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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Rito e sport | Correre per vincere o inseguire per sconfiggere?

Aggiornamento: 14 apr 2019



Tra le molte competizioni sportive che Achille propone in onore del defunto Patroclo osserviamo la corsa. L’idea sembra quella di voler premiare il più veloce (cfr. Iliade, Canto XXIII, v. 749), come d’altra parte ci aspettiamo tutti, invece accade qualcosa di inaspettato. Odisseo non riesce a superare Aiace d’Oileo, allora nell’ultimo tratto di corsa prega la dea Atena, che fa scivolare l’avversario nello sterco di buoi. Il povero Aiace arriva dunque secondo, con tanto di triste umiliazione, mentre il premio del vincitore spetta allo scaltro Odisseo senza che nessuno abbia da ridire.

La scena è emblematica, non solo perché è il primo racconto di quella che è diventata forse la più popolare delle gare atletiche, paradigmi di tutte le competizioni sportive. Il colpo di scena appare spassoso, invece è per certi versi triste: proprio per questo è un ottimo spunto di riflessione. Balza all’occhio che in questa gara non c’è niente di “sportivo” e che il motivo non si esaurisce nella considerazione, corretta ma superficiale, che l’occasione è quella di un rito in onore di un defunto.



È sempre rimasto in parte inspiegato quale sia il legame profondo tra rito e sport. Non vi sono più molti dubbi che inizialmente le competizioni sportive venissero organizzate in occasione di rituali, non è mai stato altrettanto chiaro il perché. Sappiamo che l’uomo è competitivo, qualcuno aggiunge poi che l’uomo è anche superstizioso. L’episodio di Odisseo ci mostra che il divino non interviene in maniera misteriosa, è l’eroe che invoca un aiuto divino spinto dall’incitazione della folla, che alimenta la sua brama di vittoria (cfr. ivi, vv. 766-7). Qui c’è solo competizione, spinta all’estremo potremmo dire.

Sarà una coincidenza ma del solo riferimento alla competizione, spinta mimeticamente all’estremo all’interno di un gruppo, ha bisogno l’antropologo René Girard per spiegare l’origine di ogni rituale (nella Conclusione di La violenza e il sacro si accenna al gioco in generale in quanto inizialmente rituale come gli altri e in Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo si approfondiscono i rimandi tra tipi di gioco e momenti delle crisi mimetiche). Possibile? Improvvisamente il legame tra competizione sportiva e rituale, da misterioso diventa quasi ovvio. La rivalità sportiva non è altro che una delle tante forme di ritualizzazione di una rivalità senza freni, quindi potenzialmente devastante.

Restiamo sulla corsa, senza cercare scorciatoie tra competizioni più vicine al combattimento, che meno si sono allontanate dallo scontro bruto, meno ritualizzate. Le famose Olimpiadi sono sorte in Grecia, ma le gare di corsa sono sorte ovunque. Girard ci riporta il racconto proveniente dall’isola di Tikopia dell’arcipelago Salomone, che parla dell’atua di nome Tikarau. Egli è straniero, perciò quando arriva viene preparato in suo onore un banchetto e organizzate prove di forza e velocità. Durante la gara di corsa il protagonista scivola e cade, allora finge di zoppicare, ma all’improvviso si lancia sul cibo, ne arraffa quanto più può e scappa inseguito da tutti. Nella fuga cade di nuovo, lascia cadere alcuni cibi, quelli che resteranno ai posteri, gli altri li porta via salendo per un colle fino al cielo.

Qui ci sono non una ma due corse, due gare di corsa: la prima è quella già istituzionalizzata, cioè già ritualizzata, ma la seconda non lo è; infatti la rivalità è di tutt’altro tipo. Il mito ovviamente non distingue fasi storiche, però propone un evidente legame tra i due episodi, che spetta ai posteri approfondire e comprendere. Nel suo complesso il racconto ha due elementi in comune con quello omerico, per cui la loro presenza si può dire che non è casuale: l’imprevisto e l’ostilità. Prima era l’ostilità a causare l’imprevisto, ora è l’imprevisto a giustificare l’ostilità.



Siamo passati dal parlare di competizione alla rivalità vera e propria e l’ostilità giustificata. È un passaggio lecito? Lo dobbiamo accettare solo perché lo richiede Girard?

Un ultimo fondamentale contributo lo raccogliamo laddove forse ben pochi si aspetterebbero. Tra le tante fiabe i fratelli Grimm ne scoprirono una intitolata Il re di macchia. Anche gli uccelli organizzano una gara, stavolta per scegliere un re (altra nota occasione di rituali nel mondo umano). Coincidenza anche qui accade l’inaspettato e l’inaspettato non è gradito. Anzi, è del tutto esplicita l’assoluta ostilità nei confronti del furbo uccellino che con l’inganno pretende di aver vinto e che da quel momento deve nascondersi da tutti per non rimetterci la pelle. Questa volta la furbizia non è un pregio, anzi è presentata come motivo della massima condanna. Come mai?

Non osserviamo semplice mancanza di sportività, ma un crescente disprezzo per l’altro fino all’odio. Forse per questo l’imprevisto accade in maniera così frequente e prevedibile: l’impressione è che queste gare siano falsate fin dall’inizio e che non sia un vincitore ad essere cercato, ma uno sconfitto, uno da sconfiggere. Aiace evidentemente non è amato dagli dèi se inciampa nello sterco: nessuno può essergli solidale; Tikarau è uno straniero: ci si può aspettare che sia un imbroglione e un ladro; l’uccellino non è nessuno, piccolo e senza nome: gli affibbieranno il nome “re di macchia” per schernire la sua assurda pretesa.

Rivalità, segni vittimari, inseguimenti non sono presenti per caso in questi racconti: rimandano a quella crisi in cui non vigevano più regole e l’antagonismo era senza controllo, conclusasi con la caccia al capro espiatorio. La memoria ricorda l’importanza delle regole, l’importanza che la competizione si esprima in un contesto ritualizzato, cioè attraverso uno sport che non sia più un brutale confronto distruttivo ed autodistruttivo. E se anche accadesse l’incidente sarebbe comunque evitata l’escalation.

La moderna idea di sportività si spinge oltre. Apporta come novità innanzitutto l’intenzione di voler riconoscere pari dignità all’avversario e che tale riconoscimento è più importante del desiderio di sconfiggerlo. Questo nuovo freno alla rivalità incontrollata non è più semplicemente posto a dirigere con regolamenti i comportamenti, ma ha la più profonda ambizione di educare l’animo umano.

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