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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Sguardi pericolosi | Sodoma, Orfeo e Odino

Aggiornamento: 29 lug 2018


I capitoli della Genesi che raccontano la distruzione di Sodoma sono molto interessanti, ma qui ci soffermeremo solo su un breve passaggio. Come alcuni ricorderanno, i due angeli mandati da Dio per distruggere Sodoma ordinano a Lot e alla sua famiglia di scappare dalla città, sulla quale si abbatterà presto la furia divina. I due messaggeri danno inoltre un’indicazione specifica: nel corso della fuga, Lot e i suoi non dovranno mai volgersi indietro verso la città peccaminosa. La moglie di Lot, tuttavia, si volterà a guardare la città avvolta dalle fiamme, e sarà trasformata in una statua di sale.

Questo episodio ricorda la vicenda che vede protagonisti Orfeo ed Euridice. In quel mito il dio greco Orfeo si avventura negli Inferi, con l’intento di riportare in vita la sua amata Euridice, tragicamente uccisa dal morso di un serpente. Dopo una serie di prove spaventose e pericolose, la regina degli Inferi offre finalmente a Orfeo la possibilità di ricongiungersi con la sua amata. Ma a una condizione. Nella fuga dal regno dei morti Orfeo dovrà stare davanti ad Euridice, e non dovrà voltarsi a guardarla fino a quando non saranno usciti dalle tenebre dell’Ade. Orfeo, come la moglie di Lot, disobbedisce a questa curiosa indicazione, e vede la sua bella dissolversi nel nulla.

I due miti presentano sicuramente alcune diversità, ma è ben evidente la presenza di un divieto comune: non voltarsi a guardare. Il divieto verte sullo sguardo, e si pone l’obiettivo di impedire che questo si fissi su determinate cose. Va notato inoltre che, in entrambi i casi, il divieto viene pronunciato in situazioni di crisi, di pericolo. Nel primo caso quando la città cade nella violenza (auto)distruttrice . Nel secondo caso quando Orfeo, nell’apice del suo sforzo eroico, affronta l’ultima prova prima di poter uscire con la sua amata dal regno dei morti.


Siamo convinti che, cercando nella letteratura, si potranno trovare altri miti in cui lo sguardo si rivela un elemento pericoloso, attorno al quale ruotano misteriosi divieti. Si pensi, per rimanere nell’ambito della mitologia greca, alla Medusa, mostro capace di pietrificare chiunque incrociasse il suo sguardo. Ora, come spiegare la ricorrenza dell’elemento comune nei due brani considerati? Pare ragionevole supporre che i due miti si siano sviluppati indipendentemente l’uno dall’altro. E, in ogni caso, non sarebbe soddisfacente spiegare la presenza di questo divieto dicendo che si tratta di un mero caso. Girard ha mostrato che i miti hanno ben poco a che fare con il caso e con la fantasia, e che i loro significati sono da rintracciare nella psicologia e nella sociologia umane. Quale significato hanno allora questi due episodi? Per rispondere è necessario innanzitutto comprendere cos’è un mito. I miti, e i riti, sono, prima di tutto, rimedi ad alcuni esiti particolarmente distruttivi della violenza umana. Spesso i miti forniscono dunque indicazioni affinché la violenza umana non si sprigioni su larga scala. L’incesto e il parricidio commessi da Edipo – per fare un esempio celebre – vanno interpretati in questo senso: sono (più che altro sono stati) moniti a non ripetere atti in grado di far piombare una comunità nel caos.

Ma in che senso lo sguardo può rivelarsi pericoloso? Perché voltarsi a guardare qualcosa può diventare un gesto pericoloso? Dobbiamo pensare al fatto che guardare, lanciare uno sguardo, corrisponde in sostanza a un mettere nel mirino. Guardare qualcosa – un ragazzo, una ragazza, un oggetto, un avviso pubblicitario – indica innanzitutto un interessamento e, in secondo luogo, rivela una probabile intenzione ad avvicinarsi a quel qualcosa. Stiamo dicendo qualcosa di veramente banale. La leonessa che vuole agguantare una gazzella, poserà innanzitutto su di lei il suo sguardo. La metterà nel mirino. Allo stesso modo il giovanotto che punterà una ragazza in un pub, comincerà la manovra di avvicinamento proprio a partire dallo sguardo. Qual è il problema? Che pericolo c’è in questo? Il problema sorge quando il guardare si combina con i meccanismi imitativi. Abbiamo detto che uno sguardo denuncia innanzitutto un’attenzione interessata, in altre parole, un desiderio. In individui ed organismi particolarmente portati a imitare, ossia particolarmente portati a concentrare la propria attenzione verso ciò su cui gli altri concentrano la propria attenzione, lo sguardo può fungere non solo da indicatore (guardando lo sguardo altrui posso sapere su che cosa l’altro sta concentrando la propria attenzione) ma da vero e proprio catalizzatore. Infatti, se concentro la mia attenzione su ciò che desidera/interessa un altro individuo, quest’altro individuo potrebbe accorgersi del mio sguardo, e questo potrebbe far aumentare, mimeticamente, la sua stessa attenzione, e così via, in una spirale imitativa in cui potrebbero subentrare anche più individui.

Quando questa spirale imitativa diventa un problema? Sostanzialmente in due casi. Quando si imita il desiderio di un oggetto solitamente non condivisibile (un partner sessuale, una pietanza, una borsa di studio, etc…). Oppure quando a essere imitata è un’azione di per se stessa pericolosa (ad esempio un pugno). In questi casi l’imitazione potrebbe portare da un singolo desiderio, magari per una donna, a una tragica epopea (si pensi a ‘I Fratelli Karamazov’), oppure da un singolo cazzotto a una maxi rissa con morti.


Dovremmo aver capito dunque in che senso lo sguardo può diventare pericoloso. Se non siete ancora convinte/i dai miei argomenti, qualche banale fatto di cronaca potrebbe concludere l’opera di convincimento. Lo sguardo è pericoloso in quanto espone al desiderio altrui (gli altri, guardandoci, possono iniziare a imitare le nostre attenzioni, oppure noi, guardando, potremmo imitare le attenzioni altrui) e in quanto alimenta i desideri. I due miti presi in considerazione riconoscono saggiamente questo fatto e, in situazioni di pericolo e di crisi, invitano, sotto forma di divieto divino, a prestare particolare attenzione al proprio sguardo, affinché esso non rimanga impigliato nelle maglie mortali del desiderio mimetico. Non è che, forse, l’occhio bendato di Odino e i ciclopi della mitologia greca potrebbero rappresentare una forma residuale di questo stesso antico monito?


Concludo con una rapida considerazione e con un ulteriore spunto sul tema. Ho l’impressione che, negli anni, a causa di un certo filosofare misticheggiante, sia stato sprecato parecchio inchiostro sul tema dello sguardo o del guardare. Piuttosto che lanciarsi in improbabili speculazioni, sarebbe più istruttivo sforzarsi di volare bassi, nella pianura dei fatti e dell’empiria. Così facendo si potrebbe notare, ad esempio, che negli esseri umani la sclera dell’occhio è particolarmente ampia e chiara e che ciò rende particolarmente facile per questi animali il percepire la direzione dello sguardo dei propri conspecifici.

Ultimo spunto sullo sguardo. Vi ricordate quando Gesù, nel tentativo di difendere un’adultera dalla lapidazione, disse: “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”? In quell’episodio, davanti a un branco di esaltati con le pietre in mano, Gesù si mette a scrivere cose per terra con il dito (Gv 8,6). Che fa?! È impazzito? È quello il momento di fare disegnini? René Girard, in maniera assolutamente geniale, comprende il gesto di Gesù. Non è importante cosa Gesù stesse scrivendo o disegnando nella polvere. L’importante è che Gesù abbassa lo sguardo. Gesù disinnesca un sanguinoso meccanismo rivalitario e mimetico fissando gli occhi a terra. Gli uomini con le pietre non trovano uno sguardo da affrontare, uno sguardo altrui con cui alimentare i propri desideri violenti e, “uno dopo l’altro”, se ne vanno.



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