Possiamo interpretare It in due modi: con IT o senza IT [1].
La prima interpretazione è quella non interessante: IT sarebbe un mostro la cui forma varia a seconda delle paure delle sue vittime; compare ogni 27 anni a Derry, nel Maine, compiendo una serie di efferatezze, fino a quando sette persone unite da una forte amicizia lo sconfiggono. Questo è l’It romantico, quello che, forse inevitabilmente, ha ispirato la miniserie televisiva del '90 e il riadattamento cinematografico oggi nelle sale.
Ma come si può leggere It senza IT? Nonostante l’opera meriti una lunga, complessa e dettagliata analisi, cercherò di abbozzare una rapida risposta, citando in particolare due passaggi del testo.
Il primo è una testimonianza che il vecchio signor Keene rilascia a Mike Hanlon [2], il ragazzino di colore del Club dei Perdenti. Il signor Keene racconta che nel 1929 – circa 27 anni prima dell’omicidio del piccolo George – una banda di rapinatori di banche, braccata nel Midwest, si spostò nel Maine approdando a Derry. Era loro intenzione comprare qualche munizione in città per dedicarsi alla caccia. Si rivolsero quindi al negozio d’armi e fecero la loro ordinazione. Il proprietario del negozio, che aveva riconosciuto i fuorilegge, diede appuntamento per il ritiro della merce a due giorni più tardi. In poche ore a Derry tutti sapevano che la famosa banda di rapinatori era in città e che sarebbe passata dal negozio di armi. Il giorno stabilito una sessantina di uomini di Derry – tutta gente ordinaria, gente di paese – erano appostati sulla strada, armati. Quando i banditi arrivarono al negozio, una raffica di proiettili si abbatté su di loro, sterminandoli. Alcuni mostrarono segni di resa, ma non furono risparmiati dal linciaggio.
Keene aggiunge infine un particolare: ricorda di aver intravisto, mentre la sparatoria infuriava, un clown tra i cittadini. Anche il clown prendeva parte alla sparatoria, armato – così ricorda il vecchio – dello stesso fucile utilizzato da Keene. Il signor Keene riporta inoltre che un certo Biff Marlow, un suo conoscente che partecipò al massacro, gli raccontò di aver visto anch’egli un clown. A detta di questo suo conoscente il clown imbracciava un fucile Remington, la stessa arma che utilizzava Biff.
IT è presentato qui nelle vesti di "doppione" dei cittadini di Derry, una sorta di copia dai tratti mostruosi e soprannaturali che appare nel parossismo della violenza. Ciò che René Girard definirebbe un doppio mostruoso.
La sparatoria del ’29 – l’evento che dà inizio al consueto ciclo di sangue voluto da IT – avviene quindi, paradossalmente, senza che IT giochi veramente un ruolo. Sono chiaramente stati i cittadini di Derry a massacrare i banditi a colpi di arma da fuoco. Nel testo emergono qua e là altri raccapriccianti fatti di sangue in cui IT non compare nemmeno: Patrick Hockstetter, a 5 anni, soffoca nel sonno il fratellino; Richard Macklin uccide con un martello il figliastro; Alin Marsh picchia abitudinariamente la figlia dodicenne Beverly e pare addirittura in procinto di abusarne.
Perché King dovrebbe segnalare, di tanto in tanto, violenze brutali che non vedono coinvolto in alcun modo il pagliaccio assassino? Perché raccontare fatti indipendenti dalla trama centrale? Io ritengo che King abbia disseminato nel testo degli indizi con il fine di suggerire al lettore più accorto un’interpretazione che si discosta da quella tradizionale. King ci vuole convincere del fatto che "il male", per esistere, non ha bisogno di supporti soprannaturali.
Il secondo passaggio di cui vorrei parlare è, a mio parere, la scena madre del testo e vede protagonista il Club dei Perdenti. Di cosa parla It di Stephen King? Del Club dei Perdenti contro Pennywise? Del Club contro Derry?
It racconta soprattutto di sette persone; sette persone che vivono galleggiando, soccombendo, desiderando e riemergendo. Sette persone che riescono a trovare il coraggio per intraprendere quel percorso – lungo 27 anni, "ma forse anche di più" [3] – che le porterà nel loro sottosuolo, dove rischieranno di smarrirsi, di dividersi, di mettersi l’uno contro l’altro.
Il passaggio cruciale del libro parrebbe una bizzarra scena di sesso collettivo tra dodicenni. Smarriti nella rete fognaria della città, i membri del Club iniziano a temere che non sarebbero mai più riemersi. In questo frangente critico Beverly propone ai sei compagni di avere un rapporto sessuale con lei. Nei film non v’è traccia di questa scena. Ovviamente, mi direte, non si possono rappresentare sei adolescenti che fanno sesso a turno con una loro amica. Io non credo che questa sia l’unica ragione dell’omissione. I registi avrebbero potuto trovare soluzioni alternative (a onor del vero va detto che Andy Muschietti qualche timida ma interessante pezza in IT 2 l'ha messa). Il fatto è che questa scena illumina, delicatamente e prepotentemente al contempo, quella lettura di It che può e deve fare a meno di IT.
Beverly vive la sua vita in un continuo scacco paralizzante, figlia di un padre violento e successivamente moglie di un marito violento. Vive rinchiusa in una prigione infernale in cui l’aguzzino e il custode delle chiavi sono la stessa persona. Il padre la tiene infatti prigioniera con il suo amore paterno (Eddie l’ipocondriaco, mutata mutandis, è nella stessa situazione). In questa cattività il desiderio d’affetto paterno deve essere l’unico nutrimento concesso. Tutti i desideri rivali – in primis i desideri che i coetanei di Beverly provano per lei – vengono resi mostruosi attraverso un sistema di colpevolizzazioni tanto crudele quanto efficace. Beverly si deve vergognare di attrarre il desiderio d’altri, deve averne paura. La demonizzazione della sessualità della ragazza fa ovviamente parte del gioco.
Eterna prigioniera, il suo unico soddisfacimento possibile si accompagna a quelle umiliazioni che segnalano la presenza della pietra d’inciampo che le sbarra perennemente la strada. Il sistema di catene escogitato dal suo aguzzino è davvero diabolico: ogni mossa che potrebbe renderla libera è prevista, ogni sua volontà in questa direzione inasprisce la stretta dei sensi di colpa, della vergogna e dell’inadeguatezza. Eppure, nell’oscurità delle fogne di Derry, Beverly trova il modo per uscirne. Conosco un sistema. Lo conosco perché me l’ha detto mio padre, dice [4].
La morsa del doppio legame di amore e odio che tiene in scacco Beverly si regge, dicevo, anche sulla demonizzazione di quei desideri che renderebbero la giovane adolescente indipendente dal padre. Beverly riuscirà – attraverso una dinamica che merita ulteriori approfondimenti – a spezzare il doppio legame, riappropriandosi del desiderio d’amore con cui il padre la teneva in ostaggio. Questa mossa non può non passare da una dolorosa e totale rinuncia: per liberarsi dall’aguzzino Bev deve rinunciare anche al custode delle chiavi e quindi all’amore paterno. Solo allora – riuscendo a compiere una sorta di esorcismo che richiama l’episodio evangelico di Gérasa – potrà forzare le sbarre della sua prigione, ritrovandosi nuovamente di fronte al suo desiderio, scevro però, questa volta, da scandalosi ricatti.
La scena corale non può ridursi tuttavia a un ascetico moto solipsistico, a una semplice presa di coscienza individuale. Beverly trova inaspettatamente le chiavi per uscire dalla sua prigione, ma non ne può uscire da sola [5]. Bev offre il suo desiderio ai suoi amici, intrappolati anch’essi in prigioni di paura, odio e sensi di colpa. Il desiderio di Beverly si esprime, si alimenta e si risolve nell’incontro con il desiderio dell’altro. Fammi vedere come si vola. Insegnami, Ben [6]. Dopo la rinuncia, il deserto, ecco la richiesta di insegnamento. In questa sua richiesta di apprendimento, esibendo senza filtri il suo desiderio – che in quanto desiderio di amore presuppone necessariamente la risposta di un altro –, Beverly si espone senza risparmiarsi. Nel punto più profondo e buio del sottosuolo ci si gioca il tutto per tutto. Oltre le sbarre della sua prigione Beverly trova sei persone che riescono a compiere la sua stessa mossa. Anche loro – tra lacrime, paura, voglia e piacere – escono dallo scacco. Non è un formale e poetico giuramento di amicizia – come invece è mostrato nei film – che lega e salva i membri del Club.
Il lato sessuale della scena, come King stesso ha affermato, non è l’aspetto centrale. Certo, tutti e sette gli adolescenti hanno desideri di natura sessuale. Morbosità, censura e freudismo non ci devono impedire tuttavia di individuare il reale protagonista della scena: il desiderio. È grazie al desiderio e all’incontro col desiderio dell’altro che il Club riemerge dalle fogne di Derry.
L’opera in questione richiederebbe un notevole sforzo esegetico per essere opportunamente definita. Mi riservo per il futuro un’approfondita analisi girardiana della narrativa di Stephen King. L’autore mostra una comprensione delle dinamiche interdividuali e dei meccanismi di espulsione che merita la nostra attenzione.
Per questo articolo ringrazio Matteo Bisoni. Ho attinto dai suoi articoli e da quelli di Mattia Carbone per la formulazione di alcuni concetti (seppur apportando alcune modifiche) che si sono rivelati estremamente preziosi per la mia analisi. È stato inoltre Matteo a suggerirmi la lettura di It, indicandomi l’importanza della seconda scena qui riportata.
[1] Con 'IT' intenderò il personaggio, Pennywise; 'It' indicherà invece il romanzo di King.
[2] Cfr. S. King, It, traduzione di T. Dobner, Sperling & Kupfer, 2017, pp. 673-687.
[3] Ivi, p. 3.
[4] Cfr. Ivi, p. 1135.
[5] Jake, in Terre desolate (terzo capitolo della saga La Torre Nera di King), si troverà nella stessa situazione.
[6] Cfr. Ivi, p. 1143.
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