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Red light, green light in the Silicon Valley | Peter Thiel e il bisogno di nascondimento

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    Gruppo Studi Girard
  • 5 ore fa
  • Tempo di lettura: 5 min

di Edoardo Sghirinzetti


Di Peter Thiel negli ultimi anni se ne parla più spesso, a volte come fosse una figura mitologica improvvisamente apparsa sul pianeta a portare logiche disfattiste o di nuove supremazie varie ed eventuali. Questo articolo non vuole soffermarsi su nulla di tutto questo, ma vuole approfondire (si vorrebbe in diversi articoli) un suo libro pubblicato nel 2014 a seguito di una serie di lezioni tenute presso l’università di Stanford: “Da zero a uno” (edito in Italia da Rizzoli), in cui, riassumendo molto, approfondisce i passi che dovrebbero essere compiuti da una startup che parte dal nulla e vuole arrivare a creare qualcosa di completamente nuovo, senza repliche; appunto andare da 0 a 1.


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Vista l’annosità di questa sua raccolta va aggiunto che non è tra gli ultimi arrivati, in quanto, al netto delle chiacchiere più recenti riguardo a Palantir, è stato tra i primi investitori di Facebook e cofondatore di PayPal, questo all’inizio del millennio. Per tutto il resto rimando pure il lettore alla sua pagina di Wikipedia.


È noto il suo legame filosofico con l’autore René Girard, padre della teoria mimetica, e su questo vorrei avviare una riflessione che introduce un rapporto diverso tra imitatore e modello. Tra attacco e difesa.


Il punto di partenza di Thiel è la contrapposizione tra concorrenza perfetta e monopolio. Se la prima conduce alla dissoluzione dei profitti e alla lotta permanente, il secondo rende possibile la generazione e la cattura di valore.


La concorrenza e il capitalismo sono agli antipodi. Il capitalismo è basato sull’accumulazione del capitale, ma in una concorrenza perfetta tutti i profitti vengono divorati. (p. 21)


E ancora:


Tutte le imprese felici sono diverse: ciascuna si guadagna un monopolio risolvendo un problema unico. Tutte le imprese fallite sono uguali: non sono riuscite a sfuggire alla competizione. (p. 28)


Questa distinzione è forte per chi conosce il pensiero di Girard. La concorrenza perfetta è, in fondo, una forma di indifferenziazione mimetica: gli attori, imitandosi reciprocamente, diventano sempre più simili, incapaci di differenziarsi se non in dettagli marginali. Ciò che Thiel descrive come “business indifferenziato e sostituibile” è, nella prospettiva girardiana, un ambiente ad altissimo tasso di mimetismo.


Il monopolio, invece, rappresenta un punto di differenza che riesce momentaneamente a sottrarsi alla logica imitativa. L'impresa monopolista produce qualcosa che gli altri non possono imitare facilmente; non è ancora diventata oggetto di rivalità generalizzata. Potremmo quasi dire che è riuscita a stabilire una differenza protetta. Ma tale protezione non dura spontaneamente: richiede strategia.


Immaginiamo di essere una startup che sta creando qualcosa di totalmente innovativo e che di qui a poco padroneggeremo in maniera indiscussa la fetta di mercato che stiamo andando ad occupare, diventandone di fatto monopolisti. È il caso di Google, citato da Thiel, ma che può essere sostituito con altri attori del mercato contemporaneo. Google si trova quindi in una posizione di supremazia rispetto a tutti gli altri e sappiamo che, girardianamente o meno, sarebbe interessante attaccarlo per indebolirlo, acquisirlo o, non da ultimo, copiarlo, migliorarlo e sostituirlo. A questo punto Google, il quale sa che il proprio modello di business è estremamente accattivante, ha diverse opzioni:


  • mostrarsi estremamente forte, con il rischio di venire attaccato

  • mostrarsi estremamente debole, sopravvivendo senza raggiungere il predominio

  • mantenere un’opacità


I monopolisti mentono per salvare se stessi. Sanno che vantarsi del proprio forte monopolio induce gli altri ad analizzarli, metterli sotto esame e attaccarli. Dato che desiderano che il loro monopolio continui indisturbato, tendono a fare tutto quello che possono per nasconderlo […]. (p. 22)


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Quando necessario le parole si attuano in fatti ed è quanto accaduto nel 2011, quando Google si è immerso, nascosto, in un panorama più ampio durante un’audizione davanti al Congresso in tema antitrust. All’epoca controllava il 65% del mercato dei motori di ricerca (un palese monopolio). Affermò però di essere una società che si occupava anche di pubblicità, di tecnologia mobile e indossabile e altro, in cui al contrario è ovvio non essere la sola e in percentuali ridicole rispetto a quella mostruosa di poco fa. Questo permise di far vedere il proprio business come un’intersezione di mercati differenti e di conseguenza all’allora CEO Eric Schmidt di affermare:


Siamo di fronte a un panorama estremamente competitivo in cui i consumatori hanno molteplici opzioni per accedere alle informazioni.” O, tradotto dal gergo delle PR: “Google è un pesce piccolo in un lago molto grande. Potremmo venire ingoiati interi in ogni istante. Non siamo il monopolio che il governo sta cercando.” (pp. 25-26)


Ovvero:


I monopolisti […] tendono a fare tutto quello che possono per nasconderlo, di solito esagerando il potere dei loro (inesistenti) concorrenti. (p. 22)


Non si tratta di sminuire le proprie capacità, ma solo di ridirezionarle al fine della sopravvivenza attraverso una “strategia dell’invisibilità”. In un contesto competitivo globale, soprattutto nelle industrie ad alta velocità di innovazione (IA, piattaforme digitali, biotecnologie), il “segnale” è pericoloso. Dichiarare la propria forza equivale a dichiarare la propria posizione e dichiarare la propria posizione è un rischio di annientamento. Il problema non è che gli altri attori vogliono attaccare, ma che non possono permettersi il rischio di non farlo.


Guardiamo al panorama delle IA: lo scontro tra OpenAI e Google è serrato e il gioco del nascondimento vale e non vale, o meglio è talmente accelerato che non sembra nemmeno esserci, dato che l’investimento in nuove funzionalità è costante e furente. Google lancia Nano Banana Pro (il web sensazionalistico ha scritto cose come “2025: la fotografia è morta” o “Photoshop è stato ucciso”) il 20 novembre e il 16 dicembre, esattamente mentre scrivo questo articolo, OpenAI lancia il suo nuovo generatore (e anche qui il web incalza con “The Nano Banana killer”). C’è poi Meta AI, schernito perché arrivato tardi e deboluccio. Attendiamo Musk, che non ha acquisito Twitter (X) per nulla.


Certo è, comunque, che le decisioni amministrative sono soggetto e oggetto di questo scambio: Google, tra le altre, all’inizio dell’anno ha dato una nuova stretta alle ore di smartworking, dall’esserne storicamente molto a favore, con anche l’obiettivo della vittoria nel campo delle IA.


Di fatto quindi questa opacità non salvaguarda a tutto tondo una posizione nel mercato, ma permette di esistere ed evolversi in maniera “parzialmente” (le virgolette sono dovute al fatto che potremmo discutere a lungo se il successo raggiunto da alcuni imperi tecnologici sarebbe stato maggiore o minore con o senza una strategia di invisibilità) indisturbata, nelle fasi iniziali e a tratti nel corso del tempo. Va da sé che l’abitudine a vivere o percepire questo stato incentiva il dubbio e mantiene alto lo stato dall’erta sia dentro che fuori un’azienda, non solo da un punto di vista della fuga di notizie.


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In un mercato concorrenziale, ogni impresa è indifferenziata e vende gli stessi prodotti omogenei.” (p. 20) e ciò le costringe a una guerra sui margini di guadagno, una “brutale lotta quotidiana per la sopravvivenza” (p. 26).


Questo quadro di concorrenza perfetta descrive con precisione la dinamica girardiana della crisi mimetica: le differenze si cancellano, gli agenti diventano reciprocamente speculari, la competizione cresce in intensità e infine il sistema collassa, alcune imprese falliscono e altre sopravvivono, ne nascono di nuove e il gioco ricomincia. Da un punto di vista economico si tratta di uno stato di equilibrio naturale del mercato e il monopolio è un tentativo di sottrarsi a questo destino. È una differenza stabile costruita attraverso innovazione, asimmetria informativa e tecnologia, ma, come tutte le differenze, è precaria: appena visibile viene imitata e appena imitata si dissolve. La differenza ostentata genera mimesi, mentre la differenza custodita (fino all’ultimo momento necessario) genera stabilità.


In un mondo di desideri riflessi e rivalità potenziali, il monopolio non è solo un vantaggio economico: è un’oasi di non-mimesi, fragile e segreta.


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