Nell’articolo Non siamo stati noi è stata tematizzata la grande questione del rimaneggiamento dei miti. Ragionando in astratto sembra tutto molto complicato: già i racconti più antichi non possono essere fedeli descrizioni del linciaggio di cui parla Girard a causa di quel fattore fondamentale che è il misconoscimento, in più si aggiungono i successivi fraintendimenti di coloro che di conseguenza modificano ancora di più il resoconto.
Non sembra dunque esserci via di scampo e tutto si ridurrebbe a un tirare a indovinare, ma a uno sguardo attento ci si accorge che nel concreto i rimaneggiamenti sono relativamente facili da interpretare, perché in ultima istanza non sono così imprevedibili. Anzi sono più o meno gli stessi che faremmo anche oggi. Anzi sono proprio gli stessi che facciamo anche oggi. Vedere per credere: il nostro più grande vantaggio per conoscerci è che non siamo così furbi e originali come pensiamo. Proponiamo solo 2 esempi, ma emblematici.
La prima scrittrice italiana a cui dobbiamo la diffusione tra il pubblico più giovane dell’interesse per i miti è senza ombra di dubbio Laura Orvieto. Le sue Storie della storia del mondo sono ancora e meritatamente tra i libri più popolari sull’argomento.
Qui vogliamo recuperare due delle Storie di bambini molto antichi (1937), libro che parla ai bambini di miti sui bambini; quindi con il chiaro intento di catturare l’attenzione con la più forte immedesimazione. La prima storia che riproponiamo è quella della nascita di Apollo, figlio di Zeus e di Latona. Il motivo è molto semplice: se si scelgono racconti che nelle versioni originali sono molto cruenti (come il caso della nascita di Zeus), è banale l’osservazione che la scrittrice rimaneggia i passaggi più brutali e sanguinosi per rendere accessibile il racconto al pubblico più giovane (sebbene forse sia una valida domanda chiedersi se nei tempi più antichi venisse fatto ed eventualmente riflettere sul perché oggi si ritenga giusto farlo). Ma nella storia di Latona non si racconta di evirazioni né di cannibalismo. Sembra un racconto che non richieda interventi vistosi. Invece uno, molto interessante, ci viene proposto.
Nella versione originale (cfr. Inno ad Apollo) si racconta che Era, la moglie gelosa di Zeus, aveva proibito a tutte le terre di offrire ospitalità alla rivale partoriente e per questo lei doveva continuamente spostarsi: tutte le terre le rifiutavano accoglienza, tranne alla fine l’isola di Delo. Questa complicità di tutto il mondo, potremmo dire, che rifiuta ed espelle la vittima della gelosia nella versione della scrittrice italiana viene censurata: la continua fuga di Latona qui viene giustificata solo dall’inseguimento del mostruoso Pitone, che alla fine sarà ucciso proprio da Apollo. Niente sangue né scontro fisico, ma Laura Orvieto ingenua non è ed evidentemente intravvede qualcosa di molto inquietante nell’originale tutti contro una.
In un’altra delle sue Storie invece adotta un altro stratagemma, più diffuso, per nascondere le tracce di una logica persecutoria. Il povero Atteone, vittima della furia di Artemide per averla vista nuda, è demonizzato quanto più possibile. Arrogante, sfacciato, presuntuoso, egli volontariamente viola l’intimità della dea e se ne fa beffe: insomma non poteva che meritarsi la punizione di essere sbranato dai suoi cani.
Il secondo esempio che proponiamo prende in considerazione il più famoso eroe greco, ovvero Eracle, e i due film che nel 2014 sono stati proposti su di lui, Hercules - La leggenda ha inizio e Hercules: il guerriero. Non vogliamo analizzare i film in quanto tali né vogliamo dare un giudizio complessivo su di essi, ci interessa solo l’approccio con cui si sono accostati alla figura che è il loro protagonista.
Chi conosce l’antico mito sa che c’è un evento fondamentale nella vita di Eracle, oltre ovviamente alle sue fatiche (il cui numero varia in ogni riproposizione delle sue imprese), intorno al quale ruota tutto il dramma dell’eroe. La sua straordinaria forza è naturalmente un vantaggio, ma è anche un’arma a doppio taglio, come si dimostra in diversi episodi, il tragico culmine dei quali è l’uccisione della moglie e dei figli.
Questo tema è di per sé molto attuale: spesso anche oggi ci vengono proposti eroi e supereroi (varrà la pena in un futuro riflettere sulle differenze tra i due termini e i due tipi di personaggi) il cui potere si ritorce loro contro. «È il mio talento, è la mia maledizione»: con questa efficace frase ad effetto si conclude il film Spider-man del 2002; tanto per fare un esempio emblematico. Ma nel film di Renny Harlin questo aspetto centrale della figura di Eracle è completamente obliato. Possiamo collocare il nuovo mito nella fase in cui, inquietati da ogni ambiguità all’interno dell’universo mitico e sacrale, si vuole l’“eroe” solo eroe e il “cattivo” solo cattivo. Non è il caso di perder tempo a stigmatizzare questo film: i tentativi di nascondere i lati più oscuri del figlio di Alcmena e Zeus sono da sempre molteplici; il suo “merito” è di risaltare l’impoverimento che questa operazione sempre comporta.
Per questo motivo il film con interprete Dwayne Johnson (più noto con il soprannome “The Rock”) è oggettivamente molto più interessante. Qui infatti l’uccisione di moglie e figli è presente ed Eracle è effettivamente una figura tormentata dai sensi di colpa. Ma in questo racconto della sua vita all’insegna di un punto di vista razionalistico, in cui ogni aspetto “mitico” è volutamente inventato dai personaggi, alla fine la censura interviene prepotentemente. È tanto palese da mostrare tutta l’ingenuità che la muove: per il nostro discorso ciò è degno del più forte interesse.
Non è stato Eracle a uccidere la sua famiglia, egli è innocente, sono stati i feroci lupi: ecco a cosa servono i mostri. Il pensiero che l’eroe abbia bisogno del mostro per essere eroe non sa quanto profondamente abbia ragione finché non esplora chi era “l’eroe” prima che l’altro diventasse “il mostro”.
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