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In La violenza e il sacro (1972) una delle tesi fondamentali di Girard è che «il sacro unisce in sé tutti i contrari, non perché differisca dalla violenza ma perché la violenza pare differire da se stessa; talvolta riforma l’unanimità intorno a sé per salvare gli uomini ed edificare la cultura, talora invece si accanisce a distruggere ciò che aveva edificato» (ed. Adelphi, p. 359). In Portando Clausewitz all’estremo (2007) un’altra è che la progressiva scomparsa del sacro nella storia occidentale se da un lato lascia spazio a una maggiore attenzione alle vittime, dall’altro esaspera la violenza che non trova più argini. Tutto ciò è emblematicamente sintetizzato dall’antica Odissea e l’odierna trasposizione cinematografica di Uberto Pasolini, Itaca. Il ritorno.
Questo film, infatti, negli eventi narrati abbastanza fedele al poema omerico, sembra inserirsi in una traiettoria, che già aveva iniziato a tracciare Il primo re, altra trasposizione di un mito, proposta da Matteo Rovere (anche di questa ai tempi della sua uscita fu dedicato un commento). Se la nuova versione della storia di Romolo e Remo era epurata da qualsiasi personaggio divino e il sacro era presente solamente nella forma del rituale e della (presunta) profezia, nella nuova versione della storia di Odisseo è il sacro stesso a essere completamente epurato. Non solo non c’è nessun dio – dea più che altro, visto che sarebbe soprattutto Atena ad averne diritto – a farsi vivo, ma addirittura scompare qualsiasi traccia di religiosità e ritualità religiosa. Il divino non viene nemmeno nominato (a riprova che il tema non è il budget non hollywoodiano).
Ma l’obiettivo non è un vuoto gridare allo scandalo per questo tradimento nei confronti della versione “originale” (tra virgolette perché per i miti non esiste una vera versione originale), piuttosto si vuole cogliere lo spunto per interrogarsi su come ne risulti modificata l’opera e dove porti questa odierna traiettoria intrapresa.
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Partiamo dunque con una prima non secondaria differenza. Nell’Odissea l’eroe al suo risveglio a Itaca incontra Atena. Ci sarebbe molto da commentare in merito all’intervento di una dea, ma un punto in particolare è utile sottolineare in vista del confronto con il film di Pasolini: è lei a spronare Odisseo a vendicarsi dei pretendenti di Penelope ed egli si dice subito pronto ad affrontare così tanti avversari proprio grazie a lei (cfr. XIII Libro, vv. 375-91). Il punto è ribadito nel momento in cui Telemaco riconosce il padre e accetta di passare all’azione: ancora viene sottolineata l’importanza di avere qualche divinità alleata contro un così alto numero di nemici (cfr. XVI Libro, vv. 241-65). La notte prima della resa dei conti di nuovo l’eroe avrà bisogno di ricevere un’ulteriore conferma dell’appoggio divino (cfr. Libro XX, vv. 37-53). Si tratta indubbiamente di un caso emblematico che mostra il forte legame tra violenza e sacro.
Nella trasposizione invece non solo Atena è assente, ma in più il protagonista ritornato a Itaca sembra condannare la guerra nei dialoghi con gli altri uomini che incontra, nel racconto di quella di Troia riporta persino il punto di vista dei nemici sofferenti per il lungo assedio portato avanti da lui e i suoi compagni d’arme, anche per il fatto che si sente indegno per non aver riportato a casa i suoi soldati non sembra più intenzionato a combattere per rivendicare qualcosa. La scomparsa del sacro pare quindi effettivamente coincidere con nuova attenzione alle vittime della violenza e pertanto a una rinuncia a essa.
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Eppure proprio come nell’Odissea, anche nella trasposizione l’eroe decide di mettere alla prova coloro che occupano la sua casa. Ma soprattutto è curiosa una differenza: se nella versione del poema omerico i pretendenti di Penelope dimostrano rispetto – che non a caso molto ha a che fare con il sacro (cfr. XVII Libro, vv. 483-7) – e dispensano cibo all’ospite mendico con una sola eccezione, nella nuova versione di Pasolini si assiste al contrario, è la maggior parte a maltrattare Odisseo travestito.
Segue un’escalation di violenza tanto nel poema omerico tanto nel film di Pasolini, ma il suo significato risulta essere a questo punto completamente differente. Nell’Odissea si presenta come un’altra delle tante vicissitudini in cui il sacro determina le sorti degli uomini (a proposito dell’effettiva importanza di Atena durante lo scontro cfr. Libro XXII, vv. 255-9 e vv. 297-309), che li porta al successo come alla rovina, e da questo punto di vista, considerato l’intero arco narrativo dell’opera, il protagonista è un uomo non differente dai suoi avversari. Egli in effetti da pari sembra trattarli, dal momento che orgogliosamente non vacilla, quando viene colpito nelle vesti di mendico, senza fingere di essere loro inferiore (cfr. Libro XVII, vv. 462-4), e al contempo accetta di riconoscerli nel loro ruolo di nemici, che vanno messi in guardia anticipatamente di ciò a cui andranno incontro se non si ritireranno (cfr. Libro XVIII, vv. 143-50). Gli stessi combattimenti sembrano rimarcare una certa uguaglianza tra contendenti, prima quello con Iro che si presenta come figura di mendicante vagabondo tanto quanto il re di Itaca nel suo travestimento, poi quello con i pretendenti quando recuperano armamenti che permettono loro di affrontare con pari mezzi l’eroe e i suoi alleati.
Molto differente è invece Odisseo nel film di Pasolini (sebbene invece nell’aspetto sia una convincentissima rappresentazione), che nasconde la sua identità dietro il molto moderno atteggiamento della vittima da compatire, costretta alla violenza dagli altri. Addirittura in una prima fase questa si presenta indiscutibilmente come legittima difesa, per poi evolvere nella finale strage indiscriminata. La questione non è tanto se essa sia più o meno spietata di quella della versione antica (sicuramente meno credibile senza la dea Atena, ma questa è l’epoca dei “super”-eroi), è il suo mutato significato. Il sacro non c’è più, eppure viene sostituito da un ideale di pace fondato sullo scandalo della guerra, che in ultima istanza si rivela scandalo nei confronti di chiunque possa essere un nemico che minaccia la (propria) pace. La violenza c’è ancora, semplicemente adesso è incentivata solo per fermare chi sarebbe il vero colpevole del suo insorgere, e dal momento che l’ambiguità della dinamica finisce per esporre tutti indiscriminatamente, la nuova attenzione alle vittime si trasforma in una rivendicazione di essere la vera vittima.
A tal proposito è interessante notare un’ultima fondamentale differenza: solo il poema omerico si conclude con l’affermazione che la violenza, a prescindere da quanto sia giustificata, dal punto di vista del sacro richiede una purificazione e dal punto di vista profano ne fomenta altra sotto forma di ritorsioni e nuove vendette. Queste rendono ancora una volta decisivo il ruolo della dea Atena e di Zeus: il sacro le interrompe “riformando l’unanimità per salvare gli uomini”.
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