Nell’articolo in cui si erano commentate le trasposizioni dell’opera di Tolkien fino alla prima stagione della serie televisiva Gli Anelli del Potere, si era concluso affermando che in quest’ultima il vero tradimento del racconto del professore – per tutto il resto (volendo) si possono trovare attenuanti – è mostrare che gli Anelli servono a rispondere a un bisogno “reale”, “oggettivo”. Tutto ciò che c’è da dire sull’intera seconda stagione è nient’altro che la ripetizione di questa affermazione. E tutto ciò che c’è da argomentare è perché non c’è altro di importante di cui parlare e perché è così grave il tradimento.
Partiamo dalla prima argomentazione. Semplicemente è questione di coerenza con la scelta degli oggetti che danno il titolo alla serie e con gli eventi che li riguardano. Nel momento in cui la narrazione si concentra sulla produzione e sulla distribuzione degli Anelli del Potere, intorno ai quali ruotano i desideri che muovono i personaggi che tessono la trama della storia della Terra di Mezzo, si può anche non seguire del tutto fedelmente (o quasi per nulla) la versione originale, ma il tema della tentazione non può più essere considerato uno dei tanti, dev’essere quello centrale, se non proprio l’unico. Perciò già il fatto che troppo spesso non sembra per nulla esserlo non deve sviare, dev’essere riconosciuto come sintomo di un problema.
I film su Il Signore degli Anelli avevano la scusa che c’era in corso una guerra – cinematograficamente più appetibile – per tagliare corto con l’Anello, quelli su Lo Hobbit avevano il drago, gli Orchi, la Battaglia dei Cinque Eserciti… ma Gli Anelli del Potere non solo non ha scuse: non dovrebbe neanche cercarne, visto che tra le decine di storie della Terra di Mezzo che avrebbe potuto raccontare, ha scelto proprio questa. Invece ancora una volta di tentazione non si parla. C’è magia, c’è illusione, non c’è tentazione.
Apriamo il discorso “magia”, senza cambiare argomento. In Tolkien non riguarda solo i meccanismi narrativi, ma anche il piano interpretativo: nella sua opera essa enfatizza sempre qualcosa di reale, per renderlo più evidente. Nelle trasposizioni (sottolineiamo: in tutte, Gli Anelli del Potere è più colpevole solo perché lo è più grossolanamente) invece accade l’esatto contrario: non si tratta solo di semplificare i meccanismi narrativi e banalizzarli, essa cancella le questioni, come se non esistessero, pertanto occulta invece che enfatizzare quel qualcosa di reale, di cui si sarebbe costretti a parlare se essa non ci fosse.
Perché Celebrimbor produce gli Anelli? Perché è vittima della magia e delle illusioni di Sauron. È già tutto risolto così: che bisogno c’è di interrogarsi su cosa potrebbe averlo tentato? Giusto un accenno al suo orgoglioso desiderio di essere il miglior fabbro e persino a un modello da superare, Fëanor, sembrano messi tanto per dare un minimo di spessore psicologico al personaggio, ma è troppo poco. In una serie che ha – o meglio: dovrebbe avere – questo come principale argomento è troppo poco. Dal punto di vista narrativo alla fine si assiste infatti a un passaggio alle minacce, a riprova che c’è persino una certa consapevolezza da parte della serie televisiva stessa della pochezza di altri fattori.
Perché Re Durin è accecato dall’Anello? Semplice: perché esso è stato corrotto da Sauron. Che bisogno c’è di indagare la psicologia del Nano? Basta dire che impazzisce. Cosa poi voglia dire “impazzire”, questo non è dato saperlo. Peggio: non si è invitati a saperlo. Si è invitati a non saperlo, ad accettare la cosa così, perché l’Anello è corrotto ed è magico.
Il problema dunque di cui tutta questa centralità della “magia” è il sintomo, sembra proprio l’incapacità di affrontare quella realtà, che costantemente si rischia di dover mostrare nella storia degli Anelli del Potere: proprio la tentazione. Ma perché sarebbe così problematico?
Arriviamo alla seconda argomentazione. In effetti non c’è solo magia e illusione, un minimo appiglio alla realtà bisogna per forza che ci sia, altrimenti sarebbe davvero fin troppo palese il non voler parlare di essa; e quale viene scelto dalla serie televisiva? Di reale vengono mostrati i bisogni e gli effetti degli Anelli in quanto soluzioni, cioè l’esatto contrario di ciò che c’è di reale nella tentazione e di ciò che viene raccontato nell’opera di Tolkien. Nella prima stagione si era parlato degli Elfi che sarebbero morti restando nella Terra di Mezzo, nella seconda si prosegue con Khazad-dûm che rimane senza la luce del sole con la possibilità anche qui di conseguenze funeste.
Di nuovo è tutta questa centralità della realtà del “bisogno” a tradire cosa c’è di profondamente problematico nella tentazione, ovvero scandaloso. Come invece dai racconti originali appare chiaro, il desiderio in realtà si sclerotizza fino all’ossessione proprio quando non c’è nessun “bisogno” reale. Per questo motivo niente che gli Anelli del Potere possano fare lo può soddisfare: come si può appagare un desiderio che non è un vero “bisogno”? Eppure quelli hanno un grande “potere”, quindi ci si può convincere che prima o poi ci riusciranno.
Questa è la realtà scandalosa della tentazione: l’essere ciechi al circolo infinito sorretto da un reale desiderio rivolto a un presunto bisogno e una falsa promessa di potere che lo soddisferebbe. Questo è il reale motivo per cui si finisce a produrre sempre più Anelli, a cercare sempre più ricchezze sotto le montagne. Si tratta di un meccanismo semplice a guardarlo dall’esterno, eppure difficilissimo da disinnescare, quando se ne diviene vittime, perché difficilissimo è riconoscere la vera natura di un desiderio che si sente così vivo. Se lo è tanto, allora sarà ben motivato, viene da pensare, quando invece è l’impossibilità di soddisfarlo a farlo ardere sempre di più.
Ma esattamente tutto ciò che c’è di profondo e rivelativo nell’opera di Tolkien viene occultato nella serie televisiva con i riferimenti alla magia, alle illusioni, fino alla manipolazione della mente sul finire della seconda stagione: la risoluzione definitiva per cancellare alla radice la questione. D’altra parte, viene da chiedersi a conclusione delle argomentazioni, come potrebbe una realtà come Amazon (Amazon come qualsiasi altra fabbrica dei desideri) offrire un prodotto che denunci l’irrealtà dei presunti bisogni, credendo ai quali siamo tentati di acquistare sempre di più?
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