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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Ero il trauma in questo immenso corpo di bellezza | Su "Mulholland Drive"

Aggiornamento: 25 gen 2023


Mulholland Drive – la Chevrolet con a bordo l’attrice avanza nell’oscurità notturna – ma verso dove? Mulholland Drive 6980 – così le hanno detto al telefono, la voce della sua amata Camilla ripete a Diane l’indirizzo della villa dove avverrà il Trauma. Diane – la bionda a bordo di una Chevrolet che avanza nell’oscurità e all’improvviso si ferma dove non dovrebbe, su una strada a metà tra il basso e l’alto, dove l’ospite condotta contro e nonostante la propria volontà si trova al cospetto della realtà che vuole a tutti i costi abolire. “Che sta succedendo? Non dobbiamo fermarci qui” – e invece è proprio lì che tutto comincia – su Mulholland Drive. Al momento dell’incidente? No, ma all’inizio del Trauma, nella cucina del sogno – nella Selva tagliata a metà dalla strada che segna il confine tra la Città dei sogni –Los Angeles – e il mondo reale.

Non stavamo descrivendo l’inizio del film, come può sembrare, ma una delle sue ultime scene. Quando Diane, dopo essersi masturbata furiosamente – e la telecamera va fuori fuoco al ritmo dei suoi tentativi di riguadagnare il principio di piacere contro quello di realtà – è invitata dalla donna che ama, Camilla, a partecipare a una festa in una villa su Mulholland Drive. A metà percorso Camilla viene a prenderla, interrompe la sua corsa in Chevrolet. Camilla che ti conduce attraverso la Selva, verso l’alto – la guida infera che sale il monte di purgazione… verso il paradiso? E’ solo l’ennesimo inganno degli arconti. In cima al colle c’è una villa di vetro e metallo, fredda come il regno della veglia, dove Diane scopre che la sua Camilla, la sua amata Camilla, sta per sposare Adam.

Chi è Adam? Il regista che ha scelto Camilla per la parte – il regista che incarna il Discorso della Città dei Sogni, che distribuisce le parti di giustizia – che taglia decisamente, che dona il nomos, la “parte per il tutto”. Adam sa che Camilla Rhodes è “the girl” – la ragazza della foto che gli portano i mafiosi, raccomandando e anzi imponendo la scelta al presunto artefice del sogno che si intitola “Sylvia North story”. Non si è liberi padroni di sé e del mondo, nel sogno, ma si è agiti da altri – da altro – ed esecutori di un piano ordito dagli arconti maggiori, che stanno dietro lo schermo di vetro, decidendo le parti per il tutto. Diane desiderava tanto quella parte – ma alla fine fu Camilla la protagonista: al regista – si chiamava Bob Brooker? – Diane non era piaciuta molto…

Alla festa in Mulholland Drive 6980, il regista Adam annuncia pubblicamente che sta per sposare Camilla – la donna che Diane ama. Appena un istante prima, come una beffa più cocente ancora delle risa amorose che accompagnano il tremendo annuncio, una donna bionda senza nome – “the girl”? – viene a baciare Camilla – la sua Camilla – per poi sparire subito dietro una parete, incrociando la strana, beffarda figura di un cowboy – il regista di quella infernale presa in giro?, si chiede la povera scema. Sostituzione: qui è l’origine del trauma, questo è l’Evento da rimuovere, che il principio di piacere non può digerire o integrare nel suo reame di dopamina e sogno. E allora tutti i frammenti di quel momento, le istantanee del Trauma che avviene prima e durante l’annuncio del matrimonio di Camilla e di Adam, tutte le schegge di quel pezzo di reale che non può essere digerito vengono prese e risignificate – dove? Nel sogno.

Il sogno è tutto il resto del film – ovvero, ciò che viene, sulla pellicola, prima del Trauma. La ragazza anonima che bacia Camilla nella festa alla villa è battezzata “the girl”, nel sogno: la Camilla Rhodes che la mafia che comanda il sogno – e non è forse altro che la “Mente-Che-Cancella”, direttamente dal primo film di Lynch – impone al regista Adam come protagonista.

Verso quello stesso luogo di verifica del reale – il set di Adam – viene condotta Betty – l’alter ego di Diane nel sogno – dopo un provino straordinariamente felice, nel quale ha dato il meglio di sé. Betty è al culmine del suo successo immaginario, ed è condotta in un luogo onirico – il set cinematografico di Adam – che però è anche, nella veglia, uno dei luoghi del Trauma, dove la coscienza del reale – la sostituzione di Diane con Adam nel discorso amoroso di Camilla – si fa strada con dolore nel cuore di Diane. Tutta la realtà che non reca con sé il piacere, tutto il negativo va abolito – nel sogno, dove solo la soggettività può viaggiare libera dalle catene della carne e dello spirito mortificati. Il caffè che risveglia Coopera fa schifo, è una merda – anche se era della qualità migliore.

Sul set dove si prepara il suo trionfo ulteriore al provino andato alla grande – siamo sempre nel sogno – Betty vede apparire una versione quasi larvale di sé stessa: una biondina truccata male, senza qualità particolari, di cui però il regista è condannato a proclamare l’elezione – dalla mafia onirica che dirige ora il film, che non è più suo. Quella ragazza scialba e insignificante è “the girl” – una qualunque, scelta da altri, la cui apparizione concomitante fa fuggire Betty dal set, come al cospetto del Trauma o del suo annuncio. Una sostituta – di Rita, nel sogno, ma di Diane nella veglia: una qualunque bionda che può sostituire Betty nel sistema-Hollywood, Diane nel sistema-Amore. Ecco che riappare il Trauma. Chi era “the girl”, la bionda insignificante che nel sogno portava il nome di Camilla Rhodes? Una qualunque, scelta da altri – non-me.

“The girl”, la Camilla Rhodes del sogno, è la ragazza che la vera Camilla Rhodes bacia alla festa – il luogo del Trauma – poco prima che il suo matrimonio con Adam sia annunciato. Una da nulla – dal nulla, da dietro una parete con un cowboy – una bionda che assomiglia a Diane, le cui labbra però baciano ora quelle della vera Camilla – una bionda che quel verme di Adam sceglie per mollezza, soccombendo al dominio dei signori occulti, al posto di Betty – il cui posto a sua volta però era, innanzitutto, il posto di Rita – la versione onirica di Camilla – che ha mancato l’appuntamento con il destino, in cui sarebbe stata lei a ottenere la parte, per colpa dell’incidente. Ma chi ha deciso l’incidente?

Cos’è – anzi – l’incidente? Un evento che interrompe il corso naturale degli eventi, cioè la storyline in cui Rita – la Camilla Rhodes onirica – sarebbe arrivata a ottenere la parte di “the girl”. I signori oscuri del sogno devono intervenire per ripetere il Trauma là dove il principio di piacere di Diane cospira per abolire la realtà indigeribile, evocata da una telefonata presso una lampada rossa.

Impossibile “sospendere tutto”, come propone uno dei sicari all’uomo dietro il vetro, che non parla, perché va da sé: non si può sospendere tutto, si deve anzi ripetere sempre e sempre. Ripetere il Trauma, ovvero: assegnare la parte nel film a Camilla Rhodes – ovvero: compiere la sostituzione originaria, la divina selezione di Camilla che fa di Diane un resto santo, uno scarto immondo e del Sistema-Hollywood e del Discorso amoroso. Coazione a ripetere, ovvero: ridestare l’Evento originario, il Traum (sogno e trauma) da cui tutto origina. Senza l’Evento, infatti, non ci sarebbe storia – per questo esso deve ripetersi. Molti, certo, vorrebbero esistere a prescindere dal proprio trauma, separandosene – sono i furbetti di cui parla il cowboy. “Quante persone servono per guidare una carrozza” – per condurre il sogno? “Una” – ma non è detto che questa sia il sognatore in quanto soggetto vigile e volente. Così, nella vita di ciascuno l’Evento deve aver luogo sempre e in continuazione – perché si dia la storia del vivente, la quale altrimenti non sarebbe, semplicemente. Non ci sarebbe film, se il Trauma non si verificasse. Il cowboy è il custode ragionevole di questo irragionevole gioco.

Ed ecco come il sogno e i suoi arconti custodi – non il sognatore – cospirano per ripetere l’Evento di Sostituzione che la sognatrice non potrà mancare di ritrovare all’origine di tutto. La telefonata presso la lampada rossa evoca una Betty felice e spensierata che atterra nella Città dei sogni accompagnata da due vecchi sorridenti – i cui sorrisi orrendi e imposturati nell’automobile evocano già l’angoscia che assalirà lo spettatore quando li vedrà incombere su Diane terrorizzata, nella scena finale, quando la disperata sognatrice finalmente porrà fine alla sua vita sparandosi in testa.

Chi sono i vecchi? Si direbbero figure genitoriali, ma sono soltanto il volto sdentato e beffardo dell’illusione – sono il Principio stesso del piacere, che commina il godere oltre il trauma e dentro il Traum, al di sopra – o al di sotto – dell’Evento. Sono gli incestuosi masturbatori, sono la mano violenta che Diane caccia nella fica della sua amata Camilla quando questa dice che il sogno deve finire – che finirà il godere. No, dicono i vecchi con i loro volti orribili, che nell’età del patire imposturano un volto che gode, contro ogni logica: dovrai riprovarci – a godere, batterai quella fica finché non tornerà a piacerti.

Perché non godi? La vendetta è compiuta, la chiave blu è sul tavolino – il killer ha detto che quando avesse ucciso “the girl”, Diane l’avrebbe trovata lì. Perché l’orrore persiste? Perché il sangue non sazia? Il meccanismo del Trauma che vuole abolirsi – e però non può cessare senza che cessi la vita che su di esso si fonda – può condurre a una sola conclusione: eliminare il luogo del Trauma, se il Trauma è connaturato al Träumer, se il sognatore è quello stesso dolore che dà luogo alla vita. Per questo Diane deve spararsi in testa – altrimenti il sogno ricomincerebbe, e una nuova menzogna cercherebbe di abolire il reale e perpetuare il godere. Ma Diane ha troppa vecchiezza sulle spalle – certi sognatori hanno patito più vite e più anni nell’anima di quelli che i loro volti ancora giovani testimoniano.

Abbiamo letto Lynch con Freud – e un pezzettino piccolo piccolo di Girard? Sì, ma manca un pezzo: il mito del mostro dietro il muro. Questo non cade sotto i colpi del bisturi razionalista – questo sta dietro, si nasconde e rifiuta la luce della ragione. Questo è un mito: perché rappresenta il male – la scelta di Diane di uccidere Camilla – come qualcosa di sovrumano, dalla cui azione originano i demonietti quasi-umani – i vecchi che sbucano dalla scatola blu lasciata cadere presso al fuoco – che spronano il lavoro mistificatorio del sogno.

Il mostro stesso non è una ragione di origine umana – eppure “è lui la causa di tutto”, dice il poveretto che creperà alla vista del male denudato, nella prima scena al Winkie. Cos’è questo residuo mostruoso che, unico, non veste panni umani nell’orribile messinscena di Diane dormiente? Un’altra figura del lavoro onirico? Ma nessun elemento della veglia può averlo prodotto, nessun pezzetto di realtà da rielaborare o rimuovere cospira a cuocere la figura orrenda dietro il muro. Lynch non è un razionalista – anche se forse, con un po’ di impegno, tutti i suoi lavori di genio e di sogno possono essere ricondotti a una forma bifida e metastatica di ragionevolezza – e questo lo differenzia da Freud, e forse anche da Girard. Lynch è forse un razionalista solo nel senso in cui lo è anche Camus, per il quale il male è astrazione – ovvero nulla di umano, ma qualcosa che risulta dalla rimozione chirurgica di tutto ciò che di veramente umano – di bello e di buono – esiste nei cuori delle persone.

Quel male è sovra-umano, e vive dietro un muro nel parcheggio del Winkies. E’ anche detto Jiaodai – o Judy – la bestia che si è mangiata la faccia di Sarah Palmer. Bob non ne è che un esecutore – una larva dal volto umano, i woodsmen che popolano il mondo di Twin Peaks, il verme volante che nasce dai resti radioattivi dell’esplosione atomica nel 1945. Un male che gli uomini hanno solo risvegliato, ma che non è sostanza della loro carne – soltanto, forse, dei loro sogni. Un male che nessun redentore deve riscattare, perché non è il peccato originale, ma la restanza di una semplice caduta – l’inciampo sulla pietra dello scandalo, dal quale ci si può rialzare in qualunque momento.

“Spero che non dovrò mai vedere quella faccia quando sono al di fuori del mio sogno”, dice il poveretto accoppato dall’infarto. Dovremmo augurarci lo stesso, visti i risultati?

C’è un altro elemento che nella ricostruzione razionale non vuol tornare: il cadavere di Diane, che appare a Rita e Betty steso nell’esatta posizione in cui Diane si addormenta – e anche in cui, alla fine del film, muore. Come può Diane, sognando, aver visualizzato quel luogo, quella posa nel letto, e il suo cadavere putrefatto nel futuro? Non tutto, nel dramma onirico di Diane, si tiene con perfetta logica: siamo onesti. Ma se dovessimo provare a includere anche questo elemento nel sistema di interpretazione, forzando l’apertura del senso, dovremmo immaginare che il sogno stesso inizi nel momento in cui Diane muore.

To sleep – perchance to dream? Chissà. Rudolf Steiner immaginava qualcosa di simile, dopo la morte: un lunghissimo trip dei ricordi della propria vita, forse solo quelli salienti, che prelude al battesimo della sfera del fuoco, che rinnovella e annuncia redenzione e rinascita. Chissà se anche Lynch non se lo auguri – o sappia di queste cose, e abbia voluto raccontarcene per bontà d’animo. E che Diane non sia già in qualche luogo del mondo reale – reincarnata? Fuori dal film?


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