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Immagine del redattoreGruppo Studi Girard

Le moderne fiabe di Andersen | Parte 3: L'ondata della violenza fino agli ultimi

Aggiornamento: 19 nov 2020




La rivalità è un tema classico della fiaba e chi ha una certa famigliarità con i racconti, raccolti dai fratelli Grimm e non solo, sa che, a differenza di quelli riproposti oggi per bambini, la violenza è tutt’altro che censurata in essi. Come eredita tutto ciò Andersen?

Abbiamo già visto che egli riconosce il legame essenziale tra desiderio mimetico e competizione e, al posto di dilungarci in molteplici esempi sugli esiti della rivalità, sfruttiamo il fatto che lo stesso Andersen ci presenta la fiaba che riassume l’essenziale di tutti, ovvero La goccia d’acqua.


«Il mago senza nome guardò attraverso la lente di ingrandimento. Sembrava proprio una intera città, in cui gli uomini giravano nudi, e questo era ripugnante, ma era ancora più ripugnante vedere come si spingevano e si urtavano a vicenda come si pizzicavano, si mordevano e si facevano male. Chi stava sotto di tutti doveva arrivare sopra e chi stava sopra doveva passare sotto! “Guarda, guarda! le sue gambe sono più lunghe delle mie! Paf! via! Ce n’è uno che ha un piccolo bernoccolo dietro all’orecchio, un piccolo bernoccolo innocente, ma gli fa male e quindi deve soffrire ancora di più!” e lo fecero a pezzi lo tirarono e lo divorarono a causa del suo piccolo bernoccolo» (H. C. Andersen, Fiabe, Mondadori, Milano 2012, p. 305)


Se fossimo al cospetto di un contemporaneo dell’antropologo francese sarebbe semplicemente assurdo negare che lo scrittore danese abbia letto i suoi studi e qui si dichiari apertamente girardiano, invece di fronte al fatto che lo ha preceduto di più di un secolo dovremmo piuttosto ammettere che Girard è, probabilmente a sua insaputa, “anderseniano”.



Queste poche righe non descrivono la violenza come generico caos, un generico tutti contro tutti paragonabile al famoso “stato di natura”. Scritte con una lucidità e una semplicità impressionanti, presentano dinamiche ben precise. Vale la pena analizzare con attenzione ogni singolo passaggio.

Innanzitutto qui non c’è la “natura”, si parla di una città. Infatti non c’è da aspettarsi che gli uomini girino nudi come invece fanno. Andersen sta facendo ironia delle società di altri continenti da uomo dell’Ottecento colonialista? Girard ha subito un fraintendimento analogo, mentre una lettura attenta evidenzia che entrambi non parlano affatto di dinamiche riscontrabili solo in certe culture cosiddette “primitive”. Lo scrittore danese non ci racconta di costumi a lui incomprensibili, ci racconta di una crisi: con un climax descrive una crescente ostilità degli uni contro gli altri (spingersi, urtarsi, pizzicarsi, mordersi). È dunque molto più lecito commentare la nudità non come un riferimento al mondo “primitivo”, è la violenza che mette a nudo l’uomo, le sue invidie e i suoi risentimenti, ed è l’uomo messo a nudo che istiga la violenza. Inizia il circolo vizioso che giustifica il climax. Lo stare “sopra” o “sotto” poi sembra molto più pertinente riferirlo alla società moderna: si ritorna a quella lotta per affermarsi come modello, immagine dell’autosufficienza, così tipica della nostra epoca.

Si arriva infine al famigerato meccanismo del capro espiatorio e non manca nemmeno la sottolineatura dei segni vittimari. C’è però un elemento particolarmente interessante: non riporta la pace. La violenza è già arrivata all’estremo (senza aspettare il XXI secolo), non conosce alcun argine, non risparmia nemmeno chi vuole starne lontano:


«C’era un tale fermo con una signorina, e entrambi desideravano solo un po’ di pace e di tranquillità, ma la signorina fu trascinata via, dilaniata e divorata»


Di nuovo viene spontaneo interrogarsi sull’attenzione di Andersen rivolta agli ultimi: lui che vede una simile tragedia cosa si aspetta da loro? Chi sono questi ultimi?



Una fiaba che può offrire spunti è I vestiti nuovi dell’imperatore. Tanto per (non) cambiare, la storia comincia con sovrano messo in cattiva luce: è ossessionato dai vestiti e non si cura d’altro. Ormai abbiamo capito che il tema delle apparenze è fondamentale nell’opera di Andersen. È infatti legato a quello del prestigio e guarda caso l’astuzia dei due impostori commissionati è quella di raccontare che il vestito da loro tessuto è il migliore ma è invisibile a coloro che non sono «all’altezza della loro carica e a quelli molto stupidi» (p. 90).

Inutile dire che la crisi ha così inizio: chi può ammettere di non vedere nulla? È la gara a chi fa più complimenti al vestito, come se da ciò dipendesse il proprio stesso prestigio, e in effetti è esattamente così. Naturalmente l’apice si raggiunge nel momento del corteo, dove l’imperatore dà sfoggio del nulla che indossa, oggetto delle lodi di tutta la gente.

È importante sottolineare cosa qui è oggetto dell’ironia dello scrittore, perché è facile fraintendere. È sempre la dinamica mimetica che non bisogna dimenticare: l’inganno non potrebbe mai funzionare, se tutti non fossero ossessionati dall’opinione degli altri. Sembra la solita fiaba che demonizza la carica più importante, invece denuncia che tutti sono al tempo stesso vittime e complici e il sovrano, epicentro del contagio mimetico, è forse più vittima degli altri.


«Nessuno dei vestiti dell’imperatore aveva mai avuto un tale successo» (p. 94)


Andersen non lascia dubbi interpretativi. È esattamente la stessa crisi di La goccia d’acqua, qui non è la violenza ma la menzogna che si propaga senza freno, ma abbiamo visto che la prima trova sempre in ultima istanza nella seconda la sua origine.

Infine le parole del bambino, uno degli ultimi come la margheritina. E qui si capisce: gli ultimi non sono le vittime della violenza (anche se lo possono facilmente diventare); come a dire: non è la violenza che definisce gli ultimi (quelli da commiserare); anzi è l’esatto contrario: sono gli ultimi rimasti, dopo che l'ondata della violenza ha travolto quasi tutti, e la definiscono, la denunciano. Vedono e rivelano innanzitutto la menzogna, su cui tutto si costruisce:


«Ma non ha niente addosso!»


E da quel momento si dischiude una doppia possibilità, o la dinamica si inverte o si esaspera. Perciò quella sulla verità e sull’inversione è una scommessa rischiosa: quali sono i fattori decisivi?



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