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Tolkien, The Lord of the Rings | Le dinamiche che determinano la fine del conflitto



Che un soggetto necessiti di maestri e amici per crescere potrebbe non essere considerato nulla che già comunemente non si pensi, purché non si escluda che arrivi il momento in cui egli diventi autonomo, in cui egli debba proseguire da solo la sua strada. Per quanto si possa riconoscere che la relazione con l’altro abbia una funzione positiva, persino costituente in senso forte, si conserva comunemente la convinzione che il processo costitutivo debba a un certo punto concludersi: l’individuo completa la sua crescita come soggetto, raggiunge quella che si potrebbe definire la sua “pienezza d’essere” e da quel momento l’altro può anche esserci, ma non c’è più il bisogno che svolga una funzione costitutiva. Invece Tolkien in The Lord of the Rings sfida anche quest’ultimo residuo di individualismo.

Dopo che Gandalf ha terminato di svolgere il ruolo di maestro e gli amici lo hanno accompagnato fin dove erano in grado prima che l’Anello insinuasse la rivalità, Frodo ritiene che sia giunto il momento di proseguire da solo per quella che è la sua di missione e in ultima istanza soltanto sua. Ma così non accade:

«A boat was sliding down the bank all by itself. With a shout Sam raced across the grass. The boat slipped into the water.

“Coming, Mr. Frodo! Coming!” called Sam, and flung himself from the bank, clutching at the departing boat. He missed it by a yard. With a cry and a splash he fell face downward into deep swift water. Gurgling he went under, and the River closed over his curly head»



«An exclamation of dismay came from the empty boat. A paddle swirled and the boat put about. Frodo was just in time to grasp Sam by the hair as he came up, bubbling and struggling. Fear was staring in his round brown eyes.

“Up you come, Sam my lad!” said Frodo. “Now take my hand!”

“Save me, Mr. Frodo!” gasped Sam. “I’m drowned. I can’t see your hand.”

“Here it is. Don’t pinch, lad! I won’t let you go. Tread water and don’t flounder, or you’ll upset the boat. There now, get hold of the side, and let me use the paddle!”

With a few strokes Frodo brought the boat back to the bank, and Sam was able to scramble out, wet as a water-rat. Frodo took off the Ring and stepped ashore again»


Ciò che il comune buon senso interpreterebbe come un passaggio addirittura necessario, che le circostanze semplicemente anticipano o ritardano, in The Lord of the Rings se si pone attenzione proprio a queste, emerge che è l’Anello a suggerirne l’idea. Esso isola Frodo attraverso la rivalità e l’invisibilità e pertanto egli non fa nulla più che assecondarlo. Ma accade l’imprevedibile.

Non che Frodo si scopra in difficoltà. Che proseguire da solo sia difficile chiunque lo immagina. L’imprevedibile è che Sam avanzi nell’acqua fino ad affondare, tenda la mano verso colui che nemmeno vede: l’imprevedibile è che nel momento del distacco sia l’altro a invocare soccorso. Così viene inequivocabilmente smascherato ciò che non era nulla più che un inganno dell’Anello, che di certo non guida verso il compimento della missione, ma al contrario tenta di farla fallire.

Per tutta la durata della storia la figura di Sam ribadirà tenacemente che affidarsi alla relazione con l’altro è qualcosa di irrinunciabile, persino nel percorso verso il compimento di quella che è la missione del singolo individuo. O piuttosto, soprattutto. Costituisce originariamente la soggettività e ne definisce il compimento ultimo come compimento ultimo della relazione stessa e non come fine di essa.



Risulta complicato definire in maniera esauriente il rapporto tra Frodo e Sam attraverso i termini con cui normalmente la società li categorizza e li etichetta. A volte sembra più opportuno parlare di “servizio”, a volte di “amicizia”, ma in tutti i casi si intuisce che nessuno dei due vocaboli (a meno di non riuscire ad attribuirne un significato che normalmente non è quello loro assegnato) esprime fino in fondo lo spessore di un rapporto così manifestamente essenziale per entrambi i soggetti.

Emblematica è la scena in cui sulla Torre di Cirith Ungol, già nella terra di Mordor, Sam rinuncia spontaneamente ad entrare in conflitto con Frodo per essere per un po’ lui il Portatore dell’Anello, scena inconcepibile in un contesto culturale in cui l’individualismo è l’ideologia, la competizione tra individui il motore, l’autonomia dagli altri la definizione di “libertà” e l’ottenimento di un ruolo di almeno pari importanza, se non superiore, l’obiettivo per il raggiungimento di una pienezza d’essere. Infatti la dinamica manifesta la saldezza di un rapporto di cui questa cultura non sa dargli alcun nome, come se non avesse senso pensare che esista.

Invece Tolkien propone ancora un’altra scena, con cui la ripresenta donandole un’enfasi, che prima di lui l’epica utilizzava solo per esprimere la grandiosità dei conflitti. E in quel frangente basterebbe poco per farne insorgere uno, basterebbe che Sam, dal momento che Frodo non riesce più ad avanzare, decidesse di essere lui almeno per quell’ultimo tratto il Portatore dell’Anello, ma così non accade:

«Sam looked at him and wept in his heart, but no tears came to his dry and stinging eyes. “I said I’d carry him, if it broke my back”, he muttered, “and I will!”

“Come, Mr. Frodo!” he cried. “I can’t carry it for you, but I can carry you and it as well. So up you get! Come on, Mr. Frodo dear! Sam will give you a ride. Just tell him where to go, and he’ll go”»



La relazione che in principio costituisce la soggettività resta costantemente il fondamento indispensabile della sua crescita e persino la fonte di salvezza dalla rivalità a cui istiga l’Anello, dal meccanismo di manipolazione del desiderio che illudendo di conferire “pienezza d’essere” deteriora il soggetto fino a ridurlo all’ombra di se stesso. Non occorre altro. Ma occorre non rinunciarvi.

Proprio questa è la tentazione di fronte a chi invece rivaleggia. Dopo Bilbo, anche Frodo e Sam hanno un’occasione di uccidere Gollum: ognuno degli Hobbit che ha tenuto l’Anello è chiamato a una scelta nei confronti di un personaggio così simile e così odioso, così simile e per questo da un certo punto di vista così odioso per il fatto di rappresentare una versione di sé che si vorrebbe esorcizzare. Eppure proprio perché così simile da un altro punto di vista diventa fondamentale il giudizio che in qualche modo ricade anche sul giudicante.

Decisivo e non sentimentale è perciò non rispondere imitando la rivalità, che concretizzerebbe esattamente il rischio di diventare il doppio di Gollum, non rinunciare persino con lui alla possibilità di una relazione, che in quella forma prende nel libro l’esplicito nome di Pietà.

Davvero non occorre altro? Come può bastare la Pietà e proprio nella misura in cui è incondizionata e lascia che il rivale possa scegliere di restare tale?

Se si trattasse di lasciare che sia il “destino” a eliminare rivali, l’Anello, il Nemico, allora la Pietà sarebbe solo un’ipocrisia. Infatti non è così che si determina la fine del conflitto narrato in The Lord of the Rings.



Contro Sauron e l’Anello lo sforzo di volontà di Frodo fallisce, eppure la missione giunge al suo compimento senza che intervenga qualunque altro tipo di sforzo: perché?

Se da una parte due Hobbit, grazie alla loro relazione, riescono ad arrivare insieme fino al Monte Fato, dall’altra Sauron e l’Anello, che sarebbero un “tutt’uno”, non si ritrovano mai. L’Occhio senza Palpebra vede tutto, meno quello che più brama di vedere, meno il suo “tesoro” nella sua stessa terra. Sono un “tutt’uno”, eppure sono sempre divisi. Divisi contro se stessi, come infine viene svelato: il mancato ricongiungimento con l’Anello, rivela la brama di Sauron da fonte della sua malizia a causa della sua stoltezza. Il grande protagonista, il Signore degli Anelli, si scopre beffato soltanto quando può solo osservare, impotente, a ciò che accade.

E ciò a cui si assiste è come il grande meccanismo di manipolazione dei desideri si rivolta contro coloro che lo tengono in piedi. Riesce infine a scatenare la rivalità tra Frodo e Gollum portando quest’ultimo a riottiene il suo “tesoro” che mai desidererebbe distruggere e sembrerebbe questo il momento del suo trionfo definitivo. Invece la dinamica si ripete.

Della stessa cecità di cui è stato vittima l’Occhio senza Palpebra, ora è vittima anche Gollum. Se Sam è capace di vedere Frodo anche quando questi è reso invisibile dall’Anello, di afferrare la sua mano per non affogare, Gollum ha occhi solo per il suo “tesoro” e non guarda più dove poggia i piedi.



«“Precious, precious, precious!” Gollum cried. “My Precious! O my Precious!” And with that, even as his eyes were lifted up to gloat on his prize, he stepped too far, toppled, wavered for a moment on the brink, and then with a shriek he fell. Out of the depths came his last wail Precious, and he was gone»

Nessuna “malizia” del destino in risposta a quella del Nemico: la stessa cieca brama con cui l’Anello incatenava a sé i soggetti è la causa della sua distruzione insieme con i soggetti incatenati. Non solo Gollum. È annichilita anche tutta la grandezza di Sauron, colui che non sulla relazione con l’altro, ma su quella con il proprio possesso – massima parodia dell’individuo moderno – aveva totalmente fondato la sua “pienezza d’essere”.

Sono le stesse dinamiche che fin dalla sua origine avevano plasmato tutta la storia della Terra di Mezzo, mostrando e riconfermando ogni volta cosa sempre genera e cosa sempre deteriora, a determinare la fine del conflitto.



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