Il mondo sta per finire. La sola ragione per la quale potrebbe durare è che esiste. Come è debole questa ragione, paragonata a tutte quelle che annunciano il contrario, e specialmente a quest’altra: che ha ormai da fare il mondo sotto al cielo? … La rovina universale, o il progresso universale (poco m’importa il nome), non si manifesterà specialmente per mezzo di istituzioni politiche: avverrà attraverso l’avvilimento dei cuori.
Tuttavia io lascerò scritte queste pagine, — a documento della mia collera.
C. Baudelaire, Razzi, XV
«Decisamente, mi sono detto, nella nostra società il sesso rappresenta un secondo sistema di differenziazione, del tutto indipendente dal denaro; e si comporta come un sistema di differenziazione altrettanto spietato, se non di più. Tuttavia gli effetti di questi due sistemi sono strettamente equivalenti. Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l'amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l'amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato "legge del mercato” … Il liberalismo economico è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l'estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società» (1). Estensione, Le particelle, Piattaforma, La carta e il territorio; già le voci dei romanzi, in Houellebecq, sono rivelative di un paradigma spaziale, configurano il piano orizzontale e indifferenziato dal quale l’individuo contemporaneo è chiamato ad affiorare ed emergere. La lamentazione del novello Meursault è formulazione acerba di un movimento che innerva tutta la produzione narrativa dello scrittore: lo spazio vacuo di quella che Lipovetsky definisce l’ére du vide (2) (l’epoca contemporanea, spogliata di ogni valore e salda coordinata, terreno informe perché de-saturato e liberato da un qualsiasi definitivo orizzonte di senso) slitta sotto i piedi del soggetto lasciato a se stesso, che si ritrova ad arrancare — sempre se l’incedere non rovina, perduto ogni appiglio, in un vertiginoso rotolare: come notava già Nietzsche (3) — verso la realizzazione piena della propria identità. Sulla scena odierna, l’inestinguibile battaglia per il riconoscimento, banco di prova per il compimento di ogni soggettività, abbandonata una delle sue ultime moderne figure dello scontro economico fra agenti sul mercato, va riversandosi entro la dimensione erotica ed affettiva. Il compito del romanziere, per Houellebecq, è semplicemente «rendere conto del mondo»: e se in questo straripare del dominio della lotta nella sfera relazionale è rintracciabile, all’occhio attento dell’autore, la conca depressiva scavatasi alla giuntura di consumismo massificato e liberalizzazione sessuale (4), è anche vero che il rilievo può dar luogo a verità più profonda (mi scuso per il procedere confuso e precipitoso, e tento di procedere con ordine).
Seguo il bel testo di Elena Pulcini, L’individuo senza passioni, di cui prelievo campioni, carotaggio piuttosto aleatorio e sommario di una più vasta e stratificata archeologia dell’individualismo. Il conflitto pre-sociale (e la sua possibile ricomposizione in comunità), così come raccontato da Hobbes, Locke, Smith, Mandeville, ha per Pulcini la propria forza motrice in una pulsione che, al netto della poliedricità, si scinde in due direttive, l’una tendenzialmente subordinata all’altra: un desiderio di avere, brama oggettuale indirizzabile verso beni di vario tipo, e un desiderio di essere — o forse anche soltanto d’apparire (è possibile tracciare con mano salda una linea tra i due momenti?). Per l’individuo immerso in una più o meno vasta rete di relazioni, siano esse pre-sociali o successive allo stato di natura, il conseguimento dell’oggetto del contendere sarebbe insomma funzionale, prima ancora che all’assicurazione di benessere materiale e assestamento di proprietà, al bisogno di distinzione rispetto all’altro uomo. Il valore simbolico del possesso è insomma privilegiato rispetto all’effettivo vantaggio materiale: «gli uomini desiderano possedere qualcosa non tanto per il suo valore o per la sua intrinseca utilità, quanto perché questo qualcosa è il mezzo per soddisfare il proprio self-love, ottenendo stima e ammirazione universali» (5). Ogni prensione, come espressione di affermazione del sé, manifestazione incontrovertibile di sovranità, passerebbe dunque anzitutto per lo sguardo altrui, seconda persona di cui viene in questo modo sollecitato l’investimento — il dominio della lotta è sistema di differenziazione nel momento in cui permette di distinguersi, essere individuabile e dunque riconosciuto da altri nella propria distinzione. Sotto questo riguardo, Tocqueville ben intravedeva ed allertava rispetto ai possibili pericoli di una società democratica (6), che, producendo diffusa somiglianza e parità di condizioni, avrebbe frustrato la soggettività desiderante: le possibilità di realizzazione ad essa offerte sono innumerevoli, ma non si fissano mai in sua prerogativa; l’illimitatezza garantita dalla democrazia liberale alimenta e al contempo limita la passione dell’Io, impedendo il suo cristallizzarsi in vettore definitivo di diseguaglianza. Houellebecq si situa, e situa i suoi personaggi, ai piedi di questo crinale: avvallamento in cui la massificazione capillare significa dispersione e sclerotizzazione di un desiderio che, incapace di mantenersi sull’oggetto — proprio perché questo, nella sua massima disponibilità, perde ogni attrattiva simbolica —, «si converte in una illimitata spirale … in ansiosa ricerca di appagamento mai soddisfatto, in coazione consumistica alimentata da tecniche di spettacolarizzazione e da pratiche di seduzione» (7). Nello spazio vuoto e indifferente dei romanzi di Houellebecq, spazio uniforme, né ripartito né scavato, che ha cessato di essere luogo di valori strumentali all’affermazione del sé, l’individuo non ha insomma più nulla di cui fregiarsi o dietro a cui nascondersi; nessun oggetto veicola e suggerisce promesse di elevazione a nuova vita, come poteva ancora essere nei caleidoscopici mondi di Proust, nessuna posa o appartenenza si ricama di splendore metafisico, e si fa per questo appetibile. Riduzione ai minimi termini della competizione che costringe alla spoliazione dell’eroe, disilluso e apatico, cui rimane solo da esporre il nudo corpo — ora il sesso rappresenta il sistema di differenziazione —, insieme soggetto, oggetto, strumento del dominio della lotta. Questo depauperamento, la cosiddetta Grande Diminuzione che in Particelle e ne La possibilità di un’isola dà il la definitivo all’estinzione dell’umano, è certamente avvilimento dei cuori. Ma è anche, forse, feconda occasione di ribadire la semplice (anch’essa nuda) verità che «ogni desiderio umano è, in fin dei conti, funzione del desiderio del riconoscimento» (8).
L’Io prende forma e sporge tramite l’appropriazione, ma per richiudersi e stabilizzarsi nella sua differenza, padroneggiare il suo proprio, si è detto, deve passare per l’altro. Houellebecq provoca il cortocircuito affrettando i tempi, provocandone la sovrapposizione: la competizione che tracima nella sfera della sessualità, dell’erotismo, fa coincidere il momento acquisitivo e il momento riflessivo, in cui avviene, tramite occhi esterni ed estranei, il ritorno su di sé. La battaglia per il riconoscimento si imprime nella carne e tramite la carne — così l’Io che incontra il suo Altro per affermarsi come presenza sostanziale, il soggetto-ventre che fagocita e sussume per ottenere ontologica legittimazione e ontologico spessore deve far ciò esponendosi, suo malgrado, come nudo corpo; il sesso, nelle pagine del romanziere, diventa il luogo dove l'individuo perde ogni (presunta, o comunque «sempre più desiderata che posseduta»(9)) padronanza di sé e, teso verso il fuori, si rende all’Altro. «Divenuto totalmente dipendente, / conosco il tremito dell’essere, /l’esitazione a sparire, / il sole che colpisce al limitare / e l’amore in cui tutto è facile, / in cui tutto è dato nell’attimo: / esiste in mezzo al tempo / la possibilità di un’isola» (10).
I romanzi di Houellebecq, insomma, compongono l’attenta mappatura di una concavità, lasciando che si delinei, “per difetto”, il convesso — espressione con cui rendo, non so se adeguatamente, la splendida espressione francese dessiner en creux —, l’insulare segreto, per verità nemmeno tanto ascosto, soggiacente i movimenti della persona: questo ultimo stadio del dominio della lotta portata all’estremo, non denuda con prepotenza quello stato di finitudine e carenza dell’Io che innescava le stesse passioni acquisitive? Forse è proprio l’Io moderno che può riaprire, a partire dal contemporaneo annichilimento, una scena non nichilistica, un principio di speranza. In Wagner, il tramontare del Götterdämmerung (conclusione tenebre ma festosa della tetralogia dell’Anello), il collasso degli antichi dèi, e il dissolversi, con essi, del mortifero coagulo invidie e brame, avveniva sotto lo sguardo «al colmo della commozione» (11) degli uomini rimasti ad abitare il mondo subceleste: dalle ceneri del mondo estinto sarebbe sorta, come racconterà il Parsifal, una nuova Alleanza, sotto il segno della vulnerabilità e della compassione. Così in Houellebecq — come forse vuole anche il comune fondo schopenhaueriano —: l’Estensione del domino della lotta ha fatto attorno a sé terra bruciata, non rimane più alcuna reliquia, né desiderata riverberanti fantomatica pienezza d’essere. Rimane solo il corpo nudo, cui può dischiudersi, infine, il mondo nella sua spoglia presenza, libero da idoli e simboli devianti (12). Forse, ora come mai prima, possiamo dire di avere tutti i segni? Concludo dunque la riflessione — pur un po’ sconclusionata. Ci sarebbe tanto da aggiungere e da illustrare con misura — citando il brano finale di Serotonina (13), ultimo tassello della narrativa houellebecquiana (personalmente, non riesco a pensare un oltre, un seguito a questo romanzo). «In realtà Dio si occupa di noi, pensa a noi in ogni istante, e a volte ci dà direttive molto precise. Questi slanci d’amore che affluiscono nei nostri petti fino a mozzarci il fiato, queste illuminazioni, queste estasi, inspiegabili se consideriamo la nostra natura biologica, il nostro statuto di semplici primati, sono segni estremamente chiari. E oggi capisco il punto di vista del Cristo, il suo ripetuto irritarsi di fronte all’insensibilità dei cuori: hanno tutti i segni, e non ne tengono conto. È proprio necessario, per giunta, che dia la mia vita per quei miserabili? È proprio necessario essere così esplicito?
Parrebbe di sì».
***
(1) M. Houellebecq, Estensione del dominio della lotta.
(2) cfr. G. Lipovetsky, L'era del vuoto. Saggi sull'individualismo contemporaneo, Luni Editrice.
(3) «Le conseguenze nichilistiche dell’attuale scienza della natura … Da Copernico in poi, l’uomo rotola dal centro verso una x». F. Nietzsche, La volontà di potenza, Libro primo (Per il piano dell’opera, 5), Bompiani.
(4) È proprio di Houellebecq attribuire grande responsabilità all’eredità Situazionista del Sessantotto (ascrivibile al motto di Strasburgo del «vivere senza tempi morti e godere senza limiti»), ad una certa ideologia del desiderio che ha finito per diventare ideologia del consumismo liberale.
(5) E. Pulcini, L’individuo senza passioni. Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati Boringhieri, p. 77.
(6) Houellebecq segue pienamente le suggestioni di Tocqueville a riguardo dei pericoli di una certa democrazia; basti pensare a Sottomissione, in cui la narrazione prende spunto, o torsione fantapolitica, dall’esonero dalla cosa pubblica — consegnata senza nessuno strepito, anzi quasi con compiacimento, all’incarnazione partitica di un Islam autoritario, «dispotismo mite».
(7) ibid., p. 162.
(8) J. Butler, Soggetti di desiderio, Saggiatore, p. 85.
(9) ibid., p. 187.
(10) M. Houellebecq, La possibilità di un’isola, Bompiani.
(11) R. Wagner, Götterdämmerung, Atto terzo.
(12) cfr. J. Butler, Soggetti di desiderio. «Nel desiderio sessuale, il mondo perde il suo primigenio significato di luogo di valori strumentali, per apparire invece come presente … Mediante l’assunzione del corpo come sua espressione necessaria, la presenza si rende passiva», «condizione della rivelazione del mondo sensibile». O ancora: «L’Altro è occasione perché il mondo mi appaia come presente. Il mondo come carne appare solo al corpo che è stato trasformato in carne».
(13) M. Houellebecq, Serotonina, La nave di Teseo.
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