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Sul perché la masturbazione rende ciechi | Il mito dell'autoerotismo


“Non ti masturbare che diventi cieco”. È una frase che sicuramente ci è capitato di sentire. Forse da ragazzini ce la diceva sghignazzando qualche amico più grandicello. Probabilmente l’abbiamo anche detta. Certo, in quanto battuta, ma l’abbiamo detta. È una massima che spunta fuori anche in televisione qualche volta. Ricordo ora una puntata dei Griffin, e gli esempi si potrebbero moltiplicare.

Ma perché si dice? Perché questa associazione tra masturbazione e cecità è in circolazione? Vorrei in queste poche righe cercare di compiere una mossa già eseguita in altri miei articoli: mostrare quanto sia religiosa la “contemporaneità”, e mostrare quanto sia contemporaneo il religioso. Un esercizio che ritengo utile sotto più punti di vista.

Dividerò la questione in due domande. Perché la masturbazione è associata a qualcosa di negativo? E perché proprio alla perdita della vista?


Cominciamo dalla prima domanda. Meglio precisare: non sostengo che la masturbazione renda ciechi. Neanche la stragrande maggioranza della gente che pronuncia o che sente questa frase ci crede. Viene detto a mo’ di scherzo. Però attenzione: per l’adolescente che inizia a intuire che in mezzo alle proprie gambe possono succedere cose strane, tanto ridere non fa questa frasetta innocente. Ricordo che anni addietro, ad esempio, all’alba dell’adolescenza, io me ne preoccupavo. Poi, come accade nella scienza, la ripetizione dell’esperimento abbatte i dogmi superstiziosi. Sapere aude!, scrisse uno che se ne intendeva, di scienza.

“Non ti masturbare che diventi cieco” suona come una vaga minaccia. Non è certo bello non vedere. La masturbazione viene quindi collegata a qualcosa di spiacevole. Perché è accaduto questo? Per comprendere bisogna partire dalla seguente constatazione. Tra i problemi più grandi che si sono posti alle società, umane ma non solo, vi è la regolazione dell’attività sessuale. Insomma, affinché numerosi individui possano convivere in gruppi, si sono dovuti imporre dei sistemi di controllo della sessualità. Questione affascinante questa, su cui ci sarebbe molto da dire. Mi limito qui a pochi spunti, cominciando da un’avvertenza: non si pensi a sistemi di regole stabiliti ragionevolmente e di comune accordo, e neppure a decisioni calate dall’alto e rese accettabili con l’inganno e con il complotto. Le cose nel mondo non funzionano così. Questi metodi di regolamentazione si sviluppano in maniera casuale. Alcuni metodi poi si sono rivelati particolarmente efficaci, e i gruppi che li hanno adottati sono cresciuti e hanno prosperato, rendendoli abitudine, istituzione e tradizione. Altri non hanno funzionato bene e le società che li hanno adottati non hanno fatto molta strada. Qualche lettura etnografica sul tema potrà dare un’idea della varietà di questi metodi, e del loro livello di complessità talora davvero strabiliante.

In questo senso la sessualità è un problema. Una società in cui chiunque può avere rapporti sessuali con chiunque altro, senza conseguenze, non esiste e, ragionevolmente, non può esistere. Per questo certe morali ultra-libertine in materia di sessualità – ed eventuali rivendicazioni che si basano su di esse – non possono esser prese sul serio. Il “lasciati andare”, “scopati chi ti pare”, possono essere buoni consigli per un’amica o un amico un po’ problematico, ma non possono surgere a massime morali universali. L’atteggiamento opposto, da rifiutare concettualmente e da condannare, è il giustificazionismo reazionario. Se è così ci sarà una ragione, e quindi bisogna che rimanga così. Esempio: se l’omosessualità è stigmatizzata in una sacco di società, allora è giusto che sia stigmatizzata. Non funziona così. Nei secoli e nei millenni si avvicendano nuove esigenze, nuovi ideali, e il sistema sociale si trasforma di conseguenza. Nessun conservatorismo a tutti i costi dunque.


Ci sarebbero molte altre puntualizzazioni da fare, ma torniamo alla masturbazione. Quanto appena argomentato aiuta a capire il senso del detto da cui siamo partiti, per quali motivazioni esso è nato e perché si è diffuso. L’esigenza di partenza è il controllo della sessualità, la quale è anche (dipende dal livello descrittivo che consideriamo) un problema. È un problema per un sacco di motivi. Lo dimostra la miriade di divieti e punizioni che si sono avvicendati in tutte le società umane osservate nella storia e in ogni angolo del pianeta. Alcuni divieti compaiono negli odierni codici penali, altri sono decaduti, altri ancora sono sopravvissuti a stento, modificando la forma e la tonalità emotiva con cui vengono pronunciati. Il nostro “non ti masturbare che diventi cieco” appartiene a quest’ultima categoria. Ha resistito ai secoli, ma degradandosi. Ora è diventato per lo più una battuta, mantenendo ben poco della sua forza inibitoria e perdendo la capacità di scoraggiare e di limitare l’attività sessuale (in compagnia o in solitaria), nonostante forse sia ancora in grado di esercitare una minima azione repressiva presso i giovanissimi.


Ho risposto così alla prima domanda, in cui ci chiedevamo perché la masturbazione è associata a un qualcosa di negativo. Prima di passare alla seconda domanda una rapida osservazione. Questa storiella della cecità gira tra i maschi, tra i ragazzi. Non mi pare che circoli tra le femmine. Questo fa riflettere. Una società patriarcale – definita così proprio perché, tra le altre cose, il controllo sulla sessualità femminile risulta particolarmente oppressivo – si guarda bene dal lasciare a guardia dell’autoerotismo femminile una battutina che non viene presa sul serio da nessuno. Sul fronte femminile si sono sviluppati sistemi ben più seri per limitare e livellare le pulsioni sessuali. E qui si apre un campo di indagine di cui mi occuperò in altri articoli.

Seconda domanda. Perché proprio la cecità? Perché non un herpes labiale? O la perdita di capelli? O un tumore? Chi ha letto il mio articolo sullo sguardo probabilmente può già intuire la risposta. La cecità significa impossibilità di guardare. Lo sguardo – questo i primitivi lo sapevano molto meglio di noi – è congiuntamente indicatore e moltiplicatore del desiderio dell’individuo. Indicatore perché il fatto che una persona guardi qualcosa in un certo modo può svelare un suo desiderio, e quindi una possibile intenzione di appropriamento. È inoltre moltiplicatore perché – ciò è ben noto – se desideriamo qualcosa, da un piatto di melanzane alla parmigiana a un partner sessuale, il volgere lo sguardo su quel qualcosa probabilmente accrescerà di molto l’intensità del desiderio. E il desiderio, come la sessualità, è un bel problema per la stabilità sociale. Chiunque abbia scritto le famose tavole della legge l’aveva capito bene (mi riferisco ai comandamenti 9 e 10).

Ecco spiegato il collegamento “logico” tra divieto sessuale e cecità: lo sguardo è parte del problema sessuale, in quanto guardare rivela ad altri il desiderio ed alimenta il desiderio stesso, rendendolo quindi imitabile e difficilmente controllabile. Del resto nella mitologia il divieto dello sguardo è ben operante e spesso viene anche personificato. Il tratto di cecità è riscontrabile in una molteplicità di vicende e di tradizione mitologiche. Ci sono i ciclopi; c’è Odino, rappresentato cieco da un occhio; c’è Edipo, che gli occhi se li cava; c’è Orfeo, a cui uno sguardo costò caro; c’è Omero, mitico poeta cieco. I divieti sullo sguardo si riscontrano nelle società di tutto il mondo, dagli aborigeni australiani alla tradizione giudaico-cristiana. Da questo ceppo di divieti deriva anche il nostro "non ti masturbare che diventi cieco".

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