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Metafisica e violenza sacrificale | Origine sacrificale e volontà di potenza della metafisica

di Sebastiano Lisi



L’errore di pensiero: che nel pensiero, attraverso il pensiero, per (a causa di) il pensiero sia attingibile la gioia e la gloria – che il pensiero possa giungere alla gioia e alla gloria, raggiungere la gioia e la gloria, è l’errore di pensiero. L’errore di pensiero è che la felicità sia – possa essere – per (a causa di) il pensiero. Così sarebbe, e lo sarebbe già stato, se la verità fosse una verità per (a causa di) il pensiero, se fosse un evento del pensiero (genitivo oggettivo e soggettivo) e per il pensiero (causa finale). La verità è – può essere – solamente un evento della vita (genitivo oggettivo e soggettivo) e per (a causa di) la vita: un evento nella vita oltre il pensiero – contro il pensiero. Per il pensiero, la verità resta nascosta, e il pensiero èsta – per il nascondimento della verità. Il pensiero si origina per differenza-distanza della-dalla realtà-verità.

La filosofia, il pensiero in forma di metafisica – il pensiero dell’Essere e della verità dell’Essere –, è lo sforzo e il compito di pensiero del più raffinato, sofisticato, mistificato tentativo di ri-avvicinamento alla verità – perché tentato, il pensiero, dalla verità –, ma che esclude e si esclude costitutivamente – nel momento del proprio costituirsi, per la natura del costituirsi stesso in forma di sapere (epistème) – la possibilità di vedere (theorein) la verità-realtà.

Si esclude per (a causa di) la sua stessa costituzione quale filosofia, quale pensiero dell’Essere e della verità dell’Essere – metafisica –: per (a causa di) il porsi quale pensiero dell’Essere e della sua verità, ponendo(si) la questione dell’Essere e della sua verità, la verità è impossibile al pensiero, per il pensiero, nel pensiero. La verità non si lascia vedere perché il pensiero, così postosi, non può vedere la verità. Il pensiero non può vedere la verità per (a causa di) il pensiero della verità (genitivo oggettivo) che si è dato, che ha assunto: poiché pensiero dell’Essere ponente la questione dell’Essere e della sua verità.

Non può, perché?

Non può, perché il pensiero ponente la questione dell’Essere e della sua verità è dimenticanza dell’Essere nel momento stesso del suo costituirsi come pensiero dell’Essere (genitivo oggettivo e soggettivo), per (a causa di) questo costituirsi stesso quale pensiero dell’Essere che vuole la verità dell’Essere. “Dimenticanza” non è forse la parola giusta perché non è la cosa giusta: perché non è quello che accade al pensiero, né quello che il pensiero procura come accadimento nel suo costituirsi e darsi come pensiero dell’Essere – metafisica. Quello che accade al pensiero – e che il pensiero procura come proprio accadimento nel costituirsi metafisico quale pensiero dell’Essere che pone la questione dell’Essere di ciò che è e della sua verità – non è dimenticanza, oblio dell’Essere (Heidegger), o imbocco del sentiero della notte (Severino), ma è vittimizzazione metafisica della realtà e sua metafisica divinizzazione quale Essere: una sorta di sacrificio metafisico – un’eliminazione sacrificale della realtà.


La metafisica è volontà di potenza sull’Essere: volontà di potenza mistificata che si costituisce in metafisica per necessità di mistificazione, per necessità di nuovo o rinnovato « ordine » (Ordnung) e « orientamento-localizzazione » (Ortung) della realtà quale cosa del pensiero e per il pensiero. La metafisica è costituzione e posizione di nuovo ordine e orientamento-localizzazione di realtà per il pensiero per via di violenza e sacrificio su e di ciò che è il proprium della realtà – il reale della realtà – e sua divinizzazione quale Essere (metafisico) della realtà.

La metafisica è volontà di potenza mistificata perché misconosce, non può non misconoscere, l’origine violenta, la violenza sacrificale, del suo stesso costituirsi – per necessità del costituirsi stesso quale pensiero dell’Essere e dell’esigenza da cui è posto questo costituirsi –, del suo costituirsi quale nuovo ordine e orientamento-localizzazione della realtà in cui la forza turbinosa e selvaggia del reale-reale è canalizzata – urbanizzata – e resa disponibile per nuova costruzione, opera e impresa umane.

Platone sa, è arrivato a sapere, forse, qualcosa di questa mistificazione per necessità di misconoscimento, sa qualcosa dell’origine mistificata-misconosciuta della metafisica, sa qualcosa del perché di questa mistificazione-misconoscimento, vale a dire dell’origine violenta e del carattere sacrificale del pensiero dell’Essere quale metafisica; ma sembrerebbe che per Platone la violenza sacrificale sia ancora con ragione: necessaria per il costituirsi e ricostituirsi dell’ordine-orientamento-localizzazione di pensiero e di realtà. E ciò, si potrebbe pensare, nonostante Socrate – la sua messa a morte –, il cui processo e condanna, invece, avrebbero potuto mostrare al pensiero la verità della vittima: la sua innocenza in ultima istanza; e il pensiero, assumendola radicalmente – in sé e per sé –, capovolgere in senza ragione il significato della violenza – in prima istanza sempre con ragione.

Forse, però, è da pensare, al momento ciò non era ancora possibile – pensare senza ragione la messa a morte di Socrate –, anche e specificatamente a causa della stessa morte di Socrate, o meglio, a causa della verità di pensiero che lo stesso Socrate mette in rappresentazione della sua messa a morte: con ragione, perché colpevole secondo necessità della polis. A causa, in altre parole, della stessa legittimazione della violenza che il suo pensiero, di fatto, mette in opera restando prigioniero di un ordine rappresentativo della violenza, della sua mistificazione auto-legittimante: sempre secondo necessità, sempre con ragione. Ordine rappresentativo di cui si può avere adeguata intelligenza solamente se inteso secondo la sua origine – genealogicamente – quale situazione spirituale di ordine epocale, non certo, quindi, soltanto come preciso momento storico-culturale, o mero accadimento riducibile a spiegazione per via storicistica.

È, però, l’orizzonte soltanto filosofico del suo pensiero a non permettere a Socrate di cogliere che la violenza è invece senza ragione? che l’origine-causa della violenza non è la colpa della vittima (genitivo soggettivo) ma la necessità della vittima (genitivo oggettivo)? che la vittima – poiché vittima – è sempre senza colpa e la violenza senza ragione?

Sì, in un orizzonte esclusivamente filosofico, il pensiero non può vedere la realtà della vittima e della violenza – cogliere la verità della vittima e della violenza –: pena cavare alla radice il fondamento del suo stesso costituirsi quale ordine e orientamento-localizzazione della realtà della vita umana – per la vita umana.

Soltanto attraverso l’Uomo – l’Incarnazione – la verità sull’uomo, sull’origine e destino dell’uomo – sul senso dell’Essere –, può rivelarsi all’uomo. L’Incarnazione è anche disvelamento della mistificazione metafisica, della mistificazione necessaria – secondo necessità – della metafisica, ossia del pensiero dell’Essere nel suo stesso costituirsi quale nuovo ordine e nuovo orientamento-localizzazione dell’Essere – della realtà – per il pensiero: per la cosa del pensiero e che è da pensare – che il pensiero ha da pensare per ricercare-avere verità dell’Essere.

La metafisica è tentato avvicinamento e appropriazione mistificata – per misconoscimento-distanziamento – della verità dell’Essere: perché il pensiero è sempre tentato dalla verità, sente sul proprio corpo l’incidere e il dolore – i segni – della verità.

Platone sembra sapere qualcosa di sostanziale riguardo a tutto ciò; e sembra anche comprendere che la filosofia quale forma di sapere e di educazione non può mostrare questo sapere, se non a rischio della propria auto-distruzione – per implosione o esplosione – quale forma di sapere e di educazione: vale a dire ordine (e orientamento-localizzazione) e messa in ordine (e orientamento-localizzazione) della realtà del sapere (genitivo soggettivo) per sapere della realtà (genitivo oggettivo) – ordine e messa in ordine metafisico della realtà. Da qui il pensiero e l’insegnamento esoterici: la concezione che la verità non può essere rivelata alla moltitudine, pena la distruzione di ogni ordine (e orientamento-localizzazione) di pensiero e di realtà.

Ma, ciò è già misconoscimento della realtà-verità a causa dell’impossibilità per il solo pensiero di assumere la verità, di aprirsi alla verità, farsi incontro della verità, assistito solo da sé stesso, per il solo proprio movimento: che da sé solo muove alla verità – secondo necessità della realtà-verità che lo muove quale pensiero. Il pensiero-insegnamento esoterico, allora, è mistificazione della verità elevata a potenza – metafisica di metafisica –: altrimenti sarebbe sapere rivelativo della verità, sarebbe distruzione della metafisica perché follia per la stessa metafisica.

Platone sembra consapevole di ciò, per questo è attento e circospetto: è qui, infatti, che ha origine la sua polemica contro la poesia e l’arte e la giustificazione della loro espulsione dall’ordine-orientamento educativo e di costruzione di sapere per la buona costituzione della politeia. Platone sembra conoscere la potenza rivelativa – per accenni – e, quindi, il pericolo dell’arte e della poesia: perché forse ne ha compreso il carattere specifico – sacrificale – di velamento e di mistificazione della verità; e forse anche, in parte, il meccanismo di questo velamento, ma non certo il contenuto della verità velata e mistificata – la verità della vittima (genitivo oggettivo e soggettivo).

Per questo, forse, Platone devia il sapere secondo un nuovo ordine-orientamento-localizzazione, conquista il pensiero al regno esclusivo della metafisica, mentre il pensiero era ancora conteso dalla poesia e dall’arte tragica e, inoltre, subiva l’onta pornografica della sofistica: per contrastare le quali blande e impotenti sarebbero state, da sole, l’ironia e la maieutica – etica e gnoseologiaignoranti di Socrate.

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