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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Un* per tutt* | Femminismi e asterischi


Vi sarà capitato di imbattervi negli asterischi "no-gender". Nella lingua italiana tantissimi aggettivi, articoli, participi e nomi vanno declinati al maschile o al femminile. Nel caso ci si voglia riferire a un gruppo misto con uomini e donne si usa solitamente il genere maschile: “Gli studenti della 3°B”, “I suoi lettori”, “Vi siete divertiti?”. Se si vuole esplicitare l’inclusione di femmine tra i referenti e i destinatari di queste frasi ci sono principalmente due modi. È possibile, sia nel parlato sia nello scritto, aggiungere nomi e aggettivi al femminile: “I miei amici e le mie amiche”, "Le sue lettrici e suoi lettori". Oppure, nello scritto, si può ricorrere all’asterisco: “Vi siete divertit*?”. Entrambi gli usi pongono evidentemente dei problemi e delle limitazioni che non discuterò.


Io talvolta utilizzo gli asterischi ed altri escamotage per neutralizzare il genere grammaticale o per limitare l’uso totalizzante del genere maschile. In queste poche righe vorrei passare in rassegna alcune classiche reazioni comportamentali (vi includo le argomentazioni) da parte dei detrattori e delle detrattrici dell’asterisco. Queste reazioni ci aiuteranno a comprendere meglio la natura dell’asterisco. Concluderò infine con una breve riflessione sulla “scelta” di utilizzare l’asterisco.


I detrattori dell’asterisco reagiscono tendenzialmente in due maniere all’apparizione della stellina: con reazioni di scherno o con moti di stizza (quasi sempre i due comportamenti si sovrappongono e si alternano). Mi pare che la risata – grande mistero da indagare – si possa caratterizzare generalmente come una reazione a fronte di qualcosa che si ritiene non convenzionale, inaspettato, qualcosa che mal si accorda con l’ordine comune delle cose. La risata richiama l’attenzione su qualcosa che, per qualche ragione, non incontra propriamente una serie di aspettative. Possiamo dire di più: poiché a nessuno piace essere oggetto di scherno, l’effetto sociale della risata, almeno in casi come questo, è eminentemente conservativo: comportamenti inaspettati, ossia non allineati rispetto a un sistema di aspettative preesistenti, possono essere scoraggiati per mezzo della risata. Da questo punto di vista, solo in apparenza i moti di stizza risultano significativamente diversi dalla risata. Non poche persone percepiscono l’asterisco come un qualcosa di vagamente oltraggioso, disprezzabile, fastidioso. Anche questa reazione ha dunque un effetto di conservazione dal momento che generalmente non si trae alcun vantaggio dal recare fastidio ai propri interlocutori. Ripetute dimostrazioni di stizza dovrebbero quindi scoraggiare l’utilizzo dell’asterisco.



Per ora ho preso in considerazione due reazioni fondamentalmente comportamentali. Scherno e stizza possono riconoscersi piuttosto facilmente osservando ad esempio la bocca e gli occhi del proprio interlocutore. La risata comporta una dilatazione orizzontale delle labbra, mentre i moti di stizza possono esser colti attraverso segnali di irrigidimento, della mandibola o delle labbra stesse. Ci sono poi le reazioni che potremmo definire “intellettuali”, “argomentative”, “linguistiche”, le quali, a mio modo di vedere, non sono che un ridotto sottoinsieme delle reazioni comportamentali.


Il detrattore dell’asterisco dispone infatti di una gamma di argomentazioni e di ragionamenti atti a confutare la liceità, la necessità o l’opportunità dell’asterisco. A seconda del bagaglio culturale del detrattore questi argomenti saranno più o meno raffinati. Voglio però sostenere che, in questi casi, il livello di articolazione teorica dell’argomento è un aspetto del tutto ininfluente. Cito alcuni di questi argomenti contro l’uso dell’asterisco. Ovviamente non può mancare la macrocategoria dell’argomento della tradizione. “Si sono sempre usati i generi grammaticali in questo modo, pertanto vanno usati così”. In questo tipo di argomenti difettano sempre – per ragioni piuttosto evidenti – l’antecedente (“è sempre stato così”) e l’implicazione stessa (“se… allora”). Si sprecano poi le reazioni benaltriste: “Guarda un po' te se dobbiamo occuparci degli asterischi e di ‘ste cazzate quando ci sarebbero ben altre questioni…”. Ci sono le argomentazioni di natura estetica: “È veramente un abbruttimento della nostra bellissima lingua”. Alcuni filosofi, linguisti e ciambellani spremono infine le meningi per elaborare argomentazioni particolarmente nobili. Le categorie grammaticali, compresa quella del genere, assurgono così a veri e propri fatti ontologici (o metafisici, o addirittura etici) che albergano nel mondo delle idee, nell’area di Broca, o nei libri di Chomsky.


Non mi interessa stabilire se queste argomentazioni siano corrette, ben fondate, giuste. La prospettiva che addotto, come in altri miei articoli, è quella sociologica. Da sottoporre a indagine è l’effetto sociale che riscuotono tali proferimenti. Altro metodo di indagine – forse si tratta solo di scavare dall’altro lato della stessa montagna – consisterebbe nel ripercorrere la catena memetica che ci ha consegnato quelle argomentazioni contro-asterisco. Non ho qui lo spazio né le competenze per abbozzare nessuna delle due indagini. Arrischio però – la componente di rischio, in verità, la percepisco assai poco in quanto ritengo di poggiare sulle basi della teoria girardiana – questa ipotesi: la prassi linguistica e grammaticale del distinguere tra genere maschile e femminile risponde all’esigenza di riflettere e di consolidare un sistema di differenze sociali. In tutte le società umane osservate si sono affermate una serie di pratiche con il fine di differenziare maschi e femmine, uomini e donne. Tali processi di differenziazione, se sono avvenuti come ha ipotizzato René Girard, non sono stati né pacifici, né puramente intellettuali/simbolici, né privi di conseguenze reali. Alla differenziazione si è accompagnata inoltre una strutturazione gerarchica tra i generi. I maschi (e conseguentemente il genere grammaticale maschile) si sono conquistati una posizione privilegiata. Perché quando ci si deve riferire a un gruppo misto di persone si utilizza il genere maschile e non quello femminile? Per tradizione? Sì ok, ma che vuol dire? È stata una scelta casuale? Ipotesi davvero poco credibile. Il genere maschile si è affermato come norma, come “modello”, come standard, come universale. Il genere femminile (e la donna) si presenta invece come derivazione, forse anche deviazione, insomma come elemento particolare. Quando diciamo 'l’Uomo' infatti intendiamo l’essere umano, teoricamente a prescindere dal sesso. Quando diciamo 'la donna' intendiamo invece le donne, le femmine. Non mi soffermo ulteriormente su questi esempi.



Questi sistemi di differenze (prima sociali, poi linguistiche) hanno sviluppato col tempo una serie di corazze difensive, sempre più elaborate, per potersi diffondere meglio nel nostro mondo culturale. Se prima era sufficiente una risata, o un gesto della mano, o delle botte, per mettere in riga chi metteva in discussione la normatività del genere grammaticale, nel nostro specifico ambiente culturale si sono rese utili anche raffinate argomentazioni.


Concludo. Perché allora, car* amic*, c’è chi usa l’asterisco? Non cercherò la soluzione a un livello prescrittivo; non dirò: “si dovrebbe usare l’asterisco perché così e così”. Coerentemente con la prospettiva adottata nelle righe precedenti non vorrei farne una questione di politically correct. Mi interessa capire perché si diffonde l’uso dell’asterisco, piuttosto che suggerire perché bisognerebbe conformarsi a questa prassi.


In tal senso indico due possibili soluzioni. Da un lato si dovrebbe prestare attenzione al fenomeno del passaggio dalle differenziazioni all’indifferenziazione. L’asterisco è uno strumento per criticare e delegittimare, perlomeno a livello grafico, la differenziazione tra maschile e femminile e la correlata gerarchizzazione. L’asterisco cancella la differenza, in quanto banalmente annulla la scelta tra la desinenza in a e quella in o (es. cittadin*). In questo senso l’asterisco si presenta come veicolo di indifferenziazione. Tuttavia, l’uso dell’asterisco rappresenta un modo di riferirsi (o di non riferirsi) al genere che si differenzia rispetto alla prassi linguistica consolidata. Chi usa l’asterisco di fatto si differenzia rispetto a chi non lo usa. Si determina (anche) così un fenomeno prima facie paradossale e cruciale che non era sfuggito a Girard: da “moti di differenziazione” possono emergere a un livello più complesso fenomeni di indifferenziazione. Più nello specifico, prender distanze rispetto a un dato sistema di differenze significa pur sempre differenziarsi rispetto ad esso. L’uso dell’asterisco può essere pertanto spiegato secondo un principio di differenziazione.


Seconda osservazione. Credo ci sia un’altra cosa rilevante da dire su chi usa l’asterisco. Una volta che entra in una testa il tarlo dell’asterisco – il che può accadere semplicemente perché capita di vedere usato l’asterisco in alcuni post sui social – può diventare estremamente difficile liberarsene. Una grande moltitudine di pratiche sociali sottintendono le differenze di genere e si reggono su di esse. Il linguaggio è un esempio lampante e importante ma non è l’unico. Una volta che l’asterisco infetta qualcosa nel nostro modo di concettualizzare il mondo, non è così raro che l'infezione si espanda proprio in virtù del fondamentale ruolo “simbolico” che svolge la differenza tra genere maschile e genere femminile. Chi usa l’asterisco, a volte – almeno a me è capitato –, può sperimentare una sorta di vertigine. La definirei una vertigine dionisiaca. Mettere in discussione un importante sistema di differenziazione come quello uomo-donna ha indubbiamente un effetto di disorientamento. Man mano che ci si accorge della relatività e dell’arbitrarietà di questo schema di differenziazione, come di tanti altri, si dischiudono delle praterie – o dovremmo dire degli abissi? – per il germe dell’asterisco. In questo senso l’asterisco ha un ruolo distruttivo, nichilistico. Ecco perché le reazioni che mediamente incontra hanno segno opposto e si qualificano come conservative.


Chi vincerà questa battaglia? La mia previsione è che le pratiche linguistiche di neutralizzazione del genere si diffonderanno sempre più con il passare degli anni. Bacioni ai rosikoni, anzi, a* rosikon*.

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