di Simone Berno
In questa IV settimana d'Avvento del calendario ambrosiano, mi è capitato di imbattermi nel lancio di questo articolo per il quotidiano Domani (che con dispiacere non ho potuto leggere, in quanto non abbonato). Come si evince dal titolo – e da alcune righe che si riescono a leggere sfruttando la differenza tra il tempo di caricamento della pagina e quello della richiesta di accesso – l'autrice, stupita dalla realizzazione anche del Presepe assieme alle altre decorazioni approntate dalla classe del proprio figlio, avrebbe chiesto spiegazioni nella chat dei genitori degli alunni. A sua detta, le risposte testimonierebbero lo stato razzista ed escludente del paese, in quanto «la chat è il paese reale» (come dice uno dei titoli dei paragrafi, elemento che viene difficile non mettere in relazione con il tema della narrazione massmediatica e l'instaurazione dell'iperrealtà, ma ce ne siamo già occupati altrove).
Non è la prima volta che si assiste a iniziative di questo tipo, a metà tra il fan-baiting acchiappa click e la psyop di una battaglia culturale.
Complice il lavoro di rielaborazione per il video che stiamo preparando, nel quale rifletteremo su un paio di opere in cui il ruolo centrale è proprio assegnato al Santo Natale, è stato difficile pensare di non spendere alcune righe, deponendo – anche se solo momentaneamente, e in realtà in modo solo apparente – il tono più ecumenico assunto in un altro articolo sullo stesso tema di ormai un paio di anni fa, perché, al di là di tutto, resta comunque l'urgenza della testimonianza.
Non entrerò nei meriti degli argomenti dell'articolo sul Domani, in quanto, appunto, non ho potuto leggerlo, e mi limiterò ad alcune osservazioni su quanto lascia aleggiare la scelta del taglio imposto dal titolo e dal catenaccio dell'articolo.
Difficile non iniziare suggerendo che l'universalismo dell'uguaglianza e dell'accoglienza si afferma proprio con il cristianesimo, e non come ideologia, ma come annuncio universale di una pratica relazionale e come pratica attiva di relazione; difficile quindi non rispondere affermando che, quando una posizione come quella suggerita dal taglio prende a bersaglio il Presepe, simbolo di tale Annuncio, manca del tutto di vederne il contenuto, traslando su di esso le eventuali (ma non ho potuto leggere l'articolo e quindi potuto valutare) proprie mancanze personali di coloro che avrebbero risposto nella chat all'autrice, e che lei avrebbe desunto dai modi in cui loro avrebbero difeso l'iniziativa.
Se, per richiamare e focalizzare allora tale contenuto, ci è consentita una formulazione forzatamente sintetica ma, ci auguriamo, forse non impropria, si potrebbe dire che il Cristianesimo si afferma come differenza relazionale incentrata su un dono di salvezza offerto a tutti e per tutti, e che non si basa su alcuna differenza tra persone poiché tutti egualmente figli di Dio. E Colui di cui si annuncia poi la Resurrezione, un giorno nacque, Figlio del Padre e da Questi donato all'umanità per la sua salvezza. Nacque, quindi, un giorno: il Dies Natalis, Giorno Natale.
Immaginando allora le pronte osservazioni che qui potrebbero intervenire a puntualizzare alcuni aspetti, ci permettiamo di anticiparne subito alcune.
Certo, in quella data i Romani festeggiavano il dies natalis solis invicti, così come è vero che dies natalis era d'altra parte formula indicante diversi giorni del calendario cultuale romano e che questa non è l'unica delle numerose riattualizzazioni culturali che sono state mutuate dalle celebrazioni del Santo Natale. Nuovi usi per vecchi costumi, o qualcosa del genere, da quanto ricordo dalle lezioni di Teoretica incentrate sul Pragmatismo. Non starei però allora ad aprire l'argomento della “vera origine di una pratica”, innanzitutto perché la catena dei prestiti e delle eredità delle pratiche è infinita e impossibile da spezzare ponendovi un inizio – quindi, se anche vogliamo ricordare che ad esempio l'uso di verzura appesa era propria dei Saturnalia, nulla impedisce di chiedere se e da dove i Saturnalia l'avessero eventualmente mutuata, e prolungare così indeterminatamente la catena delle origini –; in secondo luogo, perché chi racconta la storia delle origini è sempre umanità culturalmente collocata, quindi prospetticamente condizionata (abbiamo fatto in proposito alcune considerazioni teoretiche qui); infine perché l'origine è nel valore, nel senso vissuto della pratica.
Certo, per chi crede c'è anche la questione della Verità e del senso aperto da questa Verità, ma non vorrei che questo turbasse i sogni di gloria del nichilismo.
Basterebbe quindi davvero invece ricordare ad esempio l'uso già citato dei rami verdi e la coincidenza delle date e di alcuni costumi, con nel caso dei Saturnalia, per decostruire il Santo Natale, rinforzando magari l'argomentazione con i toni ironici e le espressioni un po' risentite di chi si vuole sornione, come in alcuni video a tema su Youtube?
Probabilmente, per qualcuno sì: questa operazione dalle vestigia illuministiche sarebbe sufficiente. Vogliamo pertanto suggerire alcune riflessioni, ma partendo però dal chiederci quale sia allora la richiesta sottesa alla rimostranza esposta dal taglio dell'articolo, la quale, si badi, non sembra chiedere l'intero annullamento della festa, ma solo la rimozione del simbolo di ciò da cui nasce lo stato d'animo che viene comunque evocato da tale celebrazione. Infatti, di scandalo è la presenza del Presepe, non di altre forme rituali come la pratica di forme di generosità, la contemplazione di stati d'animo di gioia e fratellanza, o l'usanza del dono, simboleggiata dai citati pacchetti presenti nelle decorazioni, approntati probabilmente solo in rigoroso omaggio alla divinità consumo, unica fonte identitaria universalmente riconosciuta e incentivata.
Cosa chiede, quindi, tale lamentela? Il permanere della festa ma come feticcio, come tempo della festa in quanto ferie dal lavoro? Pausa d'inverno? Così non sembra, perché il controcanto del taglio appare proprio essere quello di lamentare l'incoerenza tra i valori della Festività e le risposte di coloro che avrebbero difeso la presenza del Presepe: quindi non la cancellazione del tema relazionale che emerge in tale ricorrenza.
La questione è a un tempo complessa e semplice. Per tentare di dipanarla, o, quanto meno, di renderla visibile, è opportuno – e ne parleremo ancora nel video a partire dalle opere che abbiamo scelto – presentare alcuni elementi utili riguardo le feste storicamente precedenti e di cui ne sarebbero stati mutuati alcuni tratti dalle celebrazioni del Santo Natale.
Le feste precedenti avevano a che fare con l'ospitalità, sì, nei confronti del mondo dei morti – di cui l'ospite straniero o inatteso, o ancora i gruppi umani interni alla comunità non però socialmente iniziati ne sono metonimia – così come avevano anche a che fare con la generosità, spesso nella forma della licenza nei confronti delle suddette categorie sociali non ancora iniziate alla società o escluse da suoi ranghi liberi (da noi solo sotto forma di doni alla categoria per noi equivalente – i bambini – a differenza, per fortuna, di quanto prevedevano i Saturnalia), ma queste celebrazioni non ricorrevano con lo stesso spirito con cui si offre il Santo Natale, anzi: si potrebbe dire che fosse proprio il contrario.
Per approfondimenti non posso che rimandare alle magnifiche pagine del volume di Angelo Brelich Tre variazioni romane sul tema delle origini (1). Qui mi limito a ricordare come quelle celebrazioni e quelle per alcuni versi affini dei dies parentales, ricorrenti in febbraio (tra girardiani ricordiamo che februo in latino vuol dire purificare, espiare) non si ponevano con la medesima funzione delle celebrazioni del Santo Natale: esse mettevano in scena una crisi di indifferenziazione, offrivano spazio all'indistinzione di cui il mondo dei morti non è solo forma, ma ne è anche sostanza, in quanto la morte è l'indistinto che assorbe tutte le differenze; ma – e questo è fondamentale – offrivano a quel mondo un tempo e uno spazio definiti, per poi poterlo respingere e così ripristinare, vivificato, l'ordine costituito e le differenze sue proprie. Tali celebrazioni erano quindi momento di passaggio, funzionale alla stessa negazione sacrificale di tale momento e del mondo relazionale che in esso aveva luogo.
Rispondevano quindi essenzialmente a una funzione conservativa a vantaggio di un ordine che tracciava delle precise differenze, in primis quella tra i vivi e i morti, consequenzialmente quella tra le categorie sociali.
Al contrario, sotteso al Santo Natale vi è l'annuncio del venir meno dell'ordine in quanto differenza sacrificale tra vittima e carnefice, e l'annuncio dell'avvento del nuovo Regno di fratelli e sorelle uguali in quanto tutti figli e figlie di Dio, inaugurato dalla Nascita di Colui che porta la Salvezza facendosi uomo tra tutti noi e come noi; un elemento inoltre centrale nel marcare la differenza è che quella Nascita segna non il passaggio tra una fine e un inizio che si ripetono ciclicamente con le stagioni, ma un inizio dato una volta e per sempre di un Tempo che dona nuovo senso.
Pertanto, la rimozione del simbolo di questo Annuncio sembra del tutto incoerente con la richiesta che ciò venga fatto in nome di accoglienza e uguaglianza, proprio perché tali valori sono presenti al cuore di quel simbolo stesso, e perché è a partire da quell'Annuncio che si affermano nella loro universalità.
Torniamo allora a chiederci cosa venga richiesto da tale posizione. Il ritorno a un paganesimo associato ai simboli che si vorrebbero mantenere (l'albero, i doni al mondo dei morti)? Difficile crederlo, in quanto anche questa posizione sarebbe affetta da quella stessa parzialità culturale (nel senso di appartenere a una parte) che si vuole soppressa in nome dell'accoglienza della parzialità culturale altrui. Difficile anche solo pensare che si possa inoltre volere, ritenendola una richiesta intellettualmente seria, la reversione del tempo a prima di quell'Annuncio.
Per riuscire a vedere cosa possa venir richiesto, proviamo allora a concentrarci sul fatto che entro tale rimostranza sembra rimanere il desiderio di mantenere le pratiche relazionali che hanno nel Bambinello nella mangiatoia il suo simbolo, privandole però del riferimento religioso, rimuovendo, sacrificando cioè proprio quel Bambinello in quanto presenza scandalosa.
Ecco, allora, farsi avanti la suggestione girardiana che quanto messo in atto sia proprio un gesto che unisce un rito sacrificale e un desiderio mimetico: il secondo è il desiderio di essere come ciò che è percepito quale scandaloso modello in quanto Evento che inaugura un nuovo Tempo, il primo è l'atto da cui si vuole poter istituire miticamente una divinità-identità (il Progresso?) che necessita appunto continuamente sacrifici da cui risorgere, espellendo gli scarti neutralizzati e indifferenziati dal vortice del nichilismo.
È proprio questo il rimosso poiché di scandalo, e dal cui sacrificio si vuole l'erezione di un nuovo mito che calzi come la propria differenza: l'Annuncio che ha nel Santo Natale il suo cuore.
L'impressione è che, in fondo, in questo periodo, giunti di fronte al Presepe, si possa vivere il timore di perdere la propria differenza, il timore di essere assorbiti in una indifferenza e, consequenzialmente, il desiderio di affermare miticamente che l'identità attuale agglutinata attorno ai valori dell'uguaglianza e dell'inclusione non sorge a partire da alcuna radice e da alcuna storia, cioè da alcuna relazione culturale e temporale. L'impressione è che talvolta si voglia infatti che tale identità abbia come propri natali la pura astrazione, e che si ponga così da sé – causa sui – come entità che galleggia metafisicamente su un orizzonte, appunto, mitico. Come le differenze sorte dal mito, cioè sorte da un sacrificio poi rimosso dalla coscienza collettiva, così sembra porsi la differenza reclamata da simili posizioni: il punto cui tende una rimostranza di quella fattispecie non è infatti proprio sacrificare il Santo Natale stesso, da cui comincia la storia di quell'Annuncio di Salvezza che porta all'universalizzazione di determinati valori, e che tale sacrificio venga proprio invocato in funzione di una identità che si fa così mitica in quanto a(s)-tratta, tirata fuori da qualsiasi radice-relazione concreta, e che con ciò si vuole come modello assoluto senza possibilità di relazione con altri modelli?
Ci troviamo insomma davanti a una dinamica infine piuttosto ricorrente, come quando, ad esempio, ci è capitato di leggere brillanti saggi a commento di opere ambientate nel periodo del Santo Natale, che però non si confrontano veramente con il portato di tale Evento nella psicologia dei personaggi, come, ad esempio, quella di Lucarie' (Luca Cupiello), figura liminale come lo sono i bambini, e per questo figura ponte con quel mondo da cui proviene l'Annuncio. E anche questa rimozione ci è sembrata in quel caso funzionale all'affermazione di una identità culturale mitica, in quanto sottraente i propri paradigmi di lettura alle relazioni collocate, tra cui quella con il portato del Santo Natale, ridotto a sogno infantile di unione, contemplato da una psiche caduta in uno stato dai tratti simili a quelli di una rimozione della coscienza, o simili a quelli dell'infanzia.
Ironico come un episodio come questo dell'articolo sia l'immagine rovesciata di quanto illustra Claude Lévi-Strauss nel suo Babbo Natale suppliziato, del 1952. In esso l'antropologo conduce una riflessione a partire da un evento occorso a Digione nel 1951: sintetizzato in breve, un fantoccio di Babbo Natale venne dato alle fiamme come gesto simbolico di difesa della tradizione rispetto all'avanzata di nuove forme celebrative (di cui il Babbo Natale era preso come Simbolo), vissute come minaccia in quanto snaturanti la vera essenza del Santo Natale cristiano; a conclusione del saggio, lo studioso osservava acutamente come, nel desiderio di preservare la propria differenza contro l'avanzata di tradizioni vissute come neopagane, tale gesto riproponesse nei fatti una tradizione pagana: quella del sacrificio del re dei saturnali, «una figura rituale, di cui si sono così assunti il compito, con il pretesto di distruggerla, di provarne la perennità» (2), riattualizzando quindi uno dei tratti della celebrazione pagana che le celebrazioni natalizie hanno sostituito. Ecco, la rimostranza avanzata nell'articolo, con il pretesto di chiedere la rimozione di un simbolo in nome dei valori di uguaglianza ed accoglienza, prova la perennità della figura dell'Annuncio, di cui il Presepe è simbolo e contenuto: tale richiesta, infatti, assume allo stesso tempo la pratica della sacrificio rituale, di cui – come ci insegna il nostro René Girard – la venuta di Cristo ha svelato la funzione mitica e l'arbitrarietà dell'affermazione di una differenza tra vittima e carnefice. Il Santo Natale come dono, come Annuncio di una possibilità a-sacrificale, di un ordine non basato sul sacro vittimario ma sullo svelamento dello stesso meccanismo vittimario.
***
(1) Angelo Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini (1955¹, 1976²), Editori Riuniti university press, Roma 2010.
(2) Claude Lévi-Strauss, Babbo Natale suppliziato (1952), contenuto in Razza e storia e altri studi di antropologia, Giulio Einaudi editore, Torino 1967.
Comments