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Indifferenti alle differenze | Il problema del fluido magma degli antichi racconti

Aggiornamento: 22 set 2021



La madre è disperata nel vedere che tutti i suoi figli sono stati divorati, ma almeno sono stati ingoiati interi, c’è ancora la speranza di recuperarli. Intanto il più piccolo la scampa. Serve uno stratagemma, quello di sostituire la vittima con una pietra.

Uno dei motivi principali per cui si scarta a priori un’ipotesi come quella dell’antropologo René Girard secondo cui tutti gli antichi racconti, si definiscano miti, leggende, fiabe o altro, sarebbero stati originati da eventi simili, in cui fu messo in atto sempre lo stesso meccanismo, applicando quindi sempre la stessa chiave di lettura, è che sembra si faccia torto alle loro irriducibili differenze. Certamente delle differenze sussistono e in determinati ambiti di indagine è importante sottolinearle, ma sono così irriducibili da escludere l’ipotesi che i racconti si siano originati sempre allo stesso modo? Miti e fiabe sono così differenti o esistono tratti che si riscontrano, in maniera che resterebbe inspiegabile, indifferentemente in tutti?

Sarebbe interessante poter interrogare ogni lettore per chiedergli a quale storia ci si riferiva prima. Qualcuno che conosce bene i miti greci sarebbe sicuro che la madre è Rea, il divoratore Crono e il figlio più piccolo Zeus, sostituito da una pietra nel momento in cui deve essere ingoiato, perché possa essere allevato segretamente, fino a quando non farà risputare al padre tutti i suoi fratelli. Insomma è un mito teogonico, perché parla di divinità. Ma qualcuno che conosce le fiabe dei fratelli Grimm potrebbe chiedersi se non sia invece la storia de Il lupo e i sette caprettini. La vecchia capra torna a casa e scopre che i suoi figli sono stati divorati dal lupo, tutti tranne il più piccolo. Con il suo aiuto taglia la pancia del cattivo ingordo addormentato, saltano fuori tutti i capretti, che vengono sostituiti da pietre. Quindi non è un mito, ma una fiaba perché parla di animali.

O forse è contemporaneamente entrambi i racconti e nessuno dei due. Non è un racconto, è lo schema che li accomuna, indifferente alle loro differenze, il punto di partenza per una lettura indifferentemente applicabile a entrambi. E questo non è un caso unico, nemmeno raro.



Girard in Il capro espiatorio analizza un mito fondatore degli Indiani Dogrib che parla di una donna espulsa dalla sua tribù, i cui sei figli sono lupi, ma se si tolgono la loro pelle diventano umani. La donna fa sparire le loro pelli e quelli diventano definitivamente uomini. Forse che questa storia non ricorda nessuna fiaba dei fratelli Grimm? Forse I dodici fratelli: si allontanano dalla comunità seguiti dalla loro sorella, sono trasformati in corvi, ma grazie a lei tornano umani. O forse I sei cigni: anche qui vengono allontanati sei maschi e una femmina, i fratelli si trasformano in cigni ricevendo una camicia ciascuno, ma la sorella prepara altre camicie per farli ritornare umani.

Se si volesse elencare tutte le differenze tra questi tre racconti, sarebbero innumerevoli, ma in nessun caso sarebbe possibile negare lo schema che sempre si ripete. Una volta rivelato, non può essere censurato, è troppo evidente.

Come già si era accorto un altro importante antropologo, Lévi-Strauss, uno schema si evince anche dalle differenze stesse, quando si presentano in perfetta quanto curiosa opposizione. Nel mito greco il re Acrisio rinchiude la figlia Danae in una stanza di bronzo sotterranea (secondo Apollodoro, ma secondo Orazio in una torre) perché non abbia figli, nella fiaba dei Grimm Il garofano un re rinchiude la moglie in una torre perché accusata di aver lasciato morire il loro figlio.



Il problema sorge a causa dell’abitudine di pensare che uno studio è tanto più approfondito quanto più propone distinzioni sempre più particolareggiate, mentre non farlo significa essere superficiali e grossolani. Questa regola è vera per oggetti dai tratti distintivi immutabili, ma il materiale composto dagli antichi racconti è come un fluido magma, che perciò richiede un approccio diverso. Ogni differenza che si crede di individuare è in realtà provvisoria e molto, in maniera troppo sospetta, dipende dalle etichette. Se una serie di vendette e lotte famigliari chiama in causa personaggi i cui nomi sono Urano, Crono, Zeus, allora si parla delle straordinarie origini del mondo; se i loro nomi sono Atreo e Tieste, Agamennone e Egisto, allora si parla della triste storia di eroi; se sono tre sorelle, figlie di un comune mortale, non interessa a nessuno, a meno che non compaiano un principe e la magia come in Cenerentola. Tutti i significati, che sembrano così intrinseci ai racconti, si evince chiaramente che dipendono unicamente dai nomi dei personaggi e da pochi particolari.

Bisogna adeguare lo studio ai prodotti di tradizioni orali che rielaboravano continuamente le loro differenze, non percependole come essenziali. Elena è l’emblema della moglie infedele? Eppure esiste una versione del mito (ripresa da Euripide) secondo cui Paride rapì il suo fantasma e lei non tradì mai il marito Menelao. Penelope è l’emblema di quella fedele? Eppure esiste una versione che la vede unirsi a tutti i proci, da cui genera il figlio Pan. Se non sono essenziali queste differenze, cosa allora può esserlo?

Il magma è fluido, ma secondo Girard ci vuole pur sempre un vulcano a eruttarlo. Se vengono messe da parte tutte le differenze contingenti, c’è la possibilità di scoprire sempre lo stesso schema, applicabile indifferentemente a tutti gli antichi racconti, siano miti, leggende, fiabe o altro.

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