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Richard Benson: oltre il mito | Ritratto di un genio

Aggiornamento: 18 lug 2018


La mia tesi è semplice: Richard Benson è un personaggio storico e letterario fondamentale, un gigante del pensiero contemporaneo. Nel mio articolo precedente, Da Mosè a Justin Bieber. Spettacolo e religione, ho argomentato che lo spettacolo odierno – e mi riferisco a qualunque forma di spettacolo – ha ereditato alcune funzioni sociali che un tempo erano svolte dalle religioni. Le tre funzioni principali sono le seguenti: fare da collante sociale, ossia rinsaldare e creare legami sociali; fornire occasioni di catarsi, ossia di sfogo, per il pubblico; elaborare modelli sociali da seguire e da imitare.

Come faceva la religione, e come fa oggi lo spettacolo, a svolgere queste funzioni? L’ingrediente principale è il sacro. Spettacolo e religione dovevano e devono tuttora attingere la loro autorità, il loro potere, da una dimensione ultraterrena che eleva queste forme culturali e i loro prodotti a un piano differente rispetto a quello in cui viviamo noi comuni mortali. Ecco perché i palchi dei grandi concerti, così come gli altari delle cattedrali, emanano una specie di aurea sacra, una luce abbagliante che proviene da una fonte misteriosa e per noi irraggiungibile. Ecco perché i Beatles, così come i Santi, o Maometto, o qualunque altro leader religioso, sono capaci di mandare in estasi le folle. Queste figure emanano luce sacra, una luce che ci acceca e ci affascina, e che probabilmente nasconde, talmente è abbagliante, il vero segreto del successo.


Così funziona da millenni. Qualcuno è mai riuscito a comprendere davvero questo meccanismo e a levare il capo contro di esso? Io credo che una persona in grado di compiere tale impresa oggi vive a Roma, è piuttosto anziana e non ha origini italiane. No, non sto parlando di Papa Francesco, ma del nostro Richard Benson. Non lo conoscete? Per farla breve è sufficiente sapere che Richard Benson è stato in passato un modesto chitarrista rock. Suonava sin dagli anni ’70 in gruppi minori e faceva il recensore musicale. Tutto regolare, tutto nella norma. Con l’inizio del terzo millennio tuttavia qualcosa muta in Richard. Inizia a esibirsi in locali di quarta categoria, dove il pubblico lo prende di mira con un collettivo e violento lancio di oggetti. Spazzoloni del cesso, polli e bottiglie in faccia. Uova, latte e farina su tutto il corpo. Conduce inoltre programmi televisivi in cui spara grandissime balle sulla sua carriera e su presunti successi stellari, come musicista, come business man, come donnaiolo. Insomma Richard Benson si costruisce un personaggio che lo rende popolare sulla rete. Assurge ad icona trashendentale (neologismo che prendo in prestito da un collega del Gruppo Studi Girard) e i suoi video hanno oggi centinaia di migliaia di visualizzazioni su Youtube.

Perché credo che Richard Benson sia un genio e non semplicemente un vecchio squallido? Benson conosce i bisogni degli esseri umani e sa come funziona lo spettacolo. Conosce le regole del gioco, ma le usa in modo originale, anticonvenzionale, visionario. Benson, con le sue balle colossali, si propone in maniera tragicomica come un radioso modello di successo, ma lo fa senza alcuna reale pretesa di serietà. Le balle che racconta sono talmente grosse, il suo talento chitarristico talmente modesto (per essere generosi), che è oltremodo chiaro che non può pensare di esser preso sul serio. Sa perfettamente che la sua fama è costruita proprio sull’essere un fallito, un cacciapalle, uno zimbello. Indicandosi come uomo di successo, come il chitarrista più veloce del pianeta, si incorona così, allo stesso tempo, re dei perdenti e dei buffoni. In questo modo il teatro bensoniano - se ci sforziamo di aprire gli occhi - svela un segreto immenso, un mistero che è stato nascosto sin dalla fondazione del mondo. Sovrapponendo con perizia magistrale, quasi con frenesia, il sacro odierno – il successo, i soldi, il sesso – al profano – lo zimbello, il clown, il fallito – , e mostrando il primo attraverso il secondo e viceversa, il grande Benson ci suggerisce che quella luce abbagliante che emanavano allora gli altari e che oggi emanano i palchi, in realtà, non nasconde proprio un bel nulla. Richard svuota insomma il sacro della sua dimensione trascendentale e ci suggerisce che quella luce è un’utile illusione, al più un Cristo Pinocchio. Il grande evento mediatico, la top model, il personaggio televisivo a cui guardiamo incantati, non sono divinità ultraterrene provenienti da altri mondi. Il loro prestigio è una menzogna. Richard svela questa menzogna e sceglie la verità. Lo fa insultandosi, ferendosi e idolatrandosi contemporaneamente. Compie un miracolo e ci mostra che dietro l’altare, dietro lo schermo del televisore, non c’è nulla di simile a quello che immaginavamo.


René Girard sosteneva che alcuni esseri umani, nel corso della storia, sono stati capaci di svelare le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, ossia i meccanismi di formazione delle società umane e le dinamiche mimetiche che governano la psicologia umana. Chi sono questi “profeti”? Ne citiamo alcuni: Gesù Cristo, William Shakespeare, Fedor Dostoevskij, e (aggiungiamo noi) René Girard stesso. Questi uomini avrebbero compreso, seguendo vie diverse, i reali meccanismi alla base della cultura umana e li avrebbero mostrati – Gesù Cristo con l’esempio della propria vita (o almeno con quello che ci è stato raccontato della sua vita), gli altri tre per mezzo dei loro testi – per quello che sono veramente, senza i filtri trasfiguranti degli sguardi lanciati dalle schiere di fedeli che, adoranti, rivolgono gli occhi all’altare/palco. Questi saggi hanno mostrato che i veri meccanismi hanno a che fare con il controllo della violenza delle folle – quantomai terrena e concreta, e quindi quantomai da nascondere con utili illusioni –, di quelle stesse folle che ammirano incoscienti le divinità. Non posso qui soffermarmi oltre su questi meccanismi sociali, illustrati in maniera sistematica per la prima volta da Girard negli anni ’70. Desidero solamente aggiungere ancora un nome alla lista degli svelatori profetici, quello appunto di Richard Benson. Egli ha saputo svelare le menzogne che si nascondono dietro le luci del palco, e ha denunciato il vuoto e l’assenza dietro l’altare. Nel mostrare il vuoto del prestigio sacrale Benson punta il dito verso l’elefante nella stanza delle società umane: la violenza. Splendido capro espiatorio “post-moderno”, Richard sottopone la sua carne e la sua persona al linciaggio collettivo e rende manifesta la reale natura del sacro. Le prime divinità infatti, lo ha dimostrato

chiaramente Girard, non sono altro che cadaveri di esseri umani linciati da folle omicide. Le divinità odierne sono gli stessi cadaveri, semplicemente in uno stato di decomposizione più avanzato. Richard incredibilmente denuncia questa verità e, a beneficio (?) di tutti noi, prende sulle sue spalle e sulle sue braccia questa dolorosa croce.

Nel fare questo Richard è in grado addirittura di surclassare Cristo, Shakespeare e Dostoevskij. Supera i due geni assoluti della letteratura in quanto non solo mostra le dinamiche più tipiche della specie umana, ma le incarna, ne porta testimonianza sulla propria pelle. Richard va oltre addirittura Gesù Cristo. Il secondo, per farsi prendere sul serio, è dovuto ricorrere a miracoli e a magie, ha dovuto attingere alla dimensione sovrannaturale di cui parlavamo prima. Richard non ne ha avuto bisogno. Richard non ha fatto ricorso a trucchetti. Niente ganci appesi al cielo (direbbe Daniel Dennett). Richard non ha lasciato dubbi: il cielo è vuoto, ci siamo noi con la nostra violenza e con le nostre capacità di controllarla. Insomma è l’assenza di miracoli a essere il più grande miracolo di Benson.


Grazie Richard,

Con sincero affetto e stima.





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