Probabilmente mi asterrò alle elezioni europee. Non votare per delegittimare un’Unione Europa che delegittima sistematicamente la sovranità popolare sancita dalla nostra Costituzione. Questa è la motivazione che mi ronza in testa.
Dall’altra parte, in questi giorni, qui in quel di Concorezzo, si accende la competizione per le elezioni comunali. Essendo impegnato in un progetto civico, nelle ultime settimane ho avuto modo di parlare con molte cittadine e cittadini ai gazebo, sui social, imbucando i programmi, agli incontri pubblici. Chi è attivo politicamente in piccoli contesti conosce probabilmente un particolare tipo di elettore: l’astensionista disilluso. Tanto sono tutti uguali, tanto non cambia mai niente, io tanto non voto perché ormai ho perso la fiducia… Tutta una serie di frasi e tutta una serie di atteggiamenti non così rari.
Faccio una premessa metodologica. Personalmente provo a seguire un principio guida, intellettuale ed etico al contempo: osservare ciò che è altro, per tornare poi a sé. Detto in altro modo, per capire ciò che è vicino, guarda ciò che è lontano. Mi pare a grandi linee il percorso dialettico che hanno battuto pensatori come Darwin, Durkheim, Freud e Girard. Sembra paradossale: vuoi capire le società contemporanee? studia i clan di aborigeni australiani; vuoi capire cosa sono gli esseri umani? vai in qualche isoletta sperduta ad osservare tartarughe. Tornando a noi: vuoi capire te stesso/a? Allora parla con la gente in strada.
Solitamente siamo davvero abili nel raccontarci le migliori ragioni per spiegare le nostre azioni. Credo tuttavia che, proprio in virtù di un continuo sforzo dialettico (altro-sé-altro-sé…), sia possibile rendere meno opache le reali cause del nostro agire.
Perdonate il pippone metodologico. Voglio solo dire che non mi convince questa differenza netta tra la mia presa di posizione sulle europee – che reputo saggia e argomentabile – e la grezza disillusione dell’astensionista selvatico. Ho cercato di pensare a un sostrato comune, a un qualcosa di simile che mi permetta di cancellare, o almeno sfumare pesantemente, questa presupposta differenza. Credo di aver trovato qualcosa di interessante.
L’astensionismo è un problema che evidentemente non riguarda solo le elezioni europee e comunali. Riguarda la politica in generale, e in particolare il nostro Paese e i suoi ultimi decenni di storia (immagine in basso). Sappiamo bene come viene presentato solitamente il problema. Generalmente parliamo di un crescente disinteresse. Il problema è che molt* cittadin* non si interessano alla politica, che sono molto distanti da essa. Questo è quello che diciamo.
Se torniamo alla tipologia dell’astensionista disilluso – su cui non mi interessa dare alcun giudizio morale – possiamo soffermarci su una specifica sottocategoria, quella dell’elettore snob. L’elettore snob è quello che la sa lunga. Si atteggia generalmente con fare distaccato, salvo poi – ambiguità da notare – infiammarsi piuttosto rapidamente in alcuni passaggi. Non si identifica con nulla, ha critiche per tutti e rivendica orgogliosamente la sua astensione. Nella macro-categoria dell’astensionista disilluso rientra anche la sottocategoria dell’elettore tradito. Solitamente questo elettore ha una certa età e alle sue spalle avrebbe una lunga fila di esperienze o di simpatie politiche finite male. L’elettore tradito ha i suoi slogan: tanto poi non cambia nulla lo stesso, ormai ho perso la fiducia, e via andando… Anche l’elettore tradito è solito mostrare un’ambiguità: presenta la sua posizione come un approdo ormai certo, consolidato, si dimostra inizialmente distaccato, tuttavia capita spesso di sentire nel tono della sua voce un tremolio, capita di veder guizzare nei suoi occhi una fiamma.
Da una parte quindi si manifesta un distacco, una decisa presa di posizione, la rivendicazione di una sorta di autonomia; dall’altra parte emerge però l’esigenza, rabbiosa ed appassionata, di uno scontro/incontro, di un confronto.
In Menzogna Romantica e Verità Romanzesca René Girard, occupandosi di Proust, dedica pagine importanti alla figura dello snob. In senso lato definiamo snob chi ostenta indifferenza, chi impugna – magari anche in maniera snob (in tal caso si tratta di uno snob al quadrato) – il principio del ‘io basto a me stesso’, ‘io sto così e così’. Insomma lo snob nega valore alle cose – possono essere oggetti qualsiasi, persone, partiti politici nel nostro caso – per affermare la propria indipendenza rispetto a coloro che invece assegnano valore a quelle cose (rimando al mio precedente articolo per comprendere meglio questo passaggio).
Si nega dunque valore a cose – le elezioni, la politica – per affermare la propria indipendenza rispetto agli altri. Se questa descrizione dello snob è corretta, notiamo che, nonostante l’autonomia ostentata, c’è sempre un altro per lo snob. Si spiegano meglio allora gli atteggiamenti contradditori a cui facevo riferimento. Con il suo non dare peso alle cose lo snob tenta di prendere distanza dagli altri che a quelle cose invece assegnano un valore. Vediamo bene che l’altro è già da sempre sottointeso. Il tentativo di distacco ha senso solo se interpretato come allontanamento da qualcun altro. Il fantasma dell’altro è sempre presente. Lo si può scorgere facilmente in quei tremolii stentati della voce, in quei guizzi negli sguardi che lancia l’astensionista disilluso.
Cerchiamo ora di capire come l’astensionista disilluso “immagina” questo altro da cui cerca indipendenza. Qui ci viene in aiuto la sottocategoria dell’elettore tradito. Egli fa riferimento a una sua fiducia che in passato è stata tradita, umiliata più precisamente. L’elettore tradito aveva sperato in un certo movimento, in un partito, aveva dato il suo appoggio caloroso, il suo consenso informato, ed è stato in seguito deluso, frustrato. L’altro – sto cercando di dire –, il fantasma che cerca di esorcizzare chi mostra disinteresse, è l’umiliatore, è colui che ci ha fatto conoscere il sapore amaro della sconfitta. È colui che gode di quel prestigio, di quella condizione di soddisfazione, che percepiamo come a noi preclusa.
Da questa prospettiva la storiella del disinteresse ci appare come una comica panzana, una menzogna talvolta grottesca. Il disinteresse è una strategia difensiva che mette in atto chi si sente soffocare dal prestigio ingombrante dell’altro. Il disinteresse è in realtà massimo interesse, massima esibizione di orgoglio che fa da contraltare al massimo prestigio dell’altro. Ci vengono in aiuto qui alcuni capolavori di Dostoevskij quali Il sosia e Memorie del sottosuolo, e le analisi di questi romanzi che ci ha lasciato Girard. Sono tutti uguali, mi dice l’astensionista disilluso. Parole identiche a quelle che usano i protagonisti dei due romanzi appena citati. L’indipendenza impugnata e fieramente sventolata, ed espressa nel caso considerato nella forma di un disinteresse generalizzato, rivela sempre il fantasma dell’altro che minaccia la nostra posizione, le nostre convinzioni, la nostra stessa possibilità di indipendenza.
Se quanto ho scritto fila, allora l’astensionismo, piuttosto che far scattare le retoriche miopi e ritrite sul disinteresse per la politica, dovrebbe rappresentare un dato sociologico di tutt’altra valenza. Innanzitutto dovrebbe essere interpretato come fattore di disgregazione sociale. La struttura ‘io e gli altri’ infatti, proprio per sua natura, non può fungere da collante sociale. Nell’io e gli altri non c’è spazio per il noi. Questo per quanto riguarda il dato sociologicamente interpretato. A livello psicologico invece dovremmo cercare un corrispettivo dell’astensionismo non in una vaga apatia, nel cinismo, nel disinteresse insomma. Dovremmo invece prestare attenzione alle dimensioni del risentimento, dell’invidia, del rancore. Se conosciamo più a fondo il male forse lo possiamo curare in maniera più efficace, no? Combattere l’astensionismo non vuol dire combattere il disinteresse, vuol dire combattere le epidemie del risentimento.
L’astensionista disilluso è un risentito. Grazie al percorso dialettico di cui parlavo in apertura, quello che dal sé va all’altro e viceversa, mi è più facile guardare dentro a un certo mio snobismo per quanto riguarda le imminenti elezioni europee. Se sulla superficie trovo argomentazioni di strategia, di principio, di opportunità politica, sul fondo intravedo invece l’ombra del risentimento.
Però, cara lettrice, caro lettore, fai attenzione. Dall’altro all’io, ricorda. Se siete ben decise sul vostro posizionamento politico, e di conseguenza sul vostro voto, sarebbe comunque il caso di fare analisi su di sé. Ricordiamo Stendhal, il quale scriveva che in politica non sono i programmi a generare le opposizioni, bensì le opposizioni a generare i programmi. Ed è bene realizzare che l’opposizione presuppone sempre un altro. Il fantasma dell’altro, insomma, è sempre dietro l’angolo.
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