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Il ruolo della vittima | Il caso Asia Argento


Lo scorso ottobre Asia Argento denuncia per abuso sessuale il potente produttore cinematografico Harvey Weinstein, accusato più o meno in contemporanea da altre donne; la vicenda è particolarmente dibattuta e nasce una grande campagna contro le molestie sessuali, denominata #MeToo; pochi giorni fa Asia Argento, tra le ispiratrici del movimento #MeToo, viene accusata di molestie sessuali da parte di Jimmy Bennett, minorenne ai tempi dell’abuso.

All’accusa di Bennett sono seguite in sostanza tre diverse reazioni da parte del pubblico. C’è chi – e questa attualmente è la posizione dominante – attacca rabbiosamente Asia, non solo, ovviamente, per le molestie perpetrate, ma, più in generale, per come si è sviluppato tutto quanto il caso Weinstein. C’è chi preferisce non schierarsi, sostenendo che prima di dare un giudizio è opportuno che la magistratura faccia i dovuti accertamenti. C’è infine chi – posizione nettamente minoritaria – cerca a tutti i costi di difendere Asia Argento.

Premessa. Non mi interessa fare ipotesi su cos’è accaduto veramente tra Argento e Bennett, o tra Argento e Weinstein. Da un certo punto di vista non è nemmeno così rilevante. È rilevante, anzi centrale, per l’iter giudiziario. Ma se ci vogliamo occupare di “fatti sociali” la questione della colpa oggettiva passa in secondo piano. Preferisco quindi volgere l’attenzione proprio alle reazioni dell’opinione pubblica, cercando di approfondirle e di comprenderle. Osserviamo più da vicino le tre reazioni.

La prima reazione è quella di chi attacca. Per la verità va notato che Asia Argento ha subito attacchi, insulti e insinuazioni, ben prima che Jimmy Bennett facesse la sua comparsa nella vicenda. Il caso Weinstein l’ha vista coinvolta in qualità di vittima di molestie sessuali. Perché allora attaccarla nel momento in cui denuncia? Il focus degli attacchi, com’è noto, è il seguente: Asia è molto meno vittima rispetto a quanto si sforza di apparire. I suoi rapporti con Weinstein erano consenzienti e calcolati: l’ha fatto per avere successo nella sua scalata nel mondo dello spettacolo. Facile rendersi conto che questa posizione ha ricevuto un forte impulso con la denuncia di Bennett. Anche coloro che prima, in piena esplosione di denunce per abusi sessuali nel mondo dello spettacolo, non se la sentivano di esporsi eccessivamente contro Argento, oggi le scagliano contro varie accuse, alcune apparentemente ponderate, altre sarcastiche, alcune sprezzanti, altre violente. In poche parole è saltato il tappo. Alcuni poi, non pochi, si spingono a delegittimare quasi indiscriminatamente certe istanze in materia di violenza sessuale e di discriminazione di genere, squalificando genericamente qualsiasi appello contro la violenza maschilista come frutto di una montatura mediatica.

La seconda reazione, quella dell’astensione momentanea, sebbene più avanzata rispetto alla prima, mi pare ambigua. La sostenitrice o il sostenitore di tale posizione sembra solo rimandare il proferimento del proprio giudizio. Tra le righe mi pare infatti di leggere questo: ora non è il momento, ma non appena c’è il segnale giusto, non appena si pronuncerà il tribunale competente, non si farà attendere il mio giudizio preciso e definitivo. L’ambiguità che leggo in questa posizione è anche dovuta al fatto che, come dicevo, la colpa oggettiva non mi pare così determinante per comprendere la situazione generale. Insomma non credo che sia l’elemento centrale su cui basare la propria posizione. Personalmente mi risulta piuttosto difficile credere che Argento non abbia colpe nei confronti di Bennett, ma, credetemi, non è questo il punto.

La terza reazione, silenziosa e totalmente minoritaria, è quella della difesa a oltranza: il “caso Bennett” non dimostra che Asia non è una vera vittima, anzi, ribadisce proprio, ancora una volta, il suo essere vittima. Vittima di una grande macchinazione atta a screditarla.


Credo che il problema sia rappresentato dall’esser vittima. La prima e la terza posizione infatti, e la seconda posizione in potenza, sebbene diametralmente opposte, vertono sostanzialmente su uno stesso punto: la purezza della vittima. La domanda è: Asia è una vittima pura, è una vera vittima, o no? Se non lo è, si tratta un’impostora – più precisamente, di una troia – di cui non ci si può fidare; se lo è, allora è l’eroina da difendere e seguire a tutti i costi.

Ecco, il vero problema è la purezza della vittima. (Consiglio generale: se in un libro leggete troppo spesso la parola ‘purezza’ vi suggerisco, a meno che non abbiate tra le mani un testo di chimica, di dubitare fortemente di quello che state leggendo). Ritengo che l’insistenza sulla “purezza” della vittima sia fondamentalmente un portato della cultura giudaico-cristiana. Per ragioni da approfondire, con il passare dei secoli, alcuni tratti di questa cultura si sono con il tempo cristallizzati, finendo per trasformarsi da elementi di progresso in elementi regressivi. Il modo di confrontarsi con la vittima, o con le vittime, è uno di questi. Per la mentalità giudaico-cristiana la vittima, sotto alcune condizioni, è da concepire innanzitutto come oggetto di venerazione. La vittima viene quindi riconosciuta come tale (questo è un passo avanti rispetto ad altre narrazioni mitiche che nella vittima individuano il colpevole di tutti i mali del mondo), viene elevata a soggetto divino, e viene venerata. Tanto più è sola, tanto più è odiata, insomma, tanto più è vittima, tanto più sarà venerata. Gesù in croce è emblematico. Ovviamente questa mentalità nei secoli ha influenzato altre ideologie e correnti, apparentemente lontane dai due grandi monoteismi.

Attenzione. Se la vittima viene venerata, amata, compatita, e non odiata e ripudiata, lo è pur sempre in quanto vittima. Il passaggio è sottile ma semplice, anche se controintuitivo. La vittima viene venerata, fintanto che è vittima. Dovesse uscire dalla sua condizione di vittima, smetterebbe di essere oggetto di venerazione. Non vi pare un ricatto bello e buono? Ti amiamo e ti compatiamo, okay, ma in quanto vittima. Se non sei più vittima, se reagisci aggressivamente a chi ti colpisce, a chi ti offende, a chi ti dà della bugiarda, beh, allora fine dell’amore. Te la puoi cavare da sola/o. Anzi, forse meglio se ti allontani, che ci fai pure un po’ paura.

Denuncio questo elemento come fattore regressivo del cristianesimo. Tale evoluzione della concezione di vittima ha reso e rende tuttora il cristianesimo facile complice di altre ideologie e correnti reazionarie. Si sta con le vittime, gli ultimi, i poveri, i deboli, purché rimangano vittime, ultimi, poveri e deboli. Ecco l’altra faccia della carità cristiana, prassi e ideale ormai da accantonare a favore di pratiche politiche e di ideologie progressiste, le quali non solo riconoscono disparità e diseguaglianze tra gli individui, ma si impegnano attivamente per abbatterle.


Cosa c’entra tutto questo con Asia Argento? Come dicevo, il dibattito attuale pare centrato innanzitutto sullo stabilire se Argento è davvero una vittima – nel senso dell'ideale cristiano accolto implicitamente sia dal maschilista becero sia dalla partigiana pro-Asia – o no. Ebbene la verità è che Asia Argento non è una buona vittima. Ciò banalmente è dimostrato dal fatto che, anche quando tutte le “prove” remavano a suo favore, e contro Weinstein, già era presa di mira da un buon numero di persone. È evidente che Asia non ha le caratteristiche della vittima perfetta, quella che mette d’accordo tutti. È ricca, è famosa, è stata al fianco di uomini potenti, si presenta come una donna dal carattere forte, è eccessivamente attraente. Insomma, che razza vittima è!? Non si avvicina proprio all’ideale di vittima assolutamente innocua e priva di difesa.

Ma allora è carnefice?! C’è qualcosa di sbagliato in questo ‘allora’. “Se non è vittima è carnefice”. No. La soluzione, quando ci si interroga sul caso singolare, sta proprio nel rifiutare queste logiche dicotomiche e assolutizzanti. Il problema qui è proprio la cristallizzazione di pratiche e ideali, nello specifico di un modo di pensare e di interagire con la vittima. Le nostre vite e le nostre storie sono inevitabilmente dinamiche, inevitabilmente piene di stranezze e contraddizioni.

Ebbene sì, contraddizioni. Ognuno di noi è vittima e carnefice, spesso anche contemporaneamente. Così come – ha abilmente mostrato Girard – ognuno di noi è discepolo e modello. L’istituzionalizzazione di ruoli fissi è funzionale alla stabilità sociale, ma determina delle complicazioni per il singolo individuo.

Se la partita viene giocata sul piano della purezza della vittima, Asia Argento e, aggiungo, l’intero #MeToo, perderanno. Asia Argento è vittima e carnefice. Come tutt* noi. È un errore dunque dare adito alle solite estremizzazioni e soprattutto alle solite personalizzazioni. Non prestiamoci a questo gioco. Il rischio è di rendere deboli istanze sociali generali che invece possono avere un alto potenziale sovversivo. Sarebbe infatti sbagliato interpretare il “siamo tutt* vittime e carnefici” come un “siamo tutti sulla stessa barca, uomini e donne, senza differenze”. Non si può negare una disparità strutturale tra uomini e donne. Le seconde, all’interno del sistema di potere che sancisce la supremazie dei primi, saranno sempre subordinate. Questo non è in contraddizione con il principio “siamo tutt* vittime e carnefici”. Questo principio dovrebbe servire semplicemente da monito, oltre che per avviare una sincera riflessione su di sé, per organizzare più efficacemente e meno ingenuamenente la specifica lotta di classe (leggasi di genere) che vuole abbattere il sistema di potere patriarcale. Meno spazio a personalismi eroici, meno spazio alla ricerca del testimonial di fama con cui le masse si identificano fino a un certo punto, soprattutto meno spazio a stereotipi provenienti da ideologie apertamente schierate contro il progresso sociale.




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