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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Dèi buoni e dèi colpevoli | Delle cose nascoste fino agli insulti di Loki

Aggiornamento: 20 mag 2021


Nell’immaginario comune, a differenza dei Greci che rappresentavano le loro divinità senza distinguerle in buone e cattive, i popoli scandinavi avrebbero proposto già anticamente la separazione tra dèi giusti e Loki, l’unico malvagio. Questa convinzione, che giustificherebbe un certo approccio nel riprendere proprio quel materiale mitologico (piuttosto che altri) oggi in voga nella narrativa fantasy, non è però condivisa da tutti gli studiosi. Nel VI capitolo di Il capro espiatorio l’antropologo René Girard argomenta che, riscontrato in molteplici miti antichi una caratteristica (e non casuale) indifferenziazione tra divinità sotto il profilo morale, quelli nordici non fanno eccezione.

Nel contesto greco è noto come, per esempio, la Teogonia di Esiodo mostri chiaramente che Zeus non si distingue in realtà dal padre: come Crono divorava i suoi figli per paura di essere spodestato da uno di loro, così lui divora Meti quando è in procinto di partorire per lo stesso motivo. I due sono di fatto identici, non c’è un buono né un cattivo. Allo stesso modo si può verificare che il trickster Loki non è affatto l’unica divinità colpevole di azioni turpi della schiera degli Asi.



Il mito norreno che però Girard recupera è di molta più complessa lettura rispetto al testo esiodeo e altri possibili esempi non solo del mondo greco, eppure l’antropologo è convinto che dietro la rappresentazione di Loki come unico colpevole della morte di Baldr si nasconda la terribile realtà di un linciaggio trasfigurato. Per quanto questa tesi possa apparire azzardata e viziata dalla volontà di ottenere ovunque conferme dell’ipotesi secondo cui sarebbe il meccanismo del capro espiatorio l’origine di tutti i miti, resta difficile negare la presenza di una serie di stranezze in questo racconto. L’Edda di Snorri descrive come tutti gli Asi si divertono a colpire Baldr nel thing con armi di ogni tipo (si precisa l’uso di sassi), eppure sostiene anche che a uccidere la vittima sarebbe solo un innocuo germoglio di vischio scagliato dal cieco Hödhr, su invito dell’ingannevole Loki, che ne indirizza la mano: esso era l’unico oggetto a cui non era stato chiesto di giurare di essere inoffensivo al dio senza difetti, divenuto così invulnerabile a tutto meno che a quello.

Senza saltare subito alle conclusioni, sarà almeno lecito porsi qualche domanda di fronte a una scena tanto bizzarra. Innanzitutto perché improvvisare questo “gioco” nella pubblica piazza attraverso cui mettere alla prova la guadagnata invulnerabilità di Baldr? È innegabile che fin dal principio la sua vita è quanto meno messa a repentaglio e, se si pensa che precedentemente la richiesta di far giurare a tutte le cose di non infliggergli alcun danno era sorta dalla preoccupazione dovuta a una premonizione sulla sua fine, più che di sconsideratezza è opportuno parlare di malizia.

Il racconto non fornisce alcuna giustificazione, come se desse semplicemente per impossibile sospettare gli Asi di invidia nei confronti di un dio senza difetti divenuto anche invulnerabile. Al contempo richiede di accettare che il crudele Loki riesca a compiere da solo il terribile delitto con un misero ramoscello di vischio. La spiegazione del mancato giuramento è inconsistente e ciò è a maggior ragione esplicito se quella mancanza è dovuta non a una dimenticanza da parte della dea Frigg, ma alla sua consapevolezza dell’inoffensività dell’oggetto. Dunque perché il mito non sa essere più convincente nel mostrare sotto una certa luce l’assassinio? Forse perché più che mostrare deve nascondere?

Certamente si possono chiamare in causa letture simboliche, che però non risolvono il piano letterale, semplicemente impongono di ignorarlo. Ma spesso si preferisce questo piuttosto che modificarlo: ciò che il mito dice è sacro e nell’interpretazione bisogna restargli fedeli.


Per fortuna di Girard esiste un secondo mito, molto meno famoso, in Il canzoniere eddico. Anche qui tutto comincia con un’atmosfera di festa: gli dèi questa volta sono radunati per gustarsi dell’ottima birra. Poi all’improvviso Loki colpisce a morte Fimafengr, servo di Aegir, che si stava occupando di preparare la birra, oggetto delle lodi di tutti gli Asi. In questo caso non si sorvola sul movente: Loki è il dio invidioso, il solo dio invidioso a quanto sembra. Perciò giustamente tutti gli altri lo scacciano.

Ma a questo punto accade l’imprevedibile: il racconto avrebbe potuto terminare qui, invece Loki ritorna e, a quanto pare stanco di essere lo zimbello, l’unico “cattivo” in mezzo ai “buoni”, ha la sfrontataggine di dire quelle cose che sarebbe stato meglio che restassero nascoste perché regnasse la pace e la concordia.

Comincia infatti a insultare a turno gli Asi, svelando i difetti e le viltà di ciascuno. Il termine “svelare” è del tutto legittimo: benché Loki racconti le peggiori azioni, molti non negano, tutti cercano di convincerlo a tacere o con le buone o con le minacce.

L’atmosfera è diventata l’opposta di quella iniziale: alle lodi si sono sostituite le accuse, alla concordia l’odio. Nessuno è senza macchia, può solo rinfacciare qualcosa all’altro in un reciproco scambio di accuse senza che ci sia un “buono” né un “cattivo”, perché ora è messo in luce che sono tutti identici.

Alla fine la pace tra gli Asi ritorna, o quanto meno il silenzio. Arriva Thor e Loki viene catturato: legato con le interiora del figlio e avendo sopra la faccia un serpente che gocciola veleno, quando la catinella che tiene la moglie Sigyn si riempie e lei deve andarla a vuotare, le gocce gli finiscono addosso e gli provocano tanta sofferenza che i suoi sussulti generano terremoti.

Come il mito precedente si poteva leggere in termini simbolici, anche questo lo si può risolvere con la sua componente eziologica. Ma di nuovo si ignorerebbe il contenuto letterale che questa volta è esplicito: la comunità degli dèi vive nella quietudine nonostante difetti e viltà, perché c’è uno solo da disprezzare e punire. L’ipotesi di Girard sul funzionamento del meccanismo del capro espiatorio in questo caso è la banale esposizione in forma teorica di ciò che viene narrato. Effettivamente ciò che il mito dice è cosa è il sacro.

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