“Li curiamo con delle iniezioni potentissime. Amore, si chiamano."
Vincenzo Muccioli
Ha fatto discutere SanPa, la miniserie prodotta da Netflix sulla storia di Vincenzo Muccioli e di San Patrignano. La serie[1] ha effettivamente il merito di sollevare diverse questioni di grande interesse sociale, etico, filosofico e politico: dove mettere dei paletti alla libertà altrui? Metodi coercitivi possono portare a reali benefici? Cosa significa guarire da una dipendenza? Dove lo Stato non arriva, o non può arrivare, che ne è di diritti e libertà?
In queste poche righe mi vorrei soffermare però su una sola questione. Che rapporto c’è tra l’amore che Muccioli manifesta per i suoi ragazzi e le catene arrugginite delle gattabuie di SanPa? E inoltre, c’è qualche affinità tra il metodo SanPa e la psicoterapia di Sigmund Freud?
Per quanto riguarda la prima domanda, la serie potrebbe suggerire una risposta di questo tipo: là dove il legame di affetto che Muccioli stabiliva con i residenti non arrivava, ci arrivavano le catene. L’amore di Muccioli, – e mi riferisco sia all’amore che Muccioli dava – o che comunque dava l’impressione di elargire – sia all’amore (stima, ammirazione, affetto) che i ragazzi provavano per lui –, generava un potente legame che riusciva a strappare le ragazze e i ragazzi di SanPa dal mondo della droga. Quando però il richiamo della droga si faceva troppo forte e i ragazzi cercavano di fuggire, quando l'affetto non era abbastanza solido, allora subentravano le catene.
Mentre la serie pare suggerire questo, io credo che le cose siano più complicate. Secondo la tesi che vorrei sostenere, le catene, e in generale i metodi coercitivi, non sono realmente altro rispetto al lato bello ed edificante di SanPa[2]. In verità non c'è nessuna opposizione. Non è un caso se, quando cerca di spiegare e giustificare i metodi duri, Muccioli fa riferimento alla figura del genitore amorevole che dà qualche scappellotto al bambino per insegnarli la lezione.
E c’è di più. Non si tratta semplicemente del fatto che il genitore amorevole ama il suo bambino e al contempo occasionalmente lo obbliga (con la forza se necessario) al fine di educarlo, e quindi in vista del suo bene. È piuttosto l’amore che, proprio in quanto amore, obbliga, lega e incatena[3].
Potremmo spiegare meglio questo concetto con un esempio. Ce l’avete presente il ragazzo di SanPa Fabio Cantelli (qui sopra)? Se avete visto la serie ricorderete quando Fabio scopre di avere l’AIDS. Glielo comunica Muccioli in maniera sbrigativa, dopo averglielo tenuto nascosto per tanto tempo, mettendo così a rischio la vita di Fabio e quella della sua compagna. E c'è di più: Fabio confessa di aver percepito a più riprese che qualcosa non andava a San Patrignano. Sapeva delle violenze, dell'omertà, dei segreti. Eppure, anni dopo, ritornerà a San Patrignano, ritornerà da Muccioli, diventando addirittura uno dei massimi ambasciatori della comunità.
Eccole le vere catene, quelle più pericolose ed efficaci. Non quelle fisiche, arrugginite e filmate nell’oscurità da una camera mossa, ma quelle ireniche, solari e ben più potenti dell’amore. L'affetto che Fabio provava per Muccioli lo legava a lui anche quando questo legame giocava a discapito del bene di Fabio.
Un amore malato? Quello di (genitivo soggettivo e oggettivo) Muccioli era forse un amore malato, perverso? Queste etichette tranquillizzano, semplificano, ma non ci aiutano ad arrivare al cuore del problema.
Ammetto di non saper quasi nulla di dipendenze da droga. Non conosco gli effetti delle varie sostanze sul corpo e sulle menti delle persone; pertanto la mia prospettiva è sicuramente carente e imprecisa. Sono piuttosto convinto però che Psicologia delle masse e analisi dell’Io di Sigmund Freud possa darci qualche indizio per comprendere il potere terapeutico del “metodo SanPa”.
Come si forma una massa, una comunità? Secondo Freud, una condizione necessaria è che i vari Io mettano uno stesso oggetto d'amore al posto di sé stessi (amando quindi questo "oggetto" più di sé stessi), e, in virtù di questa mossa, si identifichino con gli altri Io attorno a sé. Si fraternizza infatti con gli altri Io, ossia con le altre persone, in quanto si ama uno stesso oggetto, dal quale si riceve un amore incommensurabile.
All’interno di una comunità, dunque, una persona viene ristabilizzata, ri-centrata, in un contesto di rapporti amorevoli ed edificanti. Non solo rapporti amorevoli con gli altri Io, ma anche con quell’oggetto del proprio amore che diventerà Ideale dell’Io (Super-Io), il modello del proprio Io. L’enorme affetto che i ragazzi di SanPa nutrono per Muccioli permette loro di riconoscersi l’uno con l’altro: ritrovano sé stessi nell’amore altrui, il ché rinforza il loro affetto per Muccioli, contribuendo a spostare la libido su un oggetto diverso dalle droghe di cui erano precedentemente schiavi.
Al contempo, le potenti iniezioni di Muccioli, ossia l’amore in entrata (se assumiamo il punto di vista dei ragazzi), li gratificano e li compensano per gli sforzi richiesti dall’allontanamento della droga. È importante capire che non conta se l’amore di Muccioli per “i suoi ragazzi” sia reale o frutto di una suggestione collettiva e mediatica. È sufficiente che i ragazzi di SanPa percepiscano questo amore.
Muccioli è l’oggetto e il soggetto d’amore su cui si sorregge la comunità di SanPa. La forza sociale di questa comunità, la sua effervescenza – direbbe Durkheim –, è la vera sorgente del potere curativo che, effettivamente, ha sottratto centinaia di ragazze e ragazzi dalla morsa mortifera della droga.
Amore che cura e che lega, dunque. Del resto, secondo Freud, nella sua forma più elementare e semplice l’amore non è altro che una forza che unisce, che avvicina, che attrae. Le catene dell’amore – metaforiche, lecite, socialmente accettate, ma senza dubbio coercitive anche più di quelle reali – sono quindi parte costitutiva del legame amoroso. Le catene non sono qualcosa di diverso dall’amore, non sono una misura alternativa impiegata nei casi in cui l’amore fallisce.
I ragazzi di SanPa sono salvati dalle catene della droga grazie alle catene dell’amore.
Questo se seguiamo il pensiero di Freud. Il padre della psicoanalisi era infatti piuttosto consapevole della natura a suo modo coercitiva dell’amore.
Questa sua consapevolezza lo distolse dall’utilizzare l’amore per scopi terapeutici?
Non proprio. E qui veniamo al sottotitolo del mio articolo. Un uomo di scienza come Freud, se avesse potuto, avrebbe certamente dileggiato aspramente il “metodo SanPa”. Eppure, io credo, nel criticarlo si sarebbe sentito un poco scomodo, come se, in qualche misura, fosse consapevole che alcune delle sue critiche, forse le più importanti, si sarebbero potute rivolgere anche contro la sua psicoanalisi.
Freud, nei primi anni del ‘900, si accorse che una sua paziente, tale Dora, aveva sviluppato un forte legame amoroso nei suoi confronti. Questo fenomeno, chiamato poi transfert o traslazione, apparirà in un primo momento come una controindicazione, un’inconveniente, per diventare poi, nel corso degli anni, un elemento essenziale per il successo della cura. Freud si convinse infatti che, affinché il paziente guarisca, è necessario che sviluppi un forte sentimento amoroso nei confronti del proprio psicanalista.
Freud non ammette così tranquillamente questo fatto e, nel corso degli anni, vacillerà su alcune questioni connesse a questo tema. In effetti è paradossale: l’amore (la libido, in termini freudiani) è la causa della malattia psichica – in quanto rimossa, incontrollata – ed è al contempo la soluzione della malattia.
E allora? La psicoanalisi freudiana altro non è che una variante del metodo SanPa (e viceversa)? La domanda non è così insensata, nonostante lo psicoanalista e il propugnatore del metodo SanPa siano probabilmente assai scettici sulle rispettive tecniche. Le questioni della suggestione, della coazione, se non addirittura della possessione nella psicoterapia freudiana sono legittime e interessanti[4].
Non spingiamoci troppo in là però. Il metodo psicoanalitico di Freud è infinitamente più delicato e raffinato del metodo Muccioli. Forse in entrambi i casi si tratta di strappare da “amori malati” un paziente grazie a un nuovo legame amoroso meno dannoso. Il metodo Freud è tuttavia molto più sottile e preciso. Freud non aveva certo bisogno di avere una platea di pazienti adoranti ai suoi piedi per far innamorare di sé un nuovo paziente. D’altro canto, bisogna riconoscere che, se vogliamo massimizzare gli effetti positivi per un gran numero di persone[5] e in tempi più stretti, Muccioli potrebbe far mangiar la polvere al padre della psicoanalisi.
Tutto qui? No, ci sono sicuramente tante altre differenze evidenti tra i due metodi. Ma esiste una differenza sostanziale riguardo la questione della relazione amorosa?
Forse sì. Per Freud la terapia finiva quando il paziente scioglieva il legame emotivo con l’analista. L’analista, anni dopo le sedute terapeutiche, dovrebbe essere in buona sostanza dimenticato dal paziente. Dovrebbe far la fine di una scritta leggera in matita, resa sbiadita e illeggibile dal passare degli anni. Proprio come accade ai membri del Club dei Perdenti nel romanzo It di Stephen King.
Guardando le interviste ai ragazzi di San Patrignano, e a tutti i protagonisti di SanPa, pare che le cose stiano diversamente. La potente azione di Muccioli pareva esser tesa proprio al non essere mai dimenticato dai suoi ragazzi. Eterna riconoscenza, eterna fedeltà (che si traduce anche in astinenza dalla droga) ed eterna ammirazione sembrano essere ingredienti fondamentali del “metodo SanPa”.
In conclusione, vorrei far notare che, sempre assumendo una prospettiva freudiana, acquisiscono maggior credibilità alcune caratteristiche solo accennate nella serie targata Netflix. Nell’economia di SanPa, una comunità unita dall’amorevole e carismatico Muccioli, ha perfettamente senso un approccio che tende al monopolio del desiderio altrui. E se il monopolio sarà particolarmente severo arriverà a coinvolgere il desiderio in quasi tutte le sue forme, desiderio erotico compreso. In quest’ottica l’omosessualità di Muccioli sarebbe spiegabile psicoanaliticamente. E, di conseguenza, sarebbe spiegata anche la sua misoginia. Le donne, del resto, sono le “naturali” competitor del desiderio omoerotico che un leader massimo vorrebbe vedersi riconosciuto.
Piccole pillole freudiane, che non pretendono di dire la verità assoluta sul particolare fatto di cronaca, ma che in effetti rendono più comprensibili e interconnessi alcuni elementi che vengono accennati nella serie.
*****
[1] O forse la storia stessa di San Patrignano, ma le mie scarse conoscenze sulla vicenda mi impediscono di discernere con cognizione di causa. Parlerò pertanto di “metodo SanPa”, dal momento che farò più riferimento ai fatti riportati dalla serie piuttosto che ai fatti di cronaca in sé.
[2] E il lato bello ed edificante non è altro rispetto alle catene.
[3] Non solo non c'è opposizione, ma neanche compensazione. Piuttosto bisognerebbe parlare di identificazione, in quanto amore e catene sono la stessa cosa. L’oggetto d’amore, del resto, può anche trasformarsi nel più terribile degli aguzzini; e questo succede in particolare quando si fugge dal dolore provocato dal distacco da questo oggetto. A tal proposito è consigliato Paranoia Agent, analizzato in questo articolo dal collega Mattia Carbone.
[4] Me ne sono occupato in un articolo prossimo all'uscita (Is Freudian Psychotherapy an Example of Scapegoat Mechanism?).
[5] Anche se la serie mostra bene i limiti del "metodo SanPa" rispetto a numeri sempre più alti di pazienti.
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