top of page
Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Un incontro possibile | La proposta di Papa Francesco

Aggiornamento: 10 feb 2021

di Massimo Cislaghi



L’enciclica “Fratelli tutti” ci pone di fronte a due scenari opposti. Da un lato un radicamento nelle logiche socio-culturali imperanti, fatte di chiusura, conflitto, populismo, egoismo, individualismo sotto il profilo della disposizione personale e sociale, così come nelle sue espressioni economico-finanziarie, nella dinamica politica, che: “… non è più una sana discussione su progetti a lungo termine per lo sviluppo di tutti e del bene comune, bensì solo ricette effimere di marketing che trovano nella distruzione dell'altro la risorsa più efficace”, nell'interazione sui media digitali, nella considerazione del fenomeno migratorio sul quale ci ricorda gli effetti della marginalità: “Se talvolta i più poveri gli scartati reagiscono con atteggiamenti che sembrano antisociali, e importante capire che in molti casi tali reazioni dipendono da una storia di disprezzo e di mancata inclusione sociale” (Papa Bergoglio, 2020). Dall'altro lato ci mostra, in questi diversi ambiti tra loro intrecciati, la possibilità di ri-orientare con pazienza, tenacia e lungimiranza le tendenze culturali disordinate e deleterie per lo sviluppo individuale e collettivo.


Traccia un mondo possibile, soffermandosi sul metodo che dobbiamo acquisire per questo impegnativo cambio di rotta, un metodo che Papa Francesco stesso ha seguito nel partorire questo scritto, frutto del confronto, del dialogo e della riflessione condivisa con l’Imam Ahmad Al-Tayyeb.


Nella prima parte dello scritto si sofferma sulle criticità e contraddizioni che qualificano il nostro cammino quotidiano, che ciascuno, secondo il suo ruolo e le funzioni che è chiamato a realizzare, sia professionalmente, sia, in senso lato, come membro del corpo sociale, ne è in qualche misura interprete, più o meno consapevole. La non facile presa di coscienza di queste dinamiche è un passo essenziale per intraprendere percorsi di senso rinnovati, capaci di dare spessore e un valore autentico alle nostre e altrui vite. Una possibilità che si staglia nel libero arbitrio che ci caratterizza, nella scelta di fermarsi a riflettere, piuttosto che procedere speditamente lungo la miriade di impegni, programmi, ambizioni, desideri, certo legittimi, ma da soli non sufficienti a rendere ragione della pienezza e della Veritas dell’esistere.


Tra le diverse citate, via una parabola su cui il testo si sofferma perché ricca di spunti di analisi e particolarmente rappresentativa di un modus operandi dilagante in occidente. Si tratta della parabola del “Buon samaritano”, secondo la quale Gesù rispose, ad un dottore della legge che lo interrogava su che cosa avrebbe dovuto fare per guadagnarsi la vita eterna, di amare con tutto il cuore Dio ed al contempo di amare il prossimo come sé stesso. Alla successiva domanda su chi fosse questo prossimo, Gesù raccontò di un uomo che venne assalito, derubato e percosso dai briganti, che poi lo abbandonarono nel mezzo della strada. Diverse persone ed autorità locali passarono per quella stessa via, ma pur vedendolo preferirono guardare altrove, occupandosi dei propri impegni. Così si comportò un sacerdote, come pure un levita, mentre un samaritano (che per alcuni giudei del tempo era considerato un individuo impuro e sgradevole) lo soccorse, lo medicò, lo trasportò in una locanda e infine pagò il ristoratore affinché se ne occupasse sino al suo ritorno (Conferenza Episcopale Italiana, 2014). Si tratta di un racconto significativo e particolarmente attuale sotto diversi profili. Tre sono gli attori implicati: il malcapitato, chi non lo soccorre, pur ricoprendo un’importante carica pubblica ed infine chi, scosso dalla sofferenza altrui, decide di occuparsi di uno sconosciuto, nel modo migliore per lui possibile. Come evidenzia Papa Bergoglio ognuno di noi si è trovato e si troverà ad impersonare tutti e tre i ruoli in momenti diversi. Ci invita in primo luogo a riflettere sulla nostra vicenda personale, sulle contraddizioni che l’attraversano, sulle diverse istanze che ci muovono. Ci sprona ad una serrata riflessione sul alcune logiche contemporanee. L’affaccendamento quotidiano, l'agenda zeppa di impegni e di appuntamenti che si traducono in una frenesia che ci aliena da noi stessi: “… tutti siamo molto concentrati sulle nostre necessità, vedere qualcuno che soffre ci dà fastidio, ci disturba, perché non vogliamo Perdere tempo per colpa dei problemi altrui. Questi sono sintomi di una società malata, perché mira costruirsi voltando le spalle al dolore” (Papa Bergoglio, 2020). Siamo sempre meno nelle condizioni di fermarci a guardare, riflettere, a sostare sui fenomeni, ad ascoltare pacatamente perché distratti da un incessante rumore di sottofondo. Un' alienazione che investe quanti ci attorniano, sentiti più come ostacoli, come contrattempi, o competitori, quando non come potenziali minacce alla conservazione della posizione sociale conquistata. Il racconto del Vangelo ci aiuta a recuperare, non senza uno sforzo di rilievo, le nostre vere priorità, a riflettere su che cosa è importante: occuparci di chi, in modo diverso, è in difficoltà, sapere contemperare le incombenze personali e l'attenzione verso l'altro, nonché riconoscerlo come uomo. Un primo passo è riuscire a spogliare gli individui dalle incrostazioni prodotte da un’abituale interpretazione funzionalista, che li riduce a strumenti, a mezzi per raggiungere dei fini programmati, o per la propria affermazione professionale.


Un esercizio cui questa enciclica ci sprona è guardare l'altro in modo diverso, cercando di riconoscervi una parte di noi, dei bisogni, desideri, aspirazioni, difficoltà e dignità inalienabili che ci accomunano. La parabola ci mette in guardia dall’ipocrisia di chi, pur occupando posizioni di prestigio e pur godendo della popolarità, si muove su di un livello solo esteticamente impeccabile, sostenendo una recita ben orchestrata, ma priva di autenticità, che tuttavia, quando si è abituati a muoversi oltre la superficie liscia del facile consenso, non è complicato individuare. Ognuno però, in modo pressoché inevitabile, sconta almeno in parte questa tendenza, lo sforzo è allora cercare di tendere al meglio, mentre ci si apre alle esigenze altrui. Un buon esempio può aiutare a sollevare le coscienze da un intorpidimento, magari neppure posto a tema, ma semplicemente reiterato, perché sospinto da un modus operandi diffuso. In tal senso consideriamo che ciascuno dispone di un versante privato, rappresentato in primo luogo dalla famiglia e dalle relazioni più intime, senza naturalmente trascurare l'essenziale rapporto con sé stessi, accanto al quale vi è un versante pubblico, un sé sociale, che si esprime in svariati ambiti, come quello professionale, del tempo libero, amicale, fino alle più anodine interazioni quotidiane. Muoversi al contempo su entrambe queste sfere, nei termini proposti dall’enciclica, è la risposta più forte che ciascuno può dare per tentare di alterare l'ordine imperante. La parabola del buon samaritano, così come il messaggio che emerge dallo scritto papale, propongono un mutamento di sguardo, possibile, non semplice, ma comunque praticabile, nella direzione del saper ascoltare, di imparare a guardare il mondo e chi lo abita, di aprirsi alle sue suggestioni, evocazioni, possibilità, richieste di dialogo (un dialogo anche da proporre, da suggerire come metodo), di comprensione, di aiuto nelle innumerevoli forme che può assumere. L’apertura agli altri, singoli e popoli, richiede però che si parta: “… dall'amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base possa accogliere il dono dell'altro e offrirgli qualcosa di autentico” (Papa Bergoglio, 2020). Dobbiamo pensarci come una penisola, legata alla terra di origine, ma al contempo bagnata e sollecitata dal mare della diversità, al quale, proprio perché sicuri della nostra appartenenza, siamo capaci di rispondere e di ritornare arricchiti da questi incontri (Amos Oz, 2010).


Ci domandiamo chi può riuscire a realizzare un così impegnativo cambiamento delle sue abitudini, sia in ambito privato, sia nella sfera sociale? Chi può con successo distanziarsi dall’usurante logica del tutto e subito, del guadagno personale anche a discapito degli altri, dalla frenesia irriflessa e massificata che non di rado ci attraversano, per fermarsi, alzare lo sguardo e vivere in modo pieno, potendo così cogliere più ampie e diversificate sfaccettature del mondo, degli altri, di noi stessi, lasciandosi interrogare e facendosi sorprendere dal mondo? Papa Francesco, conscio che questa operazione, secondo le possibilità di ciascuno, è percorribile da chiunque, suggerisce di partire da chi, per diverse ragioni, sconta questa tensione, è mosso da una particolare sensibilità, avverte un disagio, un'insoddisfazione che non può trovare sollievo nell’arricchirsi, o nel solo appagamento professionale. Suggerisce poi di iniziare dalla realtà più prossima, dalle conoscenze e dalle relazioni abituali, cercando di ampliare via via lo sguardo, evitando di lasciarsi trascinare dal solo qui ed ora, per tendere ad una visione d’insieme, capace di dare senso e prospettiva anche al particolare.


Gli individui che sono tesi ad esprimere il loro potenziale di innovazione, possono, nella vita privata e pubblica, proporre uno sguardo rinnovato, meno superficiale, più riflessivo, che riconosce l'altro con i suoi diritti fondamentali e la dignità che accomuna ciascuno di noi. Si apre così lo spazio per una mimesi positiva, diametralmente opposta alla tendenza oggi più diffusa, ben esplicitata nella prima parte dell'enciclica, che può, se sufficientemente radicata ed estesa, raggiungere una massa critica in grado di avviare un cambio di passo. In questa direzione è utile cercare le occasioni di confronto, sia interpersonali, sia sui media digitali, slatentizzandone in tal modo le potenzialità e animando un dibattito mutualmente costruttivo (Habermas, 1984). Papa Francesco parla di una vera e propria cultura dell’incontro, che “… significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti” (Papa Bergoglio, 2020).


La consapevolezza che un fenomeno, di qualunque natura sia, può essere considerato sotto svariati profili interpretativi e che non possiedo di conseguenza la veritas al riguardo, ma che si può tendere a questa solo componendo in modo dialogico e dialettico i diversi spunti di senso, è un passo importante nella giusta direzione.


Le azioni quotidiane, compiute nel più prossimo circuito esistenziale, insieme alle interazioni discorsive, sono uno strumento particolarmente efficace nell’avviare un contagio mimetico teso alla progressiva crescita del corpo sociale. Tanti centri concentrici possono così prendere vita in diverse aree del panorama sociale, con una progressione che può raggiungere nel lungo periodo uno sviluppo importante, in grado di sollecitare il versante positivo che alberga in ciascuno.


Seguendo l'insegnamento girardiano, ci possiamo inoltre domandare che ruolo gioca il capro espiatorio in questo processo di crescita, su chi, o quale credenza si catalizza l'attenzione collettiva? È possibile che si superi la, secondo Girard, connaturata, individuazione di una vittima sacrificale che consenta di superare i momenti di crisi sociale? La piena realizzazione del progetto contenuto nel testo esaminato aprirebbe scenari inediti, tuttavia è forse più realistico prospettare uno sviluppo mimetico che porta con sé contraddizioni, passi in avanti e retrocessioni, conflitti e sintesi, considerando la complessità e la presenza di tendenze diverse, spesso opposte che compongono la natura umana. In questo quadro la funzione del capro espiatorio, di un oggetto da additare come unico colpevole dei mali che ci attanagliano non verrebbe meno, sarebbe piuttosto il suo vigore, l'intensità con cui si manifesta e il bisogno di ricercarlo che potrebbero subire un ridimensionamento. Le virtù discusse avversano la ricerca di un falso bersaglio a cui prestare attenzione, nell’illusione che allontanandolo potremo ripristinare un certo benessere, quanto meno temporaneo. Un depotenziamento dell'oggetto sacrificale mi pare una possibilità, almeno in una certa misura, grazie ad uno sforzo diffuso e continuo, più verosimilmente possibile.



Bibliografia


Amos Oz, 2010, Contro il fanatismo, Feltrinelli, Milano.

Conferenza Episcopale Italiana, 2014, Vangelo e atti degli apostoli, San Paolo.

Habermas, J., 1984, Teoria dell’agire comunicativo, Il Mulino, Bologna.

Papa Francesco (Bergoglio J. M.), 2020, Lettera enciclica Fratelli tutti, sulla fraternità e l’amicizia sociale, sito: www.vatican.va.

73 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page