Degli antefatti del Quenta Silmarillion che precedono la rivalità tra Melkor e Fëanor, vale la pena soffermarsi almeno molto brevemente su alcuni punti:
il ritiro dei Valar nella Terra di Aman agli estremi confini occidentali per realizzare il Paese Beato, illuminato dallo splendore dei Due Alberi lì germogliati, manifesta la prima tentazione di chi desidera il bene e la bellezza di chiudersi in uno spazio più o meno ristretto per averli incontaminati e incorruttibili (1)
la più grave conseguenza di aver concesso a Melkor di spadroneggiare nella Terra di Mezzo è la cattura degli Elfi, che a lui consente di generare gli Orchi («in envy and mockery of the Elves, of whom they were afterwards the bitterest foes») e a lungo termine l’impressione che la conflittualità sia qualcosa, se non di originario, quanto meno di fondamentale, tanto più che gli stessi Valar devono innanzitutto ingaggiare una guerra per salvare gli Eldar (come loro chiamano gli Elfi), per offrire solo successivamente la possibilità di istaurare un rapporto di discepolato attraverso cui farli crescere come Ilúvatar aveva fatto con loro
non preventivata e dalle incalcolabili ripercussioni, si presenta anche un’altra conseguenza, data dal fatto che gli Elfi hanno la possibilità di scegliere se abitare nel Paese Beato oppure nella Terra di Mezzo, per cui segue una serie di scissioni, che generano varietà e differenze, in particolare fra i tre gruppi che raggiungono i Valar, i Vanyar, i Noldor e i Teleri, e gli altri che popolano il resto del mondo
un ultimo aspetto assolutamente da sottolineare è che al contrario di tutti i racconti che hanno bisogno di enfatizzare la potenza del nemico per giustificare la durata della lotta contro di lui (unico loro argomento) e l’estremo sforzo per annientarlo, per sostenere la necessità di un tale sforzo, nel suo Tolkien sviluppa la narrazione a partire da un nemico che è già sconfitto sin dal principio e che riceve (scandalo massimo) il perdono al posto che la condanna definitiva
Nonostante dunque il complicarsi delle dinamiche, che rivelano sempre maggiori sfaccettature, anche in Arda la contrapposizione risulta ancora come rifiuto di una relazione che la precede: la vicenda di Melkor e Fëanor inizia con il primo che viene liberato e a cui viene data la possibilità di pentirsi e con il secondo che nasce e cresce in un contesto in cui è ancora pienamente manifesta la funzione positivamente costituente del rapporto discepolo-maestro, che lega Eldar e Valar.
Eppure da una parte Melkor è sempre più corroso dall’invidia, che ora si rivolge anche agli Elfi e soprattutto i Noldor, dall’altra quest’ultimi – specialmente proprio Fëanor – iniziano ad assumere quel suo stesso atteggiamento di chiusura in sé, che porta pian piano a osteggiare ogni dipendenza. Se in Tolkien è la relazione ad essere il fattore determinante della costituzione del soggetto come di ogni suo processo psicologico, le due dinamiche non devono essere considerate separatamente, Melkor e i Noldor si influenzano reciprocamente: l’invidia del primo si accresce per i risultati conseguiti da quella che egli volutamente accende nei secondi (infatti «the Noldor took delight in the hidden knowledge that he [Melkor] could reveal to them») e questi finiscono per imitare in tutto l’atteggiamento dell’altro, perché lo hanno eletto a loro nuovo modello. Si comprende perciò come si arrivi a dimenticare la positività della dipendenza dai propri precedenti maestri:
«The Noldor began to murmur against them, and many became filled with pride, forgetting how much of what they had and knew came to them in gift from the Valar»
Se nell’istaurare una costitutiva relazione di discepolato con gli Eldar i Valar avevano cercato di imitare il comportamento assunto nei loro confronti da Ilúvatar, questi Elfi ora li respingono nello stesso identico modo in cui Melkor aveva respinto il proprio maestro. Ma ora appare chiaro che perseguire la propria indipendenza in realtà provoca solo un inconsapevole asservimento nei confronti di colui che ha generato l’invidia. I Noldor tanto più ostentano la loro potenza tanto più sono schiavi del prestigio che Melkor si è guadagnato ai loro occhi al punto da assecondarlo ciecamente:
«And when Melkor saw that these lies were smouldering, and that pride and anger were awake among the Noldor, he spoke to them concerning weapons; and in that time the Noldor began the smithying of swords and axes and spears. Shields also they made displaying the tokens of many houses and kindreds that vied one with another; and these only they wore abroad, and of other weapons they did not speak, for each believed that he alone had received the warning»
La rottura del rapporto con i maestri causa inevitabilmente divisioni anche tra discepoli: solo i legami di sangue ora contano. Ma in questo processo di chiusura in sé ben presto anche quelli entreranno in crisi (si recupera così il tema del conflitto dei miti tradizionali, non solo teogonici).
È proprio in un tale contesto di massima tensione in cui fronteggiare l’altro tira fuori il peggio e il meglio, che Fëanor, il più abile dei Noldor, compie la sua più grande opera, cioè i Silmaril, ricavati dalla luce dei Due Alberi del Paese Beato.
L’ossessione per un “tesoro” è uno degli argomenti forse più celebri di Tolkien (2), ma se questa forma di desiderio così estrema è parsa ad alcuni poco realistica e molto “magica” (per non dire ideologica) è perché si è cercato di comprenderla considerando il valore esorbitante e irrealistico degli oggetti desiderati e non alla luce di quell’unico fattore, che partendo dall’origine di tutto si è rivelato essere primariamente costitutivo del soggetto e della sua psicologia, cioè la relazione con l’altro.
I Silmaril di per sé non sono né qualcosa di buono né di cattivo, in essi è racchiusa la possibilità sia di conservare la luce sia di istigare al male per possederli. Non dipende da essi quale delle due sarà concretizzata, non è conseguenza del loro valore l’ossessione che generano. Infatti non è certamente una fortuita coincidenza che siano due i personaggi che la nutrono né che siano proprio due rivali:
«The heart of Fëanor was fast bound to these things that he himself had made. Then Melkor lusted for the Silmarils, and the very memory of their radiance was a gnawing fire in his heart»
Quasi per caso le due frasi si ritrovano giustapposte a segnalare che i due cuori battono per gli stessi oggetti. Ma soprattutto non è una coincidenza che già in precedenza i due rivali fossero ossessionati l’uno dall’altro.
Di Melkor infatti viene detto che Fëanor è principale causa di «his lust and his envy» e con ciò si conferma anche che esiste un nesso tra ossessione per un oggetto e invidia per l’altro; di Fëanor prima viene detto che «held no converse with him [Melkor] and took no counsel from him», poi che per l’idea di realizzare i Silmaril «it may be that some shadow of foreknowledge came to him of the doom that drew near» (e come avere una simile intuizione se si è davvero rimasti a distanza dal nemico?), infine che è il primo a parlare apertamente di ribellione contro i Valar e a snudare la spada contro il fratellastro (quindi palesemente non è vero che a certi discorsi non si è prestato attenzione) e ciò conferma che esiste un nesso tra illusione di indipendenza nella chiusura in sé e inconsapevole elezione del rivale a proprio modello.
È questa ossessione per l’altro, che gli accomuna, a spostarsi sui Silmaril, in quanto il loro valore consente di esibire la propria superiorità sul rivale. Sebbene a prima vista sembri contraddittorio, è proprio l’odio (che come Ilúvatar aveva spiegato a Melkor, non impedisce la relazione, ne cambia solo la forma), di cui si contagiano reciprocamente, scandalosi modelli l’uno per l’altro, a istigare in un circolo vizioso fino all’estremo il desiderio ossessivo per i tre gioielli. Nell’acuirsi della contesa per essi si avanza verso un livello estremo di follia, che quindi non è nulla di fantasioso (il prodotto di una visione ideologicamente pessimista) né inspiegabile.
Il susseguirsi degli eventi è chiaro. Quando Melkor intuisce che infiammando la brama di Fëanor per i Silmaril lo allontanerà definitivamente dai Valar, finisce per tradire la sua:
«But his cunning overreached his aim; his words touched too deep, and awoke a fire more fierce than he designed»
Se si comprendono a vicenda fin troppo in profondità i due rivali nel sondare ognuno il desiderio dell’altro, è perché in entrambi è il medesimo.
Dopo l’avvelenamento dei Due Alberi, Fëanor nega ai Valar i Silmaril e in quel frangente appare chiaro chi è la vera origine della sua ossessione, che il suo sguardo non è condizionato dall’intrinseco valore dei gioielli:
«It seemed to him that he was beset in a ring of enemies, and the words of Melkor returned to him, saying that the Silmarils were not safe, if the Valar would possess them»
Contagiato dalla brama del rivale (a sua volta contagiato da lui), viene nel contempo contagiato anche dal suo odio, che viene rivolto contro le stesse figure, nonostante il nuovo maestro continui, anzi sia ancora più di prima, il Nemico: Morgoth come Fëanor lo chiama.
Eppure egli è suo discepolo, inconsapevole chiaramente, quando scatena una battaglia fratricida contro i Teleri per il possesso delle navi con cui inseguire il rivale, che ha ucciso suo padre Finwë e rubato i suoi Silmaril, nella Terra di Mezzo e quando abbandona i suoi compagni e parenti Noldor, che lo avevano seguito, a un terribile viaggio lungo il Ghiaccio Stridente. I Valar lo sanno:
«they mourned not more for the death of the Trees than for the marring of Fëanor: of the works of Melkor one of the most evil»
Contagio di bramosia e odio, così come di follia: folle è Fëanor nel suo cieco furore vendicativo e folle è Morgoth ad averlo infiammato contro di sé. L’Elfo trova la morte e gli eserciti degli Orchi vengono sterminati. Il Nemico resterà invischiato in una guerra contro gli irriducibili Noldor, a cui lui stesso ha insegnato a forgiare armi, e questi a loro volta resteranno incatenati al folle giuramento di non rinunciare mai al desiderio di recuperare i Silmaril rubati.
(1) Questa forma di possessività sarà reiterata in vari modi soprattutto dagli Elfi, fino agli ultimi celebri eventi che li vedranno protagonisti, cioè la produzione dei loro Anelli
(2) Ogni libro sembra svilupparsi a partire dal convergere e l’intensificarsi dei desideri dei personaggi verso qualcosa: i Silmaril, il tesoro sotto la Montagna, l’Unico Anello
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Indice
Quenta Silmarillion. L’ossessione di Melkor e Fëanor
Beren e Lúthien. Della guerra, delle innumerevoli lacrime e dell’amore
I figli di Húrin. Comprendere la tragedia, comprendere il male
The Lord of the Rings. Molteplici personaggi, una sola alternativa a Sauron
The Lord of the Rings. Le dinamiche che determinano la fine del conflitto
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