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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Strani amori in Mesopotamia | La misteriosa vicenda di Enlil e Ninlil

Aggiornamento: 22 mar 2021




La Mesopotamia, culla della civiltà, possedeva già un patrimonio di racconti mitici, ben più antichi dei più famosi greci. D’altra parte almeno il nome di Gilgamesh suona famigliare un po’ a tutti. Qui vogliamo proporre il mito della prima importante coppia di divinità che questa civiltà ha conosciuto, Enlil e Ninlil, con l’intento di suscitare qualche curiosità in più nei confronti del mondo mitologico mesopotamico.

I suoi miti sembrano avvolti da un alone di mistero. Le vicende che narrano sono strane e i loro personaggi sono strani. Una volta tradotti, questi racconti conservano qualcosa di incomprensibile, come se fosse richiesta una seconda traduzione. È una chiave di lettura quella che manca e in questo la maggior parte dei traduttori, anche i migliori, poco ci aiuta. Il testo su Enlil e Ninlil che riporta Jean Bottéro nel suo libro Uomini e dèi della Mesopotamia (edizione Einaudi) è emblematico.



La trama di per sé è abbastanza semplice. Tutto è ambientato nella città di Nippur, una giovane e bella ragazza di nome Ninlil non segue il consiglio della madre e va a fare il bagno, Enlil la vede e se ne innamora. Lui prova a sedurla, ma lei rifiuta. Il testo non mostra particolari abilità retoriche da parte di Enlil per convincere la giovane, in compenso è molto preciso sulle ragioni del rifiuto di Ninlil. La prima è che lei è troppo giovane, segue poi l’elenco delle conseguenze negative di un simile gesto malvisto dalla comunità. Enlil non accetta il rifiuto e con l’aiuto del paggio Nuska trova il modo di ottenere quello che vuole. Quando la comunità degli dèi scopre cosa è accaduto, lo esilia con l’accusa di “violentatore”.

Come si diceva la trama è semplice e lineare. Non ci sono incoerenze logiche, chiaro segno che gli antichi non erano affatto “irrazionali”: è credibile che una ragazza ancora giovane disobbedisca ai consigli della madre, che uno ammaliato dalla sua bellezza non accetti un rifiuto, ecc. Il problema però non si può eludere e appena posto tutto diventa improvvisamente oscuro. Questa è veramente la storia di due dèi? E in che modo vengono rappresentati? Tra l’altro non si tratta di due qualunque perché Enlil e Ninlil sono le due divinità principali. Eppure lui è uno stupratore (e se è vero che la ragazza è ancora troppo giovane, questo elemento è presente al solo scopo di rendere il suo gesto ancora più odioso) e lei la sua vittima che servilmente lo segue dopo che è stato esiliato (ma forse non aveva scelta, visto quello che dice a proposito della reazione dei genitori).

È bene precisare che qui non si sta giudicando la mentalità degli antichi. Anzi, è esattamente a partire dal loro giudizio e dalla loro condanna che il mistero emerge prepotentemente senza possibilità di occultarlo, rendendo questo mito specifico particolarmente interessante.

Prendiamo l’esempio di Zeus che si trasforma in cuculo per avvicinarsi a Era e costringerla a unirsi a lui: è ambigua, non si parla in maniera esplicita di violenza e non c’è nessun biasimo. Ognuno può interpretare come vuole e tanti, in primis molti “esperti” che nutrono per gli dèi che studiano un timore reverenziale più forte degli stessi antichi (vedi i tanti casi in cui sono proprio gli eroi della letteratura che li denigrano per il loro comportamento), sarebbero pronti a giurare che il biasimo verso il re degli dèi sarebbe assolutamente fuori luogo. Il fatto che Era non sia consenziente sarebbe un elemento insignificante e il mito andrebbe letto diversamente.

Perciò quello di Enlil è tanto interessante, perché non c’è ambiguità sotto nessun aspetto, è manchevole di qualsiasi censura, rimozione o simbolizzazione, che mascherino le crude e semplici dinamiche in atto. Così il mistero è proposto dal testo stesso e se non si è in grado di risolverlo, si è costretti a riconoscere i propri limiti nell’interpretazione.

Non siamo noi a biasimare Enlil. Non c’è alcun bisogno che ci impegniamo noi a biasimarlo. Ci ha già pensato l’intera comunità degli dèi che lo ha esiliato. Per questo è più che lecito chiederci: com’è possibile che la divinità principale sia un personaggio che lo stesso pantheon condanna come un “violentatore”?

In effetti il mistero si infittisce, nella misura in cui lo stesso testo che ha appena messo in cattiva luce il suo dio, si conclude con una celebrazione della sua grandezza. Com’è possibile?

Parlare di “arcaismo” rivela solo un certo imbarazzo di fronte a qualcosa che evidentemente oltre a non essere compreso è anche difficilmente accettabile. Lo si allontana in un remoto tempo indeterminato per il ribrezzo che non si riesce a soffocare. Chi mai potrebbe venerare come la sua più grande divinità uno stupratore? Se anche si volesse sostenere che un tempo la cognizione di giusto e sbagliato fosse così lontana dalla nostra, allora perché è raccontato che la comunità degli dèi lo ha condannato ed esiliato?

D’altra parte abbiamo sottolineato che non c’è nessun indizio di irrazionalità dell’autore nella trama presa in se stessa: la sua coerenza è perfettamente comprensibile, non c’è nulla di misteriosamente “arcaico”. Quindi dobbiamo riuscire a tenere tutto insieme: tanto il biasimo quanto la lode riservata alla divinità, sia questa apparente contraddizione sia l’evidente coerenza della trama. L’unica ipotesi ragionevole è che dobbiamo trovare una chiave di lettura ed è proprio quella che cerca l’antropologo René Girard.

Dal suo studio in La violenza e il sacro questi miti così strani, prima sempre liquidati perché mettevano in imbarazzo i loro interpreti, diventano i più importanti e interessanti da analizzare. Non per tornare a disprezzare il mondo primitivo, ma per scoprire dinamiche antropologiche e sociali in realtà presenti, in forme e con esiti molto diversi, ancora oggi nel nostro mondo “moderno”.



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