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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Schiavi della logica sacrificale | Nuove conferme di tappe diacroniche

Negli anni Cinquanta Italo Calvino scriveva la Prefazione a una raccolta di Fiabe africane a cura di Paul Radin (ed. Einaudi, trad. it. di A. Motti), in cui si augurava che anch’esse potessero entrare a far parte della nostra tradizione, come Cappuccetto Rosso e altri personaggi. Quanto il suo desiderio sia stato esaudito lo dimostra quanto questo libro sia conosciuto.

Eppure non si era sbagliato sul fatto che la funzione eziologica, il ruolo di “spiegazione pre-scientifica” «sembra appiccicato a conclusione d’un complicato racconto, che interessa ormai per il suo svolgimento in sé, non per quello che spiega». Allora faremo noi un altro tentativo per riabilitare queste fiabe e ne sceglieremo una dallo svolgimento particolarmente complicato.

Proprio il fatto che lo sia ci è straordinariamente utile per approfondire un tema già proposto (cfr. l’articolo Capri espiatori femminili) e non poco delicato per la difficoltà di trovare indizi oggettivi, ovvero quello delle tappe diacroniche nei racconti che documentano il linciaggio di capri espiatori, secondo la lettura dell’antropologo René Girard. L’ipotesi che vogliamo portare avanti è che in alcuni racconti sia documentabile la presenza di più linciaggi, le cui storie si sono sovrapposte una all’altra, e che nel tempo la scelta del capro espiatorio tenda a vertere su soggetti sempre più deboli sul piano sociale. Quest’ipotesi a prima vista così vulnerabile trova una forte alleata nella fiaba La schiava che cercò di uccidere la padrona.



La storia racconta di una ragazza di nome Emme, che, raggiunta l’età, deve andare in un’altra città per unirsi al marito, Akpan. La seguono la sorellina e una schiava, quest’ultima scelta dal padre di Emme perché molto bella. Ma questa schiava è in realtà molto cattiva: arrivate vicino a destinazione invita la padrona a fare il bagno in una fonte dove sa che è proibito. Emme, che non può sapere, cade nel tranello, viene spinta sott’acqua dalla schiava che a quel punto, credendola morta, decide di prendere il suo posto, minacciando la sorellina di morte se avesse detto la verità. Dunque Akpan sposa la schiava, ma è triste perché lei non è né bella né raffinata come si aspettava, né la comunità manca di sottolineare che ha pagato una forte dote per poi ottenere, sette anni dopo, una moglie di scarso valore.

Per farla breve, Akpan scopre la verità. Una vecchia gli permette di riottenere la sua vera moglie sacrificando al juju dell’acqua, che l’aveva rapita, uno schiavo, una capra e una gallina e offrendo anche uova e una stoffa. Poi Emme e Akpan si vendicano della cattiva schiava: la torturano come lei aveva torturato la sorellina nel periodo in cui si era spacciata per un’altra e la lasciano legata a un albero a morire di fame.

Come si diceva la trama non è per nulla semplice, eppure non può non balzare agli occhi la serie di morti che la costella e il fatto che di ogni vittima è specificata proprio la posizione sociale. Prima la figlia straniera di un uomo ricco, che ha commesso un atto proibito, viene affogata, poi uno schiavo viene sgozzato, perché la divinità dell’acqua prenda lui e lasci andare la prima vittima, infine muore una schiava perché cattiva. Naturalmente ci sono anche gli animali sacrificati, che nell’ordine della storia compaiono insieme allo schiavo maschio, ma se seguiamo l’ordine decrescente sul piano dell’importanza sociale, dovremmo presentarli dopo la schiava femmina (ammesso che gli Efik non siano così misogini).

Forse appare azzardato pretendere che ciò possa essere una conferma dell’ipotesi sopraesposta. La fiaba presenta le morti in un racconto coerente e l’ordine appena sottolineato potrebbe essere una coincidenza. Ammettiamo che sia una coincidenza, restano una serie di dati del racconto assolutamente oggettivi nel senso che non sono lasciati all’arbitraria interpretazione del lettore.



Il primo dato riguarda la prima vittima: è innegabile che la fiaba minimizza la gravità della sua trasgressione, benché di fatto lei paghi con l’affogamento. In questo caso l’ignoranza pare una valida scusante, benché noi sappiamo che i miti non sempre sono così clementi (Edipo e Giocasta restano sempre esempi emblematici).

Il secondo dato riguarda la seconda vittima: il racconto dice in maniera del tutto esplicita che lo schiavo viene sacrificato e che questo sacrificio ha il chiaro scopo di “liberare” una persona più importante. L’idea di una sostituzione sacrificale, cioè di capro espiatorio, e il criterio di ordine sociale su cui si basa qui non sono lasciati all’interpretazione di nessuno: è il banale riassunto di ciò che viene narrato.

Il terzo dato riguarda la terza vittima e si ricollega con il primo. La fiaba non è affatto clemente, la sua apparente clemenza nei confronti della prima vittima è chiaramente funzionale alla piena condanna dell’ultima, guarda caso quella di rango più basso. È interessante che l’elemento della sostituzione sia presente anche qui e non è affatto arbitrario sostenere che anche in questo caso sia sacrificale: la fiaba condanna la schiava che ha tentato una sostituzione tramite un’uccisione e così legittima la sostituzione della vittima da uccidere. È proprio il fatto che la sua morte appare pienamente giustificata che rende manifesta la logica sacrificale e che la vittima è un capro espiatorio. Finché è la logica con cui una schiava cerca di sostituirsi a una padrona è un grande scandalo, ma quando riporta la giusta gerarchia è assolutamente lecita.

Ora gli amanti delle coincidenze ne hanno altre due con cui trastullarsi, oltre quella dell’ordine di cui si è già parlato, una legata all’altra. La fiaba è così preoccupata di negare che la sua prima protagonista non è un capro espiatorio, che piuttosto rinuncia a nascondere qualsiasi indizio che lo siano i due schiavi: seconda coincidenza molto sospetta. D’altra parte, proprio perché non nasconde bene gli indizi, si evince chiaramente che i due schiavi non solo sono capri espiatori, ma sono i sostituti proprio della protagonista: terza coincidenza che non lascia molti dubbi che in una più antica versione lo fosse lei.

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