«Scrivi il rapporto. E non dev’essere Shakespeare»
Il detective Ellie Burr non ha nemmeno gran che voglia di scriverlo, figuriamoci se le potrebbe saltare in mente di mettersi a fare Shakespeare…
Qualche scena dopo porgerà il rapporto al rinomato detective Will Dormer per farglielo firmare e gli dirà: «Non vedo l’ora di tornare a lavorare con lei [cioè al caso dell’assassinio della diciassettenne Kay Connell]. Abbiamo da fare cose più importanti che riempire moduli.» Lui si ferma. La guarda e le dice: «È morto un uomo, Ellie. È una cosa importante.» Non firma, non mette fine al caso. «Ricontrolla bene tutti i fatti prima di archiviarlo. C’è il tuo nome su questo rapporto.» E la storia in esso contenuta in effetti si tramuterà in una degna di un’opera shakespeariana: si scoprirà che proprio Will è il colpevole della morte del suo collega Hap. Un Macbeth al contrario, in cui è il re con un passato non impeccabile che, sentendosi tradito dal suo vassallo, lo uccide e poi è lui (e non sua moglie) a perdere il sonno e a vedere ineliminabili macchie di sangue.
Nolan non è un artista “originale”, non lo è quasi mai. Perfetto conoscitore della natura mimetica della sua arte, non gli interessa nulla esserlo. Il fatto che questo film sia il remake di un altro (omonimo, norvegese, del 1997) non lo rende un’eccezione rispetto ai suoi altri (Memento è tratto da un racconto scritto dal fratello Jonathan, The Prestige è l’adattamento di un romanzo, Batman non se lo è certo inventato lui, ecc.) e non lo rende “meno film di Nolan”. Più sensato è chiedersi perché proprio questa storia ha voluto farla propria. D’altra parte non si scomoda gente come Al Pacino e Robin Williams per poca cosa.
Nel commento a Following abbiamo sviluppato il problema della crisi contemporanea del soggetto a partire dal suo disagio verso la mimesi, quello di Memento si è concluso con la sfida a riuscire a rinunciare al meccanismo del capro espiatorio proprio quando sarebbe più vantaggioso. Guarda caso questi sono esattamente i due grandi temi di Insomnia, film che si inserisce perfettamente nel percorso che Nolan porta avanti.
Partiamo dal rapporto discepolo-modello. Fin dalle prime scene del film la giovane Ellie esprime la sua ammirazione per l’anziano e affermato Will e gli dichiara senza mezzi termini che è il suo modello.
«Ancora non riesco a credere che lavorerò con lei, detective Dormer»
Gli elenca tutti i casi i suoi casi che ha studiato, quello che l’ha appassionata, quello su cui ha scritto la tesi. Lui nelle scene successive la prende un po’ in giro.
«Beh? Non vuole prendere appunti?»
È una strategia difensiva quasi doverosa da parte di un americano “moderno” non educato all’aemulatio, ma all’ideale del self-made man. Ma poi qualcosa pian piano cambia. Lui si scopre sempre più vulnerabile. Il collega Hap, messo alle strette da un’indagine degli affari interni, vuole patteggiare. Così poi si scaverà anche sul passato di Will. Le persone da lui arrestate torneranno libere. Allora l’omicidio di Hap. Il soggetto è sempre più fragile.
Inevitabilmente il rapporto con la sua discepola prende una piega nuova. La scena prima citata è un momento fondamentale. La superficiale ammirazione di Ellie nei confronti del modello non le sta insegnando a essere il buon detective che lei vorrebbe essere. Non la sta costituendo come soggetto. Ma ecco che Will, interpellato lui per primo, finalmente accetta di essere ciò di cui lei ha bisogno.
«C’è il tuo nome su questo rapporto»
Per il suo bene, perché lei si costituisca come soggetto, rinuncia al proprio interesse e si espone al rischio che lei scopra la sua colpevolezza, benché fino all’ultimo cercherà di nasconderla. Ma intanto compie il primo passo. Accoglie seriamente la responsabilità di essere un modello e responsabilizza la sua discepola.
Ellie capirà la verità e Will in fondo se l’aspettava. Poteva tranquillamente essere un altro manipolatore, come tanti nei film di Nolan. Il contrasto è palese, essendo proposto attraverso la diversità dei personaggi nei film dello stesso regista. Invece qui per la prima volta il modello lascia che la sua immagine sublimata crolli agli occhi della discepola, perché lei si compia come soggetto.
Qualcuno penserà forse che Will Dormer paghi con il sacrificio della propria di soggettività. Se la vera grandezza sta nell’essere un modello realmente positivo, allora è proprio in quel momento che come soggetto rifulge. La sua morte non è un annichilimento, ma il riposo che pone fine alla sua insonnia.
Passiamo al secondo tema. L’ammonimento che il meccanismo del capro espiatorio è realmente efficace Nolan non lo lascia cadere nell’oblio. Da qui sorge la più ardua sfida a rinunciarci anche nel momento della massima tentazione e non solo quando è più facile.
Si parla tanto di rivalità nei film di Nolan, bisognerebbe riflettere di più dei doppi mimetici: loro sono onnipresenti (per esempio in Memento non c’è un vero rivale di Leonard, ma c’è un doppio, Sammy Jankis). Qui abbiamo il caso dell’assassino Walter Finch, che si mette in contatto con il detective che sta indagando su di lui, perché è anche lui un omicida. Se quando parla dei criminali che rischiano di tornare in libertà con lo sfumare della sua reputazione, Will Dormer è il precursore di Harvey Dent, nel rifiutarsi di riconoscere il suo doppio è precursore di Batman (i suoi insulti sono simili a quelli dell’uomo-pipistrello durante l’incontro con il Joker nella sala interrogatori). Ma fino a un certo punto questo detective risulta indubbiamente essere del tutto identico al suo rivale. Si sottolinea che Nolan è il primo ad aver dato a Robin Williams la parte del cattivo, forse è più interessante guardare il fatto da un’altra prospettiva: è il primo ad aver dato al cattivo il volto di Robin Williams.
La vera differenza tra i due doppi viene posta solo nel momento in cui uno rinuncia alla soluzione del capro espiatorio. Questo è il secondo momento fondamentale. Quel meccanismo sta funzionando. Hap è morto, un innocente è stato arrestato, ma tutto per i due è risolto. Tranne per il fatto che Ellie ha scoperto la verità. Allora deve morire anche lei. Ci penserà Walter Finch a salvare il suo doppio. Invece quello rovina tutto.
Ancora una volta per il bene della sua discepola, Will vanifica l’effetto risolutivo del capro espiatorio e lascia che si scateni la violenza, che inevitabilmente trascina verso la morte entrambi i rivali. Ma come già si argomentava, non c’è l’annichilimento del protagonista. Nei suoi ultimi gesti e nelle sue ultime parole è racchiusa la risposta definitiva all’insonne bisogno di rifugiarsi sempre nella logica sacrificale. Allora è tempo di riposare. Il percorso è concluso.
Dal monito di Memento si passa a un invito, che il modello affida alla sua discepola e il film al suo pubblico: «Non smarrire la strada.»
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