per valutare in modo critico, ed attento la contingenza sociale e storica in cui si è immersi, come nel caso delle scuole, delle università, delle organizzazioni non governative, delle associazioni culturali.
Altri spazi liminoidi agiscono sul versante emotivo, scuotono la persona, penetrano nelle coscienze, proponendo con grande intensità una situazione diversa. La sorta di stordimento che ne deriva è la conseguenza di un frastuono emozionale che guida la coscienza al di là delle usuali logiche culturali. Ne sono esempi le feste, le mostre d’arte, le saghe, le fiere, il carnevale, gli spettacoli.
La proposta di Lupe Ficara
L’artista di cui desidero parlare in questo articolo è Lupe Ficara. La sua proposta artistica si iscrive a pieno titolo nella prospettiva liminoide. Grazie al suo lavoro pittorico e di ricerca contribuisce attivamente ad offrire uno sguardo rinnovato e criticamente costruttivo, distante dall’abituale proposta ermeneutica cui siamo ormai assuefatti. Offre l’occasione per un risveglio delle coscienze tramite un’espressione culturale, l’arte pittorica, che conserva un’intramontabile forza esplicativa, pre-concettuale, rivolta a chiunque e per questo di un certo rilievo nell’economia del nostro ragionamento.
Lupe Ficara si rifà alla corrente espressionista, ripercorrendo in parte la prospettiva artistica del padre e noto pittore Ficara Franz, che pur non avendo incentivato la figlia ad intraprendere la carriera artistica, come riferito dalla stessa Lupe Ficara, ha costituito un importante humus culturale dal quale la nostra pittrice ha potuto attingere e trarre insegnamento e spunto per il suo interessante percorso artistico. Arte però non significa qualche cosa di separato dalla vita, dal vissuto quotidiano, anzi, in coerenza con la forza dell’espressionismo, arte e vita seguono un comune e continuo binario teso alla realizzazione di una virtuosa sintesi che si esprime in primo luogo nella coscienza dell’artista, per poi sfociare in modo continuo nei suoi lavori: “L’arte è sempre con me, accompagna ogni mia esperienza. Arte e vita non sono distinguibili. L’arte è per me una sorta di ossessione”. Ecco l’esempio di un’ossessione buona, nei termini di quel Daimon di cui si ha tanto bisogno, che la maggior parte di noi non conosce neppure. Lì risiede la chiave per vivere una vita realizzata, piena, felice, anche se magari difficoltosa, ma votata alla realizzazione di sé, una volta che ci si è incontrati, e che si è scelto con coscienza il proprio demone. Invischiati nel “fare quotidiano”, che finisce per divenire una sterile ripetizione fine a sé stessa, ci distanziamo dalla scoperta di noi. La vita di questa artista ci propone invece, insieme alle sue opere, una logica opposta, fatta di ricerca, di interrogazione di sé, di scelte, di fatiche, di successi pienamente vissuti, sui quali il male del nostro tempo, vale a dire il nichilismo, non può avere presa.
I suoi quadri ci suggeriscono anche un modo diverso di stare nella città. Non solo un luogo da attraversare fugacemente per raggiungere mete diverse, quanto piuttosto una realtà polisemica, che può essere contemplata, ascoltata, finalmente vissuta, ma solo al prezzo di sospendere la frenesia abituale. Possiamo, come Lupe Ficara, fermarci a guardare in che modo il reale si dispiega davanti a noi, come gli altri lo abitano, lo vivono, non per mera curiosità, quanto invece per sviluppare uno sguardo, un modo di sentire, alternativo, che ci consenta di immergerci oltre la superficie della quotidiana rincorsa. Cosa ne emergerà sarà diverso per ciascuno, ma avrà comunque un’anima creativa, slegandosi dal dato conosciuto, per ri-pensare, per ri-vedere il noto.
I suoi lavori interessano i paesaggi urbani, la dimensione campestre, e gli individui sia considerati singolarmente, sia inseriti nei contesti paesaggistici.
Propone riguardo le città europee, in diverse delle quali ha soggiornato, uno sguardo in parte critico, di denuncia. Secondo le sue parole sono: “Umanamente ostili, creano isolamento. Sono abitate da persone che recitano dei copioni”. In queste: “Tutto ha un prezzo, inoltre c’è poco tempo per parlare, sono assenti veri luoghi di relazione”.
La sterilità crescente dei rapporti, con il conseguente isolamento e la marginalità che l’accompagna finiscono per divenire fenomeni che rendono difficoltoso, e non di rado poco salutare il contesto metropolitano. La mancanza, o quanto meno la carenza di sufficienti luoghi pubblici di incontro, di condivisione, di possibile confronto, complicano l’utile riscoperta di uno stile più comunitario, in cui, come auspica Lupe Ficara vi sia la possibilità di incontrarsi al di fuori delle ormai dilaganti logiche mercatistiche; in cui sia possibile inaugurare e celebrare la gratuità di un autentico incontro riflessivo, vitale, rivificante, con chi abita la città e con la città stessa. In tal senso la campagna, altro oggetto dei suoi dipinti, offre spazi liberi, potenzialmente aperti a chiunque, non strutturati e parcellizzati secondo una prospettiva funzionale.
Uscire dagli schemi, guardare oltre, lanciarsi in sperimentazioni esistenziali, è un messaggio che Lupe Ficara ci invita a raccogliere, e che la scuola espressionista ha da sempre rivolto al suo pubblico.
Bibliografia
Bauman Z., 2008, Vita liquida, Laterza, Bari.
Girard R., 1965, Menzogna romantica e verità romanzesca, a cura di Leonardo Verdi-Vighetti, Bompiani, Milano.
Turner V., 1986, Dal rito al teatro, Il Mulino, Bologna.
Turner V., 2005, Antropologia della performance, Il Mulino, Bologna.
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