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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Creonte e Antigone | Al di là delle differenze assolute

Aggiornamento: 26 set 2021


Nella maggioranza delle interpretazioni dell’Antigone si dà molta importanza ai dialoghi e pochissima ai fatti raccontati. Abituati dal razionalismo a definire un personaggio attraverso le sue ragioni dette, il suo “logos”, è facile sottovalutarli, solo grazie agli studi comparati di etnologi e antropologi è possibile riconoscere quanto siano invece utili per la comprensione dell’intero testo.

Quelli dell’antropologo René Girard in particolare ci permettono di individuare uno schema narrativo importantissimo che qui compare non una, ma ben due volte. Il racconto sul quale Sofocle struttura i dialoghi a sua volta si struttura in due storie intrecciate, una sovrapposta all’altra (di queste sovrapposizioni nella mitologia mi sono occupato in Capri espiatori femminili).



La prima storia è una delle più famigliari agli esperti di miti: è quella di un re crudele, che provoca il caos nel regno, in questo caso la città di Tebe, perciò alla fine viene punito. Ma procediamo con ordine.

Nel Primo Episodio coloro che sono posti a guardia del corpo di Polinice, perché non riceva gli onori funebri, secondo l’ordine imposto dal re Creonte, scoprono che invece li ha ricevuti. Questo genera il caos, ovvero il litigio delle guardie che si accusano a vicenda, finché viene estratto a sorte uno che deve trovare il coraggio di raccontare tutto al re, assicurandosi che si convinca che non è lui il colpevole, perché la paura è che sia lui a essere punito.

Lo schema è chiaro: c’è una crisi, ci sono molte accuse, si cerca il colpevole. E il personaggio più messo in cattiva luce è Creonte: tutte le guardie, quella sorteggiata poi lo ribadisce, sono d’accordo nel non avere di lui un’immagine di re magnanimo e moderato.

Ma che egli sia l’effettivo unico colpevole della crisi, similmente al suo predecessore Edipo, diventa esplicito solo nel Quinto Episodio con un nuovo arrivo di Tiresia e la disperazione finale per aver perso tutto. Il significato delle accuse del vate però si comprende davvero solo a partire dagli eventi del Primo Episodio appena ricordati: è il decreto del re Creonte che “mette in scena le guardie”, cioè l’origine ultima delle allerte, dei sospetti, della presa delle armi, che preludono e preparano all’escalation di accuse e di violenza.

Eppure a questa storia si sovrappone una seconda, anticipata nel Prologo e sviluppata nella parte centrale dell’opera. Proprio la guardia sorteggiata, che voleva stare alla larga da quel re irascibile, ritorna da lui tutta soddisfatta, perché ha trovato il vero colpevole. Il secondo schema è identico al primo, anche perché si sovrappone a esso: la crisi è la stessa, le accuse diventano due e cambia il vero colpevole. Qui è altrettanto esplicito che è Antigone: lei viene colta sul fatto e d’altra parte non nega la trasgressione, di cui anzi è arrogantemente orgogliosa. La sua sola difesa è un contrattacco: un’accusa al suo rivale.



È fondamentale evidenziare l’identità sul piano strutturale delle due storie, degli schemi narrativi, per poter dimostrare che Creonte e Antigone sono uguali. Quasi tutte le interpretazioni della tragedia hanno sempre visto un’assoluta differenza, invece sono entrambi capri espiatori.

Su cosa si fonda questa presunta differenza assoluta? Non sono i dialoghi a costruirla, come si sostiene, ma lo schierarsi delle guardie, la folla in armi: essendo “illogico”, si ignora. A loro di capro espiatorio da incolpare della crisi ne basta uno solo e optano per il più debole sul piano sociale (non sul piano dei discorsi): arrestano Antigone perché Creonte è il loro re (che temono: di ciò si è già parlato). Questo gesto è la vera origine di tutte le differenze elaborate dagli interpreti. Come avremmo potuto vedere in Creonte l’incarnazione dello Stato, delle Leggi umane o simili, se fosse stato imprigionato lui? In quale interpretazione Edipo rappresenta lo Stato, benché sia Edipo “re”? Come avremmo potuto vedere in Antigone l’incarnazione dell’antitesi dello Stato, se la folla, cioè l’unica vera autorità “statuale” in tempo di crisi, avesse parteggiato per lei?

Prima che Antigone fosse condannata, Creonte era considerabile un fattore di disordine per lo Stato tanto quanto lei, ma non appena le guardie si schierano dalla parte del re (e perché? Sono obbligate? Da cosa?), siamo subito tutti pronti a dimenticarlo, siamo subito pronti a credere che lui davvero abbia incarnato la voce dello Stato fin dall’inizio. Per contro Antigone deve quindi aver recitato la parte di colei che distrugge l’armonia, benché Tiresia alla fine affermi a chiare lettere che non sia affatto lei. Il vate non contrappone affatto il mondo dello Stato a uno antitetico, anzi ammesso che distingua due mondi è solo per indicare un legame molto stretto per cui, la violazione delle regole dell’uno provoca il caos nell’altro. Stranamente in questo caso non siamo così disposti ad affidarci alla sua opinione come lo siamo nell’Edipo re e l’unica spiegazione può solo essere che questa volta la folla si schiera con il re, almeno nella parte centrale della tragedia, dove ci sono i dialoghi che tutti leggono. Nella parte finale non è più così, nella parte finale Creonte non è meno capro espiatorio di Edipo.

Sofocle reinterpreta il mito in maniera molto più acuta del razionalismo che interpreta lui, accorgendosi che questi personaggi sono sullo stesso piano non perché hanno entrambi delle ragioni valide, il motivo è l’esatto opposto: entrambi sono dalla parte del torto, entrambi sono dei folli. È quello che dice Antigone a Creonte, riconoscendo con straordinaria lucidità che nessuna abissale differenza, li distingue, perché loro sono identici, mimetici nel rivaleggiare l’uno contro l’altro: «E se a te sembra che io ora agisca da folle, questa follia la devo, forse, ad un folle» (trad. it. di R. Cantarella, vv. 469-70).

Grazie all’antropologia di Girard abbiamo imparato a non sottovalutare questi indizi, ma soprattutto a compiere il passo ultimo, che neanche Sofocle era in grado di compiere, perché dietro alla follia attribuita a questi personaggi si nasconde la reale follia, non dei capri espiatori, ma delle folle che sempre li cercano in tempo di crisi.

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