top of page

Descrizione di una battaglia - Round 2 | Lusinga della doppia mediazione e vassallaggio volontario

Aggiornamento: 6 mar 2020



Nell'ultimo articolo abbiamo analizzato la prima parte del racconto, fino al monologo sulla doppia mediazione, con il quale il protagonista ammette la possibilità di costituirsi come mediatore per il conoscente. Si verifica a questo punto la situazione più pericolosa tra quelle riconducibili all'azione del desiderio mimetico: l'equiparazione dei rivali, la perdita di differenza tra mediatore e soggetto desiderante. La gerarchia si sovverte: non c'è più un rapporto stabile di maestro-allievo, ma i ruoli si alternano sulla pelle degli attori a velocità frenetica. La sostanziale identità dei rivali, che si riconoscono a vicenda la qualità di mediatore, innesca la rivalità a un livello superiore, perché il kydos (la virtù magica della supremazia) può essere ora rivendicato da entrambi.

L'illusione di poter essere coinvolto nella rete di desiderio del conoscente si concretizza in un film mentale che il protagonista dirige e gusta durante la sua silenziosa passeggiata. Egli si figura che l'indomani il conoscente andrà a trovare la sua Annetta e le parlerà di cose comuni, "ma a un tratto non saprà più tacere", e parlerà di lui, del protagonista, rendendolo a tutti gli effetti un anello della rete di desiderio di cui egli è il tessitore. Non deve necessariamente parlarne in termini assolutamente lusinghieri, perché la mediazione si compia; e infatti il protagonista immagina che di lui si dica che "sembra una pertica dondolante", vestito di "tanti cencini d'un giallo smorto". Eppure, nonostante questa poco invidiabile complessione, il protagonista è un amico sincero e nobile – così vuol far intendere un conoscente-fantoccio ventriloquato dal protagonista. Il conoscente, nella fantasia del protagonista, produce di quest'ultimo una lode discreta, che mette in risalto la sua fedeltà e il suo buon cuore di amico e confidente, verosimilmente le doti sulle quali il protagonista punta o vorrebbe puntare per accendere nei prossimi del conoscente un desiderio per sé. L'esaltazione di sé nelle parole dell'altro immaginario raggiunge il parossismo verso la fine della sequenza: "In certi momenti mi pareva davvero che con il respiro del suo petto piallato si sollevasse il firmamento", fa dire il protagonista al conoscente, nel deliquio mimetico così orchestrato, in un principio di derealizzazione che avrà sviluppi ben più spettacolosi a seguire.


Oramai il matrimonio di sangue tra protagonista e conoscente è compiuto: la parificazione dei rivali nella doppia mediazione ha legato l'uno all'altro in una disfida per il primato immaginario (kydos). L'intero campo dell'esistenza si identifica con la rete del desiderio descritta dal rilancio rivalitario, si riduce alla battaglia mimetica al di fuori della quale non esiste più nulla, nemmeno l'antico oggetto della contesa – di donne non si parlerà quasi più, da questo momento in poi – al punto che il protagonista, se gli venisse sottratto il suo rivale e mediatore, temerebbe di essere "buttato fuori dal mondo".

La parificazione così ottenuta permette al protagonista, che ha sempre occupato una posizione di inferiorità, di lasciarsi andare a una maggiore spontaneità, essendo stato elevato all'altezza del conoscente – è un guadagno concreto! Si concede confidenze e deliqui poetici sulle proprie trascorse sere d'estate. Un'atmosfera di malinconica fraternità cala sui due che parlano in riva al fiume. Il conoscente, acquietato di riflesso, abbassa a sua volta la guardia e fornisce un'ulteriore conferma del prestigio del protagonista, rivolgendosi a lui con un'analoga divagazione lirico-confidenziale. "Disse queste parole mentre già camminava e mi guardava sorridendo con tanto d'occhi". Si è creata una fraternità imprevista, una pace temporanea, dovuta interamente alla gratitudine del protagonista per il riconoscimento tributatogli dal conoscente, che l'ha elevato al proprio livello nella doppia mediazione. A queste condizioni, la superiorità del conoscente può essere ugualmente confermata e anzi esaltata dallo stesso protagonista: la verità non risentita della mediazione – la percezione di trovarsi al cospetto di un maestro – emerge in tutta la sua spontaneità. "Dovevo contenermi per non cingergli le spalle con un braccio e non baciarlo sugli occhi in premio del fatto che non aveva alcun bisogno di me", in premio cioè della sua superiorità di mediatore assoluto – superiorità tutta immaginaria, si è visto; ma la temporanea esaltazione del mediatore consente al protagonista di gettare luce riflessa su di sé in quanto compagno di una così straordinaria persona. Un trascinamento così esasperato da ricordare certi eccessi dei personaggi del sottosuolo dostoevskiano, analogamente combattuti tra il desiderio di umiliare il mediatore e la sua esaltazione parossistica.

L'esaltazione del mediatore nuovamente affratellato raggiunge livelli parossistici nel momento in cui la primazia del conoscente diviene a tal punto desiderabile che il protagonista giunge a modificare la sua statura, incurvandosi, "ma a poco a poco, affinché lui non avvertisse la mia intenzione", per non farlo sentire inferiore a lui in nulla, nemmeno nell'altezza. "Pensai che la mia statura poteva essergli sgradita, poiché accanto a me gli pareva di essere troppo piccolo. Questa circostanza mi assillava (benché fosse notte tarda e non incontrassimo quasi nessuno) tanto che curvai la schiena finché le mie mani toccarono le ginocchia. Ma affinché lui non avvertisse la mia intenzione, modificai il mio portamento a poco a poco, cercai di distogliere da me la sua attenzione". Si noti anche la lucidità con cui il protagonista riconosce l'importanza della presenza di spettatori terzi perché lo scandalo dell'altezza si verifichi.

Cogliamo l'occasione per introdurre un nuovo concetto girardiano, quello di scandalo, che per la verità risale, nella sua interezza semantica, ai Vangeli. Si ha scandalo quando un oggetto del desiderio suggerito dal mediatore non si trova a portata del soggetto desiderante, ma o perché in possesso del mediatore stesso, o perché conteso o involato da altri, l'oggetto è comunque proibito al godimento del soggetto; esiste propriamente un ostacolo tra il soggetto desiderante e l'oggetto mediato del suo desiderio – in greco, skandalon significa alla lettera "ostacolo, impaccio". Nella scena di cui abbiamo detto poco sopra, l'altezza del conoscente (mediatore), inferiore a quella del protagonista (soggetto desiderante), rischia di compromettere la gerarchia faticosamente ristabilita, che vede il conoscente in posizione di mediatore assoluto e il protagonista in posizione di soggetto influenzato dal desiderio del mediatore, secondo un ordine ora accettato e condiviso da entrambi che esorcizza il ritorno dell'angosciosa doppia mediazione.

La volontaria umiliazione del protagonista è presto notata dal conoscente, che non sembra gradire. "Andiamo, si tiri su! Che sciocchezze". "No", risponde l'altro: "Resto così". E il conoscente: "Che tipo! Fa proprio venire la stizza".

L'arbitraria e volontaria sottomissione del protagonista fa venire la stizza perché denuncia troppo apertamente la logica segreta della battaglia che si sta consumando, e perché una resa incondizionata del nemico non vale quanto una vittoria conquistata con la lotta. Scocciato, forse annoiato dal silenzio dei cannoni, il conoscente dichiara: "È mezzanotte e tre quarti", con il chiaro sottinteso che la battaglia può anche terminare qui, se il rivale non ha più intenzione di combattere. Per il protagonista la fine della battaglia, che ormai si è trasformata in un vassallaggio volontario, si traduce nella già paventata sensazione di essere "buttato fuori dal mondo". "Subito mi rizzai come tirato per i capelli. Compresi che egli mi mandava via". Segue uno dei momenti più assurdi di tutto il racconto, riassunto nella frase lapidaria del protagonista, che cambia la sostanza dell'aria intorno ai due personaggi: "Ora doveva seguire l'omicidio".

L'omicidio di chi per mano di chi? Non si era mai parlato di omicidio, prima. Così dal nulla? Si potrebbe forse pensare che sia il protagonista a desiderare di uccidere il conoscente; invece l'omicidio paventato è quello del protagonista da parte del conoscente stesso, che pure non ci immaginiamo, soprattutto a questa altezza della narrazione, intento a escogitare aggressioni di sorta. É possibile che l'omicidio sia una metafora iperbolica del congedo di quella sera, l'allontanamento dalla prossimità del conoscente e quindi la definitiva espulsione del protagonista dalla rete di desiderio – il "mondo" – così costituita.


A una prospettiva tanto spaventosa – l'omicidio della mediazione, il rifiuto del mediatore, la sconfessione ultima del valore individuale del protagonista – è comprensibile perché questi scelga la via della fuga. Fuggire per non essere ucciso, ovvero: rifiutare prima di essere rifiutati. Una mossa che profuma di adolescenza. Forse il lettore, affascinato dalla complessità strutturale e dalla qualità narrativa del racconto, ha trascurato di notare che è un Kafka appena ventunenne a scrivere.

La fuga del protagonista si risolve con un capitombolo davanti a una fiaschetteria: il fuggitivo è presto raggiunto dal conoscente, che lo assiste mentre è ancora steso lungo il lastrico ghiacciato. I due riprendono la via – il conoscente non sembra più intenzionato ad andarsene, ricorda all'altro l'intenzione che avevano di salire al Monte san Lorenzo.

Il protagonista sembra disorientato. "Per essere sicuro dell'equilibrio dovetti guardare fisso il monumento di Carlo IV". Ma non basta: "nemmeno ciò mi sarebbe servito, se non mi fossi ricordato che ero amato da una ragazza con un nastro di velluto nero intorno al collo, non proprio con ardore, ma con fedeltà". L'improvviso ritorno di consapevolezza di trovarsi in una condizione di desideratum, sebbene non troppo invidiabile, si suppone, dato che risovvenuta così tardi, e dal momento che il "nastro di velluto nero intorno al collo" potrebbe alludere alla professione non nobile della ragazza in questione, fornisce al protagonista un'occasione di stabilità dopo lo strapazzo di rifiuti e sottomissioni volontarie cui è stato sottoposto.

A questa altezza si produce il primo segnale che la narrazione sta superando i confini del realismo narrativo e sta per addentrarsi in una regione onirica e delirante. "Anche la luna era gentile da illuminare anche me, e per modestia volevo mettermi sotto la volta della Torre del ponte, allorché compresi che era naturale che la luna illuminasse ogni cosa". Cade per la prima volta, ma solo temporaneamente, il principio di realtà, che vuole i fenomeni naturali separati e distinti da quelli umani e psicologici, come è approvato e sottoscritto da tutte le persone cosiddette sane di mente. La luna è "gentile", per il protagonista: si comporta umanamente nei suoi confronti, gli fa grazia del dono della sua luce; ma subito risovviene la verità delle cose: "Compresi che era naturale che la luna illuminasse ogni cosa". Il protagonista sta forse impazzendo? Sì. Ma sulla natura di questa follia dovremo spendere alcune parole in un altro articolo.



Jaroslav Ròna, Franz Kafka (Praga)



572 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti
bottom of page