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Descrizione di una battaglia - Round 1 | Questioni di donne e doppia mediazione

Aggiornamento: 6 mar 2020


In questo e in altri tre articoli proporrò un'analisi del racconto giovanile di Franz Kafka Descrizione di una battaglia servendomi degli strumenti concettuali elaborati da René Girard soprattutto nel saggio Menzogna romantica e verità romanzesca.


Del racconto esistono due stesure: una più antica, completa e in bella copia; una più tarda, incompleta. La prima stesura è edita in Italia da Passigli, a cura di Sabrina Mori Carmignani. Mi sono basato sulla versione di Max Bord, contenuta nell'edizione Meridiani Mondadori dei Racconti, che si rifà per la gran parte, ma non interamente, alla seconda stesura, e che corrisponde più a un'ipotesi di Brod che all'ultima volontà di Kafka.

Si è scelto di lavorare sulla versione di Brod perché la prima stesura, per quanto più conforme alla volontà del giovane Kafka, mi sembra meno riuscita di quella succesiva, pure incompiuta e manipolata da Brod. Quella sublime discrezione che è la migliore caratteristica della narrativa kafkiana appare molto più evidente nel testo seriore; la stesura giovanile, più esplicita e irruenta, mi sembra invece più goffa. Si tratta di una scelta – non immune da critiche – dettata da un giudizio sulla maturità artistica di Kafka sviluppato da chi scrive. Giudizio possibilmente fallace, che forse andrebbe argomentato più puntualmente. Non si creda però che il testo di Brod sia stato scelto con un occhio di riguardo alla compatibilità con la nostra lettura: si troverà anzi, confrontando le due versioni, che la prima stesura è perfino più esplicita, sotto il riguardo della lettura girardiana, proprio perché narrativamente meno discreta e raffinata della seconda. Un esempio su tutti: le volte in cui il conoscente rilancia la rivalità mimetica, nella prima versione, sono molto più numerose e molto più esplicite di quelle presenti nel testo seriore; ma proprio per l'insistenza con cui sono sciorinate, sottraggono al conoscente parte della sua aura demoniaca, rendendolo più simile un'ipostasi dimostrativa che a un personaggio di carne e sangue. Il lettore potrà, se vuole, fare l'esercizio di mettere alla prova la nostra lettura sul testo negletto, a beneficio dell'obiettività di questo articolo e dei successivi. Per ogni altra questione ecdotica, confido nella clemenza dei filologi.

Il racconto si apre su una festa in una casa privata. Il protagonista, nonché narratore innominato di tutto il racconto, beve da solo in un angolo. Non sembra il ritratto della felicità. Si avvicina un uomo, che il protagonista ha conosciuto quella sera – per tutta la lunghezza del racconto sarà chiamato "il conoscente", e così lo chiameremo anche noi – che gli si rivolge con eccessiva confidenza, gli parla della sua nuova ragazza, con la quale ha appena finito di trascorrere del tempo. Questi declina le confidenze, ma invano: "Fino a un momento fa eravamo soli nella stanza, Annetta e io", insiste il conoscente, "E l'ho baciata, baciato le ho le labbra, le orecchie, le spalle. Signore, Dio mio!". Un entusiasmo fin eccessivo, sebbene non immotivato. Non serve una finezza psicologica superiore per capire quanto possa essere fastidioso, per uno che ha verosimilmente trascorso la serata a bere da solo, sentirsi raccontare quanto è bello baciare una donna.

Introduciamo il primo e più importante strumento concettuale girardiano di cui ci serviremo: il desiderio mimetico. Il desiderio è detto "mimetico" quando è originato, o genericamente influenzato, dal desiderio di un'altra persona cui si riconosce un certo prestigio. Lo spettacolo del desiderio di un altro, secondo Girard, può essere profondamente contagioso, al punto da indurre a desiderare la stessa cosa che si vede desiderata da altri. Quando però il contagiato non può ottenere l'oggetto del desiderio che gli è stato suggerito, egli può sviluppare un risentimento profondo nei confronti del mediatore, ovvero di colui che gli ha suggerito il desiderio stesso.

Il risentimento – o per lo meno l'ostilità – del protagonista nei confronti del conoscente è evidente: "Dovrebbe capire quanto sia sconveniente parlare di una ragazza innamorata con uno che se ne sta solo e beve liquori". Come dargli torto?

Mentre il conoscente racconta "a voce piuttosto alta" la sua vicenda con Annetta, alcune persone si avvicinano incuriosite. Il conoscente ha evidentemente la vocazione del mediatore: vuol dichiarare ad alta voce il suo desiderio, nella speranza di suscitare ammirazione ed essere confermato nella bontà di questo stesso desiderio. Il protagonista, a questo punto, ritiene opportuno portare il conoscente fuori da quella casa: lo trascina giù dalle scale e fuori dalla porta, ma non può impedirgli di ostentare ancora una volta la sua maestria con le donne – prima con la padrona di casa, poi con una cameriera, dalle cui grinfie amorose il protagonista deve letteralmente strappare via il conoscente.

L'accumulo di questi suggerimenti di desiderio – lo spettacolo che il conoscente dà della propria disinvoltura erotica con le donne – segna definitivamente l'ingresso del protagonista nel campo della rivalità mimetica. Il protagonista, si può dire, è ingaggiato: non può più evitare il confronto. Inizia la battaglia cui accenna il titolo.

Poco dopo la fuga dalla festa, nei due contendenti avviene un cambiamento piuttosto sorprendente. Usciti all'aperto, il conoscente perde tutta la sua allegria, mentre il protagonista è preso da una "notevole vivacità". Cosa può aver determinato questo cambiamento? Lo spaesamento del lettore scema nel momento in cui si comprende che, portandolo all'aperto, il protagonista ha disattivato la spettacolarità del desiderio del conoscente, che si nutriva, per sua natura, della presenza di un nutrito gruppo di spettatori – gli ospiti della festa, la padrona di casa, le cameriere, il protagonista stesso –, senza i quali esso perderebbe la sua virtù mimetica.

Il desiderio, insegna Girard, è triangolare: si struttura in un soggetto desiderante, un desideratum e un mediatore. Nel contesto della festa, il conoscente aveva agio di moltiplicare all'infinito il numero di oggetti del desiderio da suggerire al protagonista e agli altri ospiti della festa. Lo spettacolo del desiderio, così esasperato, guadagna una qualità contagiosa di straordinaria potenza. Rendiamone conto in maniera sintetica:

-Guarda tu, protagonista, il mio desiderio per Annetta

-Guarda tu, protagonista, il desiderio di Annetta per me (Annetta si fa baciare e toccare: sebbene assente, ella dà spettacolo del proprio desiderio attraverso le parole del mediatore)

-Guardate voi, ospiti della festa, il mio desiderio per Annetta e il desiderio di Annetta per me (ascoltate la storia di come ho goduto di lei nell'altra stanza)

-Guarda tu, protagonista, il desiderio degli ospiti della festa per me in quanto desiderante e desiderato da Annetta.

Lo spettacolo del desiderio, così esasperato nella moltiplicazione degli sguardi, guadagna una qualità contagiosa di straordinaria potenza. È a questo punto che il protagonista, strapazzato dalla proliferazione delle occasioni di allettamento mimetico, opta per una fuga che sottragga al conoscente i principali strumenti della sua tortura: gli spettatori terzi.

Il fatto che il desiderio sia triangolare non significa tuttavia che esso non possa triangolarsi anche solo tra due persone. Vedremo infatti che il conoscente, sebbene deluso dall'improvvisa sparizione del vasto pubblico di cui poteva servirsi per alimentare il proprio desiderio e quello del protagonista, si riprenderà presto e sottoporrà l'altro a nuovi allettamenti mimetici in absentia, durante la loro solitaria passeggiata notturna.

Una volta lasciata la festa, si diceva, il protagonista assapora una felicità temporanea, dovuta al sottrarsi degli allettamenti mimetici. Presto però la dura realtà della sua posizione di mediato gli si fa nuovamente presente. Egli è stato ingaggiato in una rivalità innescata dallo spettacolo del desiderio del conoscente, che ha avuto per lui il carattere di una sfida. Si capisce che una battaglia vuole la partecipazione di entrambi i contendenti, e il protagonista ha fatto la sua mossa, sottraendo al conoscente alcune delle sue armi. Ora perché il mio avversario non controbatte, si chiede il protagonista? Quello si limita a canticchiare, ignorando manifestamente il protagonista, come se non fosse successo nulla e la battaglia non fosse mai cominciata. "Se di me non aveva bisogno, perché non mi ha lasciato in pace là dentro al caldo, davanti al liquore e ai dolci?", si domanda giustamente il protagonista, invertendo però la causalità degli eventi.

Come il protagonista, ingaggiato, ha bisogno del proprio rivale per portare a termine la sfida, così il conoscente, privato di altri mezzi di sostentamento del desiderio – e dell'orgoglio che dallo spettacolo di quel desiderio deriva – ha bisogno del protagonista per alimentare la propria vanità. Il conoscente, potremmo dire, dà spettacolo del proprio desiderio perfettamente autonomo e eterodiretto proprio con l'ignorare il protagonista di cui prima ha cercato la mediazione.

Il protagonista potrebbe rinunciare alla battaglia, abbandonare il campo svicolando in una via laterale senza dire niente. "In fondo, non ero obbligato a fare quella passeggiata in due. Potevo andare a casa da solo e nessuno poteva impedirmelo". Peccato che l'orgoglio, che il protagonista possiede in misura pari se non superiore a quella del conoscente, gli impedisca di attuare il suo proposito. Decide invece di fermarsi, con il proposito dichiarato di congedarsi dal conoscente. Questo però non accetta per primo la conclusione dello scontro – la sua vittoria non è ancora completa.

Il dialogo che si svolge a questa altezza è di una chiarezza sorprendente. Il conoscente torna alla carica: rilancia la mediazione del desiderio, chiedendo al protagonista un'opinione sulla cameriera che ha baciato all'ingresso. Lascia intendere anche di non essere certo che sia una cameriera, alimentando l'ipotesi di una conquista di superiore lignaggio. "Che fosse una cameriera, e neanche la prima, lo notai subito dalle mani arrossate, e quando le misi in mano la moneta sentii la pelle dura": il protagonista si difende come può dall'allettamento mimetico, scredita il valore della conquista del suo mediatore, ne abbassa il prestigio nel tentativo di spegnere, attraverso la doppia mediazione, il desiderio dell'avversario e come conseguenza ottenere un po' di sollievo per il proprio, così allettato e frustrato.

La doppia mediazione si verifica, secondo Girard, quando non solo il soggetto desiderante è influenzato dal desiderio del mediatore, ma il mediatore stesso subisce un allettamento di desiderio di forza eguale e contraria da parte di colui che ha influenzato. Come il conoscente è in grado di girare in un senso e nell'altro la manopola del desiderio del protagonista, così il protagonista può sperare di attenuare la mediazione proponendosi a sua volta come mediatore per il proprio mediatore, screditando il desiderio di cui l'altro vuol dare spettacolo e così riducendo l'influsso nefasto che questo stesso spettacolo ha su entrambi i contendenti. Ciò è ammesso dalla struttura stessa del desiderio mimetico: se il conoscente ricerca continuamente il protagonista per narrargli del proprio desiderio è perché vuole da costui una conferma e un alimento ulteriore al proprio desiderio. La frustrazione che si manifesta sul volto del protagonista, alla vista dello spettacolo del suo desiderio, è per il conoscente alimento indispensabile all'orgoglio e al desiderio stesso. L'apparente freddezza del protagonista non colpisce eccessivamente il conoscente, che intuisce fin troppo bene il proprio potere di mediatore, per farsi ingannare così facilmente. "Anche lei, mio caro", risponde al protagonista, che dice di voler andare a dormire, "doveva farsi baciare: è stata un'omissione alla quale però può rimediare. Ma dormire? In questa notte? Che le viene in mente? Pensi quante idee felici si soffocano con la coperta quando si dorme soli nel proprio letto e quanti sogni tristi si scaldano con essa". I sogni tristi, figli dell'invidia, sono quelli che il protagonista verosimilmente avrebbe al pensiero tormentoso del suo rivale fortunato. "Io non soffoco niente e non scaldo niente", risponde il protagonista, nel tentativo estremo di negare la verità della mediazione. Di fronte a una tale manifesta simulazione di disinteresse, pateticamente menzognera, ma frustrante per chi ha cercato finora di smontarla, il conoscente perde la pazienza. "Ebbene, mi lasci. Lei è un buffone", dice, e fa per allontanarsi, ma il protagonista lo segue...

A questa altezza Kafka inserisce un monologo interiore del protagonista che costituisce una dichiarazione di abbagliante lucidità sulla natura mimetica del suo desiderio, e che convalida la bontà dell'interpretazione fin qui adottata. Lo trascriviamo per intero.

«Mi pareva di capire che il conoscente supponeva in me qualcosa che non avevo, ma richiamava la sua attenzione per il fatto che lo supponeva. Meno male, dunque, che non ero andato a casa. Chissà, quell'uomo che accanto a me, con la bocca fumante nel gelo, pensava ad affari di cameriere, poteva forse conferirmi davanti alla gente un valore senza che io me lo dovessi acquistare. Purché le ragazze non me lo sciupino! Lo bacino e lo stringano a volontà, è il loro dovere e il suo diritto, ma non me lo devono rapire. Quando lo baciano, baciano un pochino anche me, se vogliamo; con l'angolo della bocca, per così dire; ma se lo rapiscono, me lo rubano. Ed egli deve invece rimanere sempre accanto a me, sempre: chi lo proteggerà, se non io? È tanto stupido! In febbraio gli si dice: vieni sul Monte san Lorenzo, e lui viene. E se adesso cade, se prende un raffreddore, se uno, geloso, esce dalla Via della Posta e lo aggredisce? Che sarà di me in questo caso? Mi butteranno fuori dal mondo? Vorrei vedere anche questa! No, egli non si deve liberare di me, mai più.»

Le prime righe accennano evidentemente al prestigio immaginario di cui è investito il mediatore nella triangolarità del desiderio: una qualità particolare che nel caso specifico il conoscente suppone nel protagonista. Potrebbe darsi che qui Kafka parli di un generico interesse per le questioni di donne che il conoscente suppone nel protagonista, e che questi si affanna a negare per orgoglio; vero, ma c'è dell'altro. Il fatto che il conoscente, che è mediatore del desiderio per il protagonista, supponga in questi una qualità particolare è riflessione sufficiente a far profferire al nostro protagonista un'esclamazione di sollievo: "Meno male, dunque, che non ero andato a casa". Qual è il guadagno che il protagonista suppone di poter ottenere in questa situazione? Lo stesso, evidentemente, che il conoscente si aspetta da lui: la semplice presenza del mediatore basta a conferirgli davanti alla gente un valore senza che se lo debba acquistare.

Doppia mediazione: il fatto di accompagnarmi al mio mediatore, che dallo spettacolo della mia invidia guadagna alimento e conferme, può fare di me un mediatore per le altre persone, può conferirmi un prestigio sufficiente a fare di me un altro mediatore desiderabile. Del resto, se il conoscente mi ha eletto a sua volta come mediatore per il proprio desiderio – e ciò è evidente dalle "sue parole", dal fatto che insistentemente richieda conferme della bontà del suo desiderio per la cameriera, che cerchi il mio avallo di uomo – forse allora non sono così indegno come credevo, e posso ambire anche io a farmi mediatore per il desiderio d'altri! Magari proprio per quelle donne che al mio mediatore sono più vicine, e che potrebbero cominciare a desiderare me per la qualità particolare del mio rapporto con il conoscente. Finalmente un successo con le donne, sebbene mediato! "Quando lo baciano, baciano un pochino anche me, se vogliamo; con l'angolo della bocca, per così dire". Desiderio angolato, desiderio soddisfatto. Almeno un po'.





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